Corte di Cassazione, sez. V Civile, Sentenza n.1313 del 17/01/2022

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – rel. Consigliere –

Dott. D’AQUINO Filippo – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 6532/2013 R.G. proposto da:

Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato e presso i cui uffici domicilia in Roma, alla Via dei Portoghesi, n. 12

– ricorrente –

contro

Aran World s.r.l., rappresentata e difesa, anche in via disgiuntiva tra loro, dall’Avv. Tonio Di Iacovo, e dall’Avv. Benedetta Rossi, presso i quali è elettivamente domiciliata in Roma, viale Castro Pretorio, n. 122 (Studio Pirola Pennuto Zei & Associati), giusta procura speciale del *****, autenticata nella firma dal Notaio D.G.L., Rep. *****, apposta in calce alla comparsa di costituzione di nuovi difensori in sostituzione del precedente difensore in data 16 giugno 2021;

– controricorrente – ricorrente incidentale –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale dell’Abruzzo, n. 88/4/2012, depositata l’11 dicembre 2012.

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 12 gennaio 2022 dal Consigliere Luigi D’Orazio.

Udite il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. Locatelli Giuseppe, che ha chiesto l’accoglimento del primo motivo del ricorso principale e la dichiarazione di inammissibilità del ricorso incidentale.

Udito l’Avv. Tonio Di Iacovo per la società

controricorrente-ricorrente incidentale Aran World.

FATTI DI CAUSA

1. La Commissione tributaria regionale dell’Abruzzo accoglieva l’appello principale proposto dalla Aran World s.r.l., mentre rigettava l’appello incidentale articolato dall’Ufficio, avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Teramo (n. 292/2/2011) che aveva accolto solo parzialmente, limitatamente alla somma di Euro 7.000.000,00, il ricorso presentato dalla società contribuente avverso l’avviso di accertamento emesso nei suoi confronti, per l’anno 2005, dall’Agenzia delle entrate, con recupero a tassazione di una sopravvenienza attiva per Euro 19.541.482,00, determinata dalla rinuncia parziale al credito verso Aran World da parte della società Masco Europe scarl, per Euro 8.010.482,00 oltre alla compensazione della somma di Euro 11.500.000,00, utilizzata per la sottoscrizione dell’aumento di capitale di Aran World. In particolare, il giudice d’appello, dopo aver dichiarato assorbite le questioni preliminari, evidenziava che l’operazione posta in essere dal gruppo Masco Corporation non rientrava nella previsione di cui al D.P.R. n. 917 del 1986, art. 88, comma 4, con esclusione della elusività dell’operazione, in quanto ai fini della operazione di ricapitalizzazione posta in essere dal socio Masco Europe scarl (socia al 99,99%) in favore della società da ricapitalizzare (Aran World s.r.l.), in vista della sua cessione a terzi, il socio Masco Europe scarl non aveva rinunciato ad uno suo credito nei confronti di quest’ultima, ma lo aveva solo compensato con il debito, altrettanto certo, liquido ed esigibile, costituito dalla ricapitalizzazione della società controllata. Inoltre, la condotta non poteva essere considerata elusiva, in quanto anche la diversa ed alternativa operazione finanziaria, individuata dall’Ufficio nell’intervento diretto di altra società del gruppo (Masco International Service), con rinuncia al credito da parte di quest’ultima, che non era socia di Aran World, non avrebbe generato la sopravvenienza attiva tassabile, in quanto tale rinuncia non avrebbe potuto costituire un atto di mera liberalità. Anche l’esborso diretto di danaro da parte di Masco Europe scarl, sempre ai fini della ricapitalizzazione di Aran World, non avrebbe comportato alcuna sopravvenienza attiva tassabile. Si era trattato, quindi, di una operazione organizzata nell’ambito di una più ampia politica aziendale.

2. Avverso tale sentenza propone ricorso principale per cassazione l’Agenzia delle entrate, depositando anche memoria scritta.

