Corte di Cassazione, sez. V Civile, Sentenza n.1311 del 17/01/2022

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. GUIDA Riccardo – rel. Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –

Dott. D’AQUINO Filippo – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 25795/2013 di R.G. proposto da:

B.G. e M.E., elettivamente domiciliati in Roma, piazzale Don Giovanni Minzoni n. 9, presso lo studio dell’avv. Ennio Luponio, che li rappresenta e difende con gli avv.ti Achille Marchionni e Pietro Picozzi.

– ricorrenti –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma Via dei Portoghesi 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato che la rappresenta e difende.

– controricorrente –

Avverso la sentenza della COMM.TRIB.REG. LOMBARDIA, n. 30/14/13, depositata l’08/04/2013.

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 12 gennaio 2022 dal Consigliere Dott. Guida Riccardo.

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. Locatelli Giuseppe che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;

udito l’avvocato Samantha Luponio per delega orale dell’avvocato Ennio Luponio.

FATTI DI CAUSA

1. La Commissione tributaria regionale (“C.T.R.”) della Lombardia ha confermato la decisione di primo grado che aveva rigettato l’impugnazione proposta da B.G. ed M.E. avverso gli avvisi di accertamento n. ***** e n. *****, ad essi rispettivamente notificati, contenenti recupero a tassazione di maggiore reddito a fini Irpef e Iva connesso alla corretta attribuzione dell’utile da plusvalenza immobiliare prodotto dalla Carizi & Molteni s.r.l. (“C&M”), in liquidazione, di cui i contribuenti erano soci, relativamente all’anno di imposta 2006.

2. Dalla sentenza impugnata si evince che la C.T.R. ha reputato elusiva un’articolata operazione di dismissione delle quote sociali attuata da C&M, in liquidazione e poi cancellata, partecipata da B. nella misura del 10,10% e da M. del 14,70%, sintetizzabile nei seguenti termini: (i) nel dicembre 2005, con contratto preliminare di cessione di quote, C&M si obbligò a cedere a Renco (“Renco”) S.p.a. la totalità delle quote al prezzo di Euro 4.650.000,00; (ii) prima del contratto definitivo, in data 30/01/2006, le quote della C&M, comprese quelle dei ricorrenti, vennero cedute, in ragione del 50% a favore di ciascuna, a due società, la Fortune Fiduciaria s.r.l. e la Mithos Fiduciaria s.r.l.; (iii) Renco, in un brevissimo arco di tempo successivo a tale cessione, rinunciò al preliminare con C&M ed acquistò il suindicato immobile al prezzo di Euro 5.230.000,00, maggiore del prezzo a suo tempo pattuito per rilevare la partecipazione totalitaria in C&M; (iv) tale provento fu poi distribuito tra i nuovi soci delle fiduciarie, compresi i ricorrenti, sotto forma di capita/ gain, anziché come utile derivante da plusvalenza immobiliare, così consentendo ai soci di avvalersi di un regime fiscale più favorevole (applicandosi l’imposta sostitutiva agevolata in sede di rivalutazione delle quote).

3. A giudizio della C.T.R. la finalità elusiva della descritta operazione era attestata dall’antieconomicità della sequenza negoziale scelta da Renco; dalla circostanza che il suo oggetto sociale era del tutto diverso da quello di Mithos; dal fatto che Renco era legata al gruppo Mithos, e, ancora, che Renco aveva acquistato prima le quote sociali dei ricorrenti e poi l’immobile dalla Mithos. Tali elementi, per il giudice di secondo grado, dimostravano l’interposizione di Mithos tra il reale venditore, C&M, e l’acquirente, Renco, con possibilità per i soci, tra cui i ricorrenti, di percepire una plusvalenza da cessione pari alla differenza tra il valore iscritto a bilancio e quello di effettivo realizzo, sottraendosi alla congrua tassazione. E ciò legittimava l’iniziativa dell’ente impositore, che aveva contestato la fittizietà dell’operazione, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37, e del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 67, riprendendo a tassazione l’utile effettivamente conseguito dalla società per la parte riferibile ai soci in proporzione alle rispettive quote di partecipazione.

4. Per la cassazione della citata sentenza B.G. e M.E. hanno proposto ricorso con dodici motivi, illustrati con memorie; l’Agenzia delle Entrate ha resistito con controricorso.

