LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MANNA Antonio – Presidente –
Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –
Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –
Dott. MAROTTA Caterina – Consigliere –
Dott. BELLE’ Roberto – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 22111/2020 R.G. proposto da:
COMUNE DI TORINO, rappresentato e difeso dagli avv.ti MARIAMICHAELA LI VOLTI e MASSIMO COLARIZI ed elettivamente domiciliata presso lo studio di quest’ultimo in Roma, Via G. Antonelli 49;
– ricorrente –
contro
B.F., rappresentato e difeso dall’avv. PAOLO FIORIO presso il quale è elettivamente domiciliato in Roma, presso lo studio dell’avv. VALENTINA GRECO, Via Duilio 13;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 796/2019 della Corte d’Appello di Torino, depositata il 16.12.2019, N. R.G. 204/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 27.10.2021 dal Consigliere Dott. Belle’Roberto.
RILEVATO
CHE:
1. La Corte d’Appello di Torino, con sentenza del 16 dicembre 2019, confermava la sentenza del Tribunale della stessa sede, che aveva accolto la domanda proposta da B.F. per l’accertamento del diritto a mantenere, all’esito della riassunzione alle dipendenze del Comune di Torino, il livello retributivo goduto presso il precedente datore di lavoro, Consorzio per lo Sviluppo dell’Elettronica e dell’Automazione (in prosieguo: CSEA), con riconoscimento a tal fine di un importo a titolo di assegno ad personam assorbibile e condanna dell’ente al pagamento delle conseguenti differenze retributive, debitamente quantificate sulla base di conteggi concordati tra le parti.
2. La Corte territoriale nello storico di lite esponeva che:
– il B., già dipendente del Comune di Torino ed addetto ai Centri di formazione professionale, era stato trasferito dal maggio 1997 al CSEA, al quale il Comune aveva affidato l’attività di formazione professionale, giusta convenzione decennale dell’anno 1996, rinnovata nell’anno 2007;
– la convenzione del 1996, all’art. 14, prevedeva, in caso di cessazione per qualsiasi causa degli effetti della convenzione, la prosecuzione dei rapporti di lavoro con il Comune, ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 2112 c.c.;
– tale impegno era stato ribadito nella convenzione del 2007 (art. 5);
– nell’anno 2012 il CSEA era stato dichiarato fallito ed il Comune aveva revocato la convenzione;
– il lavoratore aveva proposto, insieme ad altri, un precedente giudizio, definito con sentenza della Corte d’Appello di Torino, passata in giudicato.
3. A fondamento della decisione, il giudice dell’appello osservava che il precedente giudicato aveva ad oggetto due domande: la prima, accolta, riguardante il diritto dei lavoratori alla prosecuzione del rapporto di lavoro con il Comune; la seconda, respinta, diretta alla affermazione della responsabilità solidale del Comune per il pagamento delle retribuzioni non corrisposte dal CSEA, poi fallito, ai sensi dell’art. 2112 c.c., comma 2.
4. Le domande oggetto di causa, invece, erano diverse nel petitum e nella causa petendi; inoltre, le questioni in discussione non erano deducibili nel giudizio in cui si era formato il giudicato, non essendo all’epoca avvenuta l’assunzione da parte del Comune.
5. Gli accertamenti contenuti nella motivazione del giudicato non costituivano precedenti logici essenziali e necessari delle domande in trattazione.
6. Con la convenzione del 2007, conclusa in un momento in cui le competenze in materia di formazione professionale erano state trasferite alla Provincia, il Comune aveva assunto l’impegno a garantire la prosecuzione del rapporto di lavoro dei dipendenti già trasferiti al CSEA, ai sensi dell’art. 2112 c.c.; la pattuizione doveva essere intesa, in conformità ai canoni di cui agli artt. 1362 e 1367 c.c., nel senso di riconoscere il diritto dei lavoratori non solo alla riammissione in servizio presso il Comune, ma anche alla conservazione del trattamento economico goduto presso il CSEA.
7. A tale conclusione non poteva opporsi il richiamo al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 30, che riguardava il passaggio di personale tra amministrazioni pubbliche e non era applicabile analogicamente in presenza di una specifica regolamentazione contrattuale.