3. Resiste con controricorso la società, proponendo ricorso incidentale condizionato e depositando memoria scritta.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.Con il primo motivo di ricorso l’Agenzia delle entrate deduce la “violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 88, comma 4, nonché illogica motivazione su un fatto controverso e decisivo della controversia: con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5”. L’Agenzia delle entrate ha contestato alla società contribuente Aran World di avere posto in essere un’operazione elusiva, consistente nella attuazione della ricapitalizzazione della società mediante rinuncia del credito da parte di Masco Europe scarl, socia al 99,99% di Aran World, anziché attraverso la rinuncia diretta da parte della Masco International Service, originaria creditrice e non socia diretta di Aran World. Il giudice d’appello avrebbe illogicamente ritenuto che, anche nel caso in cui vi fosse stato l’intervento diretto da parte di Masco International Service, non sarebbe comunque emersa alcuna sopravvenienza tassabile, in quanto neppure in questo caso, avrebbe potuto configurarsi un atto di liberalità. Vi sarebbe stato, dunque, un travisamento del fatto, avendo la Commissione regionale erroneamente considerato rilevante l’elemento della liberalità. La ricorrente aggiunge che “benché possa ritenersi fuori di dubbio l’esigenza di ricapitalizzazione di Aran”, oggetto di contestazione era però la metodica utilizzata. Doveva essere considerata la reale necessità del transito del credito nei confronti di Aran World dalla Masco International Service alla Masco Europe scarl. Attraverso l’operazione posta in essere dal Masco Europe scarl, con la rinuncia al proprio credito verso Aran World per Euro 8.010.482,00, oltre alla “conversione parziale” nella capitale di un ulteriore credito di Euro 11.500.000,00, Aran World ha potuto elidere in pari misura passività iscritte in esercizi precedenti; ove oggetto di dismissione fosse stato il credito di Masco International Service, invece, si sarebbe generata una sopravvenienza tassabile ai sensi del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 88, comma 1. La dismissione ad opera di Masco Europe scarl ha, invece, generato la sopravvenienza non tassabile, ai sensi del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 88, comma 4, in quanto la rinuncia era stata posta in essere dal socio al 99,99%.

2. Con il secondo motivo di impugnazione la ricorrente lamenta “l’omessa, insufficiente ed illogica motivazione su fatti controversi e decisivi del giudizio: con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5”. In particolare, sarebbe stato omesso l’esame di tre circostanze: la decisione assunta dai soci di aumentare il capitale sociale di Aran World è stata adottata in assenza di effettive esigenze e, soprattutto, nell’ottica di un’immediata dismissione della partecipazione; il transito del credito da Masco International Service a Masco Europe scarl, con atto del 1 dicembre 2005 è avvenuto ad un valore inferiore a quello nominale di circa Euro 10.000.000,00, con evidenziazione di una perdita in capo a Masco International Service non irrilevante solo perché non censurabile dal Fisco italiano; non si è tenuto conto, poi, del mancato accrescimento del costo complessivo della partecipazione in Aran World in misura almeno pari ai crediti denunciati ovvero utilizzati in compensazione all’atto della sua dismissione, avvenuta ad un corrispettivo inferiore di oltre tre quarti rispetto al valore calcolato dalla Guardia di Finanza tenendo conto delle operazioni in esame. L’unico soggetto beneficiario della operazione è la società acquirente le quote di Aran World, ossia la Holding Erre SA, che ha acquistato una società con buone prospettive di crescita, riuscendo a far gravare l’onere finanziario sulla controparte contrattuale, spuntando così il prezzo “vile” di acquisto, neutralizzando anche una cospicua plusvalenza che invece sarebbe risultata stabile ove la rinuncia al credito fosse stata effettuata dal soggetto originario titolare del medesimo, ossia Masco International Service. La condotta alternativa lecita era individuata nella possibile rinuncia al credito da parte della Masco International Service oppure con l’esborso diretto di denaro da parte della società controllante Masco Europe scarl.

3. I motivi primo e secondo del ricorso principale dell’Agenzia delle entrate, che vanno trattati congiuntamente per strette ragioni di connessione, sono infondati.

3.1. Anzitutto, deve essere rigettata l’eccezione di improcedibilità del ricorso per violazione dell’art. 369 c.p.c., in quanto l’Agenzia non avrebbe provveduto al deposito della sentenza notificata, “indipendentemente dal profilo della tempestività” del ricorso.