RAGIONI DELLA DECISIONE

(a) Con memoria datata 28/02/2020, parte ricorrente ha chiesto, tra l’altro, la parziale estinzione del giudizio e la cessazione della materia del contendere, con riferimento all’impugnazione da parte di B.G. dell’avviso di accertamento *****, dando atto che, in data 24/05/2019, per quell’avviso era stata presentata domanda di definizione agevolata della controversia ed era stata versata la prima rata (il versamento è documentato dall’allegata quietanza modello F24). La difesa dei contribuenti, con atto datato 07/12/2020, ha fatto istanza di trattazione della causa, ai sensi del D.L. n. 119 del 2018, art. 6, e, limitatamente all’impugnazione del suindicato avviso di accertamento n. *****, ha insistito nella richiesta di declaratoria d’estinzione del giudizio per cessazione della materia del contendere. L’istanza è stata notificata a mezzo PEC all’Agenzia delle entrate.

(b) In conseguenza di ciò, pertanto, rispetto all’opposizione da parte di B.G. all’avviso di accertamento *****, posto che entro il 31/12/2020 non risulta intervenuto diniego della definizione, poi impugnato, il processo si è estinto, ai sensi del D.L. n. 119 del 2018, art. 6, comma 13, con il decorso del termine del 31 dicembre 2020, e, ai sensi dell’ultimo periodo del comma 13, le spese del processo estinto restano a carico della parte che le ha anticipate. Al riguardo si precisa che il principio secondo cui le spese del giudizio estinto restano a carico delle parte che le ha anticipate nasce, in via generale, dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 46, comma 3.

(c) La declaratoria di estinzione del giudizio esclude l’applicabilità del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, relativo all’obbligo della parte impugnante non vittoriosa di versare una somma pari al contributo unificato già versato all’atto della proposizione dell’impugnazione (negli stessi termini, Cass. 08/07/2021, n. 19419; nonché: Cass. 12/10/2018, n. 25485, in tema di definizione agevolata D.L. n. 50 del 2017, ex art. 11, conv. con mod. dalla L. n. 96 del 2017; Cass. 10/10/2019, n. 25529, in tema di definizione agevolata D.L. n. 193 del 2016, ex art. 6, conv. con mod. dalla L. n. 225 del 2016). Ne consegue che l’esame dei motivi di ricorso è riferito soltanto alla posizione processuale della signora M..

1. Primo motivo di ricorso: “Nullità della sentenza impugnata per omessa pronuncia in relazione ad un punto decisivo della controversia relativo alla eccepita (dal contribuente) violazione del principio del contraddittorio anticipato, con conseguente violazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4)”.

2. Secondo motivo: “Nullità della sentenza impugnata per omessa pronuncia in relazione ad un punto decisivo della controversia relativo alla eccepita (dal contribuente) violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42,L. n. 241 del 1990, art. 3 e L. n. 212 del 2000, art. 7, con conseguente violazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4)”.

3. Terzo motivo: “Nullità della sentenza impugnata per omessa pronuncia in relazione ad un punto decisivo della controversia relativo alla eccepita (dal contribuente) errata classificazione dei redditi accertati dall’ufficio, che si è limitato ad accertare “altri redditi sezione I”, con conseguente violazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4)”.

4. Quarto motivo: “Nullità della sentenza impugnata in quanto, in relazione al fatto controverso e decisivo rappresentato dall’esistenza o meno dei presupposti per l’applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37, comma 3, la Commissione tributaria regionale basa il proprio convincimento su elementi esclusivamente tratti dagli atti dell’Agenzia, disattendendo il proprio dovere di esaminare, giudicare e motivare autonomamente e criticamente sulla base degli atti e delle prove versati/e nel fascicolo processuale da entrambe le parti in causa, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4)”.

5. Quinto motivo: “Illegittimità della sentenza impugnata per violazione del principio del contraddittorio anticipato e, quindi, dell’art. 24 Cost., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3)”.

6. Sesto motivo: “Illegittimità della sentenza impugnata per violazione o falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42,L. n. 241 del 1990, art. 3 e L. n. 212 del 2000, art. 7, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3)”.

7. Settimo motivo: “Illegittimità della sentenza impugnata per violazione o falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37, comma 3, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3)”.

8. Ottavo motivo: “Illegittimità della sentenza impugnata per violazione o falsa applicazione dell’art. 53 Cost., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3)”.

9. Nono motivo: “Illegittimità della sentenza impugnata per violazione o falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 27, comma 1, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3)”.