8. Infine, il principio di parità di trattamento economico di cui al D.Lgs n. 165 del 2001, art. 45 era garantito dalla previsione di riassorbibilità dell’assegno ad personam.
9. La Corte d’Appello riteneva altresì che non avesse rilievo, stante l’elaborazione di un conteggio contabilmente concordato, il fatto che, prima della pronuncia giudiziale in ordine alla prosecuzione del rapporto con il Comune, il B. avesse operato presso la Cooperativa FORMARE-TE, presso la quale egli era stato poi anche distaccato dallo stesso Comune in occasione delle operazioni di riammissione in servizio conseguite alla esecuzione della condanna di cui alla suddetta pronuncia.
10. Ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza il Comune di Torino, articolato in cinque ragioni di censura, cui il B. ha resistito con controricorso.
11. Le parti hanno depositato memoria.
CONSIDERATO
CHE:
1. Ragioni di linearità espositiva consigliano di esaminare preliminarmente il secondo motivo di ricorso per cassazione, con il quale il Comune ha denunciato – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – l’erronea e falsa applicazione dell’art. 324 c.p.c., in combinato disposto con l’art. 2909 c.c., per non avere la Corte territoriale riconosciuto l’efficacia preclusiva del giudicato di cui alla sentenza n. 1316/2013.
2. Tale motivo è fondato.
3. In via preliminare giova distinguere il divieto di riproporre la stessa domanda già definita con pronuncia passata in giudicato – al quale si riferisce la regola secondo cui il giudicato copre il dedotto ed il deducibile – rispetto al principio secondo cui l’assetto del rapporto giuridico fissato dal giudicato ha efficacia oggettiva anche rispetto a domande nuove, nascenti dal medesimo rapporto, che però presuppongano una diversa soluzione del punto di diritto già definito in detto giudicato.
4. In relazione a detto rilievo oggettivo del giudicato, non vi è questione di identità o meno della domanda in decisione rispetto a quella definita dal giudicato, ma, piuttosto, di identità del rapporto sostanziale che due domande, pur tra loro diverse, deducono come presupposto.
5. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, qualora due giudizi tra le stesse parti si riferiscano al medesimo rapporto giuridico ed uno di essi sia stato definito con sentenza passata in giudicato, l’accertamento compiuto nel giudicato in ordine alla situazione giuridica ovvero alla soluzione di questioni di fatto e di diritto relative ad un punto fondamentale comune ad entrambe le cause, formando la premessa logica indispensabile della statuizione contenuta nel dispositivo del giudicato, preclude il riesame dello stesso punto di diritto accertato e risolto, anche se il successivo giudizio abbia finalità diverse da quelle che hanno costituito lo scopo ed il petitum del primo (Cass. sez. III 15 maggio 2018 n. 11754 e giurisprudenza ivi citata; Cass. sez. lav., 28 novembre 2017 n. 28415; 9 dicembre 2016 n. 25269; 16 dicembre 2015, n. 25304).
6. Il rilievo di tale giudicato esterno sul “punto fondamentale comune ad entrambe le cause” prescinde dalla proposizione di una specifica domanda di parte.
7. Alla base della giurisprudenza richiamata vi è la distinzione tra:
– pregiudizialità tecnica (o tecnico-giuridica o pregiudizialità in senso stretto), che si verifica qualora vengano in considerazione due o più rapporti giuridici, uno dei quali (quello pregiudiziale) appartenga alla fattispecie dell’altro, che dipenda da esso (quello pregiudicato);
– pregiudizialità logica, che si verifica, invece, quando nell’ambito di un unico rapporto giuridico l’accertamento di un diritto richieda il previo accertamento di una situazione giuridica comune ad altri diritti nascenti dal medesimo rapporto.
8. Nel primo caso l’accertamento di un diritto presuppone l’accertamento di un altro “diritto”; ad esso si riferisce l’art. 34 c.p.c., secondo cui l’accertamento di una questione pregiudiziale non è idoneo a passare in giudicato, salvi i casi in cui una decisione con efficacia di giudicato sia richiesta per legge o per apposita domanda di una delle parti.