3.2.Invero, per questa Corte, a sezioni unite, in tema di giudizio per cassazione, per i ricorsi avverso le sentenze delle commissioni tributarie, la indisponibilità dei fascicoli delle parti (i quali, D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, ex art. 25, comma 2, restano acquisiti al fascicolo d’ufficio e sono restituiti solo al termine del processo) comporta la conseguenza che la parte ricorrente non è onerata, a pena di improcedibilità ed ex art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, della produzione del proprio fascicolo e per esso di copia autentica degli atti e documenti ivi contenuti, poiché detto fascicolo è già acquisito a quello d’ufficio di cui abbia domandato la trasmissione alla S.C. ex art. 369 c.p.c., comma 3, a meno che la predetta parte non abbia irritualmente ottenuto la restituzione del fascicolo di parte dalla segreteria della Commissione tributaria; neppure è tenuta, per la stessa ragione, alla produzione di copia degli atti e dei documenti su cui il ricorso si fonda e che siano in ipotesi contenuti nel fascicolo della controparte (Cass., sez. un., 3 novembre 2011, n. 22726; Cass., sez. 5, 30 novembre 2017, n. 28695).

Inoltre, per questa Corte, sempre a sezioni unite, in tema di giudizio di cassazione, deve escludersi la possibilità di applicazione della sanzione della improcedibilità, ex art. 369 c.p.c., comma 2, n. 2, al ricorso contro una sentenza notificata di cui il ricorrente non abbia depositato, unitamente al ricorso, la relata di notifica, ove quest’ultima risulti comunque nella disponibilità del giudice perché prodotta dalla parte controricorrente ovvero acquisita mediante l’istanza di trasmissione del fascicolo di ufficio (Cass., sez. un., 2 maggio 2017, n. 10648).

Tale principio, in motivazione, è stato esteso anche ad altri adempimenti previsti dall’art. 369 c.p.c., comma 2, dovendosi tenere conto della strumentalità che le forme processuali hanno in funzione della attuazione della giurisdizione mediante decisioni di merito.

Pertanto, per questa Corte, il ricorso di cassazione non è improcedibile ex art. 369 c.p.c., comma 2, n. 2, per omesso deposito da parte del ricorrente della sentenza impugnata, ove quest’ultima risulti comunque nella disponibilità del giudice in quanto prodotta dalla parte resistente, atteso che una differente soluzione, di carattere formalistico, determinerebbe un ingiustificato diniego di accesso al giudizio di impugnazione in contrasto con il principio di effettività della tutela giurisdizionale (Cass., sez. 5, 14 febbraio 2019, n. 4370).

Nella specie, e’, comunque, agli atti la copia autenticata della sentenza impugnata.

3.3. Va rigettata anche l’eccezione di inammissibilità per carenza di autosufficienza del ricorso, in violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, Avendo l’Agenzia ricorrente indicato con precisione tutti gli atti e documenti su cui si fonda il proprio ricorso, oltre alla sede processuale nel quale sono stati prodotti.

3.4. Non sussiste neppure il giudicato interno, prospettato dalla società contribuente, per la quale, poiché il giudice di prime cure aveva accolto parzialmente il ricorso della contribuente, limitatamente alla somma di Euro 7.000.000,00, che costituiva il credito originario di Masco Europe scarl nei confronti di Aran World, poi lievitato ad Euro 62.510.482,00, a seguito della cessione del credito vantato verso Aran World da Masco International Service in favore di Masco Europe scarl, l’Agenzia delle entrate non avrebbe proposto appello incidentale su tale capo di sentenza.

In realtà, è pacifico dal contenuto degli atti di causa che l’Agenzia delle entrate abbia proposto appello incidentale avverso la sentenza di prime cure, non solo in ordine all’annullamento delle sanzioni, ma anche “con riguardo a talune statuizioni afferenti alla notifica dell’avviso di accertamento ed al presunto difetto di novità degli elementi posti a base di quest’ultimo”. Pertanto, l’impugnazione incidentale della Agenzia delle entrate si è incentrata sulla piena legittimità dell’intera ripresa a tassazione, tanto che sono state impugnate anche le statuizioni del giudice di primo grado relative alla notifica dell’avviso di accertamento, con l’effetto “espansivo” della volontà impugnatoria incidentale che ha coinvolto anche il capo della sentenza di prime cure che aveva ridotto la sopravvenienza passiva in capo ad Aran World alla somma di Euro 7.000.000,00, anziché Euro 19.541.482,00.