10. Decimo motivo: “Illegittimità della sentenza impugnata per motivazione insufficiente ed illogica con riferimento al fatto controverso e decisivo rappresentato dall’esistenza o meno dei presupposti per l’applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37, comma 3, considerato che gli elementi a fondamento dell’applicabilità della norma suddetta sono stati apoditticamente ed immotivatamente attinti da postulati conclusivi mutuati dagli atti processuali della sola Agenzia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5)”.

11. Undicesimo motivo: “Illegittimità della sentenza impugnata per contraddittoria motivazione con riferimento al fatto controverso e decisivo rappresentato dalla tassazione a cui sottoporre i redditi accertati in funzione della natura degli stessi, considerato che la Commissione tributaria regionale qualifica i redditi de quibus come dividendi e dichiara contestualmente la legittimità degli accertamenti in cui gli stessi sono riqualificati come “altri redditi – sez. I”, vale a dire utili derivanti da partecipazioni qualificate, in relazione agli artt. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) “.

12. Dodicesimo motivo: “Illegittimità della sentenza impugnata per motivazione insufficiente, illogica ed abnorme con riferimento ad un punto decisivo della controversia rappresentato dalle caratteristiche dell’operazione in contestazione, considerato che la Commissione tributaria regionale, nel decidere la controversia a favore dell’Amministrazione procedente, fonda la propria decisione su presupposti invero errati e non rispondenti al reale svolgimento dei fatti, in relazione agli artt. 360 c.p.c., comma 1, n. 5)”.

13. L’Agenzia delle entrate argomenta nel controricorso circa l’inammissibilità dell’avversa impugnazione, di cui chiede comunque il rigetto.

14. I motivi di ricorso sopra indicati sono infondati o inammissibili per le seguenti ragioni.

14.1. Va premesso che questa Corte (Sez. 5, Ordinanza n. 17128 del 28/06/2018; Sez. 5, Sentenza n. 21952 del 28/10/2015; Sez. 5, Sentenza n. 12788 del 10/06/2011) ha affermato il condivisibile principio, che è utile ribadire, secondo cui in tema di accertamento dei redditi, la disciplina antielusiva dell’interposizione, prevista dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37, comma 3, non presuppone necessariamente un comportamento fraudolento da parte del contribuente, essendo sufficiente un uso improprio, ingiustificato o deviante di un legittimo strumento giuridico, che consenta di eludere l’applicazione del regime fiscale proprio dell’operazione economica sostanziale programmata e realizzata. Ne deriva che il fenomeno della simulazione relativa non esaurisce l’àmbito di applicazione della norma, ben potendo attuarsi lo scopo elusivo anche mediante operazioni effettive e reali. La circostanza che il citato D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37, comma 3, citato, tipizzi le fattispecie antielusive rende inutile l’obbligatorietà del contraddittorio preventivo, invece necessario a pena di nullità dell’atto impositivo nelle ipotesi aperte di abuso del diritto, previste dall’oggi abrogato dal citato D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37-bis, come ha puntualmente motivato questa Corte (Sez. 5, Ordinanza n. 27886 del 31/10/2018), che si condivide e si conferma. Tanto determina la reiezione del primo motivo di ricorso poiché, quand’anche la decisione impugnata abbia omesso di pronunciarsi sul punto devoluto in appello, e non l’abbia implicitamente respinto, essa è comunque conforme a diritto.

14.2. Il secondo motivo è inammissibile perché lamenta l’omessa pronuncia non già su una domanda o su un’eccezione in senso stretto, bensì su una questione che riguarda la selezione del materiale probatorio effettuata dal giudice di primo grado e non già dalla sentenza impugnata. In ogni caso, si sottolinea che la selezione del materiale probatorio, da porre a base della decisione, è estranea all’identificazione del thema decidendum (che fonda il vizio di mancata corrispondenza tra chiesto e pronunciato), ma attiene, appunto, allo scrutinio dei mezzi di prova offerti dalle parti, in relazione al quale il giudice di merito è libero di agire con il solo limite dell’obbligo motivazionale (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 16056 del 02/08/2016; Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 29404 del 07/12/2017), che pertanto non può mai condurre alla nullità della sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 14.3. Il terzo motivo è inammissibile perché censura l’omessa motivazione non tanto su una domanda o su un’eccezione in senso stretto, bensì su una questione che riguarda un profilo solo formale dell’atto impositivo impugnato (il riferimento motivazionale dell’avviso a un riquadro del modello di dichiarazione), in alcun modo idoneo a precludere l’accertamento circa il merito della pretesa erariale, che doverosamente il giudice tributario deve affrontare per effetto dell’introduzione della fase contenziosa, non versandosi qui in alcuna delle tipizzate ipotesi di nullità formale dell’avviso di accertamento.