9. Nel secondo caso, invece, vi è un “punto pregiudiziale” – ovvero un antecedente logico necessario – comune a due diverse domande relative ad uno stesso rapporto giuridico; la pronuncia resa in proposito acquista l’efficacia del giudicato, indipendentemente da una domanda di parte. Si è detto al riguardo che il giudicato copre le questioni che rientrano nel fatto costitutivo del diritto dedotto in causa, alle quali si riferisce la locuzione “pregiudiziale in senso logico”.
10. Nella vicenda in esame ricorre questa seconda eventualità: viene in questione l’unico rapporto giuridico tra il Comune ed i lavoratori, disciplinato prima dalla convenzione dell’anno 1996 e poi, alla sua scadenza, quella dell’anno 2007, vale a dire quella applicabile in causa.
11. Tale convenzione è stata oggetto del giudicato di cui alla sentenza della Corte d’Appello di Torino n. 1316/2013, tra le stesse parti, che nell’esaminare la disposizione dell’art. 5 della convenzione del 2007, qui rilevante, ha affermato che il richiamo all’art. 2112 c.c. da parte della convenzione era effettuato in senso “atecnico”, a prescindere, cioè, da un effettivo ri-trasferimento al Comune dell’attività della formazione professionale ed era solo diretto a garantire i lavoratori dall’eventuale perdita del posto di lavoro e ad assicurare loro, in ogni caso di cessazione degli effetti della convenzione, il riassorbimento alle dipendenze del Comune.
12. Sulla base di questo accertamento, il giudicato ha respinto la domanda dei lavoratori diretta ad affermare la solidarietà del Comune per il pagamento delle retribuzioni maturate presso il CSEA, secondo il regime di cui all’art. 2112 c.c., comma 2.
13. In sostanza, il giudicato ha accertato che il richiamo all’art. 2112 c.c. da parte della convenzione del 2007 era effettuato al solo fine di assicurare ai lavoratori il rientro alle dipendenze del Comune, non anche allo scopo di estendere loro il regime previsto dalla stessa norma codicistica.
14. Trattandosi di un punto pregiudiziale comune ad entrambe le cause, erroneamente la sentenza impugnata ha ritenuto che esso non fosse coperto dal giudicato.
15. Invero, una volta stabilito dal giudicato che il richiamo all’art. 2112 c.c. contenuto nella convenzione del 2007 si riferiva unicamente alla garanzia dei lavoratori ad essere riassunti dal Comune (anche in mancanza di riassorbimento dell’attività trasferita), il giudice del merito non avrebbe potuto procedere ad una nuova interpretazione della convenzione, preclusa dal giudicato.
16. Restano assorbiti gli ulteriori motivi del ricorso principale, rispettivamente diretti a censurare (motivi dal terzo al quinto), con richiamo da vari punti di vista ai canoni ermeneutici di cui agli artt. 1362 e s.s. c.c., oltre che attraverso la denuncia di violazione dell’art. 2112 c.c., l’interpretazione delle Convenzioni intercorse tra il Comune e CSEA;
17. Analogamente assorbito è il primo motivo del ricorso per cassazione, con il quale è denunciata l’omessa pronuncia su un fatto decisivo del giudizio (art. 360 c.p.c., n. 5) sul presupposto che nel compiuto del dovuto non fosse stato valutato il fatto che il B., in ragione del distacco ottenuto presso la Cooperativa FORMA-RE-TE, già avesse ottenuto un compenso aggiuntivo rispetto al CCNL delle Autonomie Locali e dunque (anche) per tale ragione nulla potesse ulteriormente spettargli.
18. Tutto ciò posto, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito.
La domanda originaria era fondata esclusivamente sull’applicazione dell’art. 2112 c.c. in forza del mero richiamo ad esso contenuto nella convenzione; ma dall’interpretazione della convenzione consacrata dal giudicato di cui s’e’ detto discende il rigetto della domanda.
19. Le spese dell’intero giudizio si compensano tra le parti per la complessità della questione trattata, quale risulta dal contrasto di giurisprudenza emerso in seno alla Corte d’Appello di Torino.
P.Q.M.
La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso, assorbiti gli altri. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito, rigetta la domanda originaria. Compensa le spese dell’intero processo.
Così deciso in Roma, nella adunanza camerale, il 27 ottobre 2021.
Depositato in Cancelleria il 17 gennaio 2022