3.5. Va rigettata anche l’eccezione sollevata dalla controricorrente in ordine alla assenza, nel motivo di impugnazione di cui all’art. 360, comma 1, n. 5, di un “momento di sintesi” della censura, essendo ormai stato abrogato il “quesito di diritto” o “momento di sintesi”.

3.6. Del pari destituita di fondamento è l’ulteriore eccezione di giudicato interno sollevata dalla società con la memoria scritta. E’ vero, infatti, che nel primo motivo di ricorso principale per cassazione l’Agenzia delle entrate ha richiamato solo la violazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 88, ma da ciò non può certo desumersi che abbia rinunciato ad impugnare la decisione d’appello anche in relazione alla violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37-bis, sull’abuso del diritto. Per la società controricorrente, invece, tale mancato richiamo al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37, non lascerebbe “spazio neppure per introdurre, tanto meno d’ufficio, un preteso profilo di violazione della norma antiabuso”. Pertanto, risulterebbe “coperta da giudicato interno la accertata natura non elusiva e non abusiva…dell’operazione sub iudice, con conseguente preclusione di un suo rilievo d’ufficio in questa sede”. Tale ragionamento non è condivisibile, in quanto il motivo di ricorso per cassazione, articolato dalla Agenzia delle entrate, a prescindere dal titolo della “rubrica”, si incentra tutto sulla natura elusiva dell’operazione commerciale, con il riferimento alla “detassazione della sopravvenienza attiva” ed alla mancata emersione dell’accrescimento del costo della partecipazione al momento della determinazione del prezzo di cessione, come pure alla “verifica della reale necessità del transito del credito vs. Aran da MIS a ME”. Il motivo, insomma, “gronda” di questioni riferite proprio alla sussistenza di una ipotesi di abuso del diritto.

4. Quanto al merito della controversia, vanno riportati in estrema sintesi i fatti salienti della causa; il gruppo americano Masco Corporation aveva interesse, nell’anno 2005, a trasferire le quote della società Aran World, partecipata al 99,99% da Masco Europe scarl e per lo 0,01% da Masco Europe scs, alla Holding Erre Sa, che faceva riferimento a R.R., presidente del consiglio di amministrazione di Aran World e già amministratore delegato sotto la proprietà Masco (cfr. pagina 6 del ricorso per cassazione l’Agenzia delle entrate). Poiché la società Aran World aveva subito perdite superiori ad un terzo del capitale sociale (pari ad Euro 7.763.398,00), era necessario provvedere alla copertura delle perdite ed al contestuale aumento del capitale ai sensi dell’art. 2482-bis c.c., l’obiettivo primario era, dunque, costituito dalla immediata ricapitalizzazione dell’Aran World, al fine della sua dismissione in favore di Holding Erre SA; pertanto, la Masco International Service, con sede in Belgio, che vantava un credito di Euro 55.510.482,00 nei confronti di Aran World, ha ceduto tale credito in data 1 dicembre 2005 alla Masco Europe scarl, con sede in Lussemburgo, al prezzo di Euro 45.510.482,00; la società Masco Europe scarl, che già vantava un credito verso Aran di Euro 7.000.000,00, ha visto accrescere il proprio credito verso la Aran World, a seguito della cessione del credito della Masco International Service, ad Euro 62.510.482,00. Per ricapitalizzare la società Aran World, la Masco Europe scarl, socia al 99,99% di Aran World, ha posto in essere due operazioni speculari: da un lato, in data 13 dicembre 2005, ha rinunciato parzialmente al proprio credito verso Aran World per la somma di Euro 8.010.482,00, destinandolo al “fondo copertura perdite” sicché il proprio credito complessivo nei confronti di Aran World è sceso ad Euro 54.500.000,00; dall’altro lato, ha sottoscritto il nuovo capitale di Aran World per Euro 11.500.000,00, con una operazione di compensazione del proprio credito verso Aran World con il proprio debito per sottoscrizione dell’aumento di capitale, sicché il proprio credito verso Aran World è diminuito da Euro 54.500.000,00 ad Euro 43.000.000,00. Successivamente, Aran World ha chiesto un finanziamento bancario di Euro 40.000.000,00 alla Imi San Paolo, destinandolo all’integrale soddisfazione del credito di Masco Europe scarl, pari ad Euro 43.000.000,00; si è proceduto, quindi, alla cessione del 100% delle quote di Aran World in favore della Holding Erre SA, in data *****, al prezzo di Euro 8.100.000,00, dovendosi tenere conto del finanziamento bancario contratto da Aran World, evidentemente da restituire. Successivamente la Holding Erre SA ha ceduto il 53% delle quote di Aran World, per la somma di Euro 4.383.391,16 alla RRH.