14.4. Il quarto motivo è inammissibile perché, sotto il paradigma della nullità del provvedimento ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, denuncia in effetti un vizio motivazionale, adducendo una pretesa unilateralità, ascrivibile alla C.T.R., nella selezione del materiale probatorio.

14.5. Il quinto motivo è infondato, per quanto detto a proposito della reiezione del primo mezzo d’impugnazione.

14.6. Il sesto motivo è inammissibile perché, sotto l’apparente denuncia della falsa applicazione della normativa richiamata come lesa, in effetti deduce una questione di valutazione delle prove allegate dall’ufficio a sostegno della contestazione e vagliate dai giudici del merito. La circostanza, sopra evidenziata, che alcune prove siano state utilizzate e altre non considerate non rileva ai fini della violazione della normativa citata, oltre a essere operazione perfettamente legittima, con il solo limite, beninteso, che il giudice motivi in maniera intelligibile, ciò che nella specie è avvenuto, avendo la C.T.R. ricostruito compiutamente la controversia tributaria ed illustrato con sufficiente chiarezza gli indici di anomalia della complessiva operazione, parte dei quali neppure contestati dai ricorrenti.

14.7. Il settimo motivo è inammissibile perché, sotto l’apparente denuncia di falsa applicazione di norme di diritto, in effetti rivolge una critica alla motivazione della sentenza, sussumibile entro un diverso paradigma dell’art. 360 c.p.c., e che incontra peraltro gli stringenti limiti di controllo in questa sede enucleati dalla giurisprudenza di legittimità tanto in linea generale (Cass. Sez. U., Sentenza n. 8053 del 07/04/2014), quanto in particolare sul tema dei limiti in questa fase della verifica sull’indagine probatoria riservata al giudice del merito (Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 24035 del 03/10/2018; Sez. 1, Ordinanza n. 26305 del 18/10/2018; Sez. 2, Ordinanza n. 27415 del 29/10/2018).

14.8. L’ottavo motivo è inammissibile, dovendosi dare continuità al condivisibile orientamento espresso da questa Corte (Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 15879 del 15/06/2018) secondo cui la violazione delle norme costituzionali non può essere prospettata direttamente come motivo di ricorso per cassazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto il contrasto tra la decisione impugnata e i parametri costituzionali, realizzandosi sempre per il tramite dell’applicazione di una norma di legge, deve essere portato ad emersione mediante l’eccezione d’illegittimità costituzionale della norma applicata.

14.9. Il nono motivo è inammissibile perché non specifica, come previsto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, come, dove e quando abbia introdotto in causa la questione della natura qualificata o meno delle partecipazioni detenute dai ricorrenti, come era preciso onere di parte ricorrente non soltanto ai fini della completezza del motivo, ma soprattutto in considerazione della circostanza che della questione la C.T.R. non fa cenno alcuno, ed in tale ipotesi diversa avrebbe dovuta essere il rilievo critico da sollevare ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1.

14.10. Il decimo, l’undicesimo e il dodicesimo motivo sono inammissibili nella parte in cui censurano, rispettivamente l’insufficienza, la contraddittorietà e, di nuovo, l’insufficienza della motivazione. Infatti, questa causa è regolata dal nuovo testo dell’articolo citato, essendo la sentenza stata depositata in data 08/04/2013, e cioè dopo l’11 settembre 2012, e quindi il vizio di motivazione è denunciabile in cassazione ai sensi della norma sopra menzionata solo per anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali e non più per insufficienza o contraddittorietà motivazionali (Cass. Sez. 6-3, Ordinanza n. 22598 del 25/09/2018; Sez. 2, Ordinanza n. 20721 del 13/08/2018; Sez. 3, Sentenza n. 23940 del 12/10/2017). Inoltre, il decimo e il dodicesimo motivo sono infondati nella parte in cui denunciano l’illogicità e l’abnormità della motivazione, che invece è perfettamente riconoscibile come tale, secondo i criteri elaborati da questa Corte a partire dall’insegnamento di Cass. Sez. U., Sentenza n. 8053 del 07/04/2014.

15. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.

PQM

La Corte dichiara l’estinzione del giudizio, limitatamente al ricorso contro l’avviso di accertamento nei confronti di B.G.; per il resto, rigetta il ricorso di M.E. e la condanna al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 7.300,00, a titolo di compenso, oltre alle spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte di M.E., dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del citato art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 12 gennaio 2022.

Depositato in Cancelleria il 17 gennaio 2022

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