5. Se questi sono i fatti di causa, valutati in modo congruo e puntuale dal giudice d’appello, l’Agenzia delle entrate, con il ricorso per cassazione chiede sostanzialmente una nuova rivalutazione dei medesimi fatti da parte del giudice di legittimità, non consentita in questa sede. Va, peraltro, osservato che il secondo motivo di ricorso per cassazione è stato articolato come “omessa, insufficiente ed illogica motivazione su fatti controversi e decisivi del giudizio”, senza tenere conto della modifica dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, apportata dal D.L. n. 83 del 2012, che consente il ricorso per cassazione per vizio di motivazione, esclusivamente nell’ipotesi di omesso esame di un fatto decisivo e controverso tra le parti, in relazione alle sentenze pubblicate a partire dall’11 settembre 2012. Peraltro, anche il primo motivo di ricorso per cassazione, seppure articolato come “violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 88, comma 4, si spinge poi a censurare la sentenza del giudice d’appello anche per “illogica motivazione su un fatto controverso e decisivo della controversia”, in tal modo incorrendo nel medesimo errore di costruzione del vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come modificato dal D.L. n. 83 del 2012.

6. Il D.P.R. n. 917 del 1986, art. 88 (“sopravvenienze attive”), all’epoca vigente prevede al comma 1, che “si considerano sopravvenienze attive i ricavi o altri proventi conseguiti a fronte di spese, perdite od oneri dedotti o di passività iscritte in bilancio in precedenti esercizi e i ricavi o altri proventi conseguiti per ammontare superiore a quello che ha concorso a formare il reddito in precedenti esercizi, nonché la sopravvenuta insussistenza di spese, perdite od oneri dedotti o di passività iscritte in bilancio in precedenti esercizi”.

Pertanto, con riferimento alla società Aran World, partecipata al 99,99% da Masco Europe scarl, è evidente che se la rinuncia al credito per Euro 19.541.482,00 fosse stata effettuata dalla originaria società creditrice, Masco International Service, con sede in Belgio, sarebbe originata una sopravvenienza attiva tassabile per il medesimo importo in capo ad Aran World, essendo sopravvenuta la copertura di passività iscritte in bilancio, con conseguente eliminazione ed insussistenza delle stesse.

Se, invece, la sopravvenienza attiva è generata dalla rinuncia ai crediti da parte del socio non sussiste alcuna sopravvenienza attiva tassabile, ai sensi del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 88, comma 4, nella versione vigente dal 1 gennaio 2004 al 1 dicembre 2005, per il quale “non si considerano sopravvenienze attive i versamenti in denaro o in natura fatti a fondo perduto o in conto capitale alle società e agli enti di cui all’art. 73, comma 1, lett. a) e b), dai propri soci, e la rinuncia dei soci i crediti, né la riduzione dei debiti dell’impresa in sede di concordato fallimentare o preventivo o per effetto della partecipazione alle perdite da parte dell’associato in partecipazione “.

Il D.P.R. n. 917 del 1986, art. 88, comma 4, vigente dal 2 dicembre 2005 all’11 agosto 2012, è identico alla formulazione precedente, tranne l’aggiunta che “le disposizioni di cui al presente comma si applicano anche relativamente agli apporti effettuati dei possessori di strumenti finanziari similari alle azioni”.

Pertanto, per l’Agenzia delle entrate, si tratterebbe di una manovra elusiva elaborata dal gruppo Masco Corporation, con la cessione immotivata del credito da parte di Masco International Service a Masco Europe scarl, quest’ultima socia al 99,99% di Aran World, con conseguente rinuncia al proprio credito per Euro 19.541.482,00 in favore di Aran World, con applicazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 88, comma 4, ed insussistenza delle sopravvenienze attive derivanti dalla rinuncia al credito da parte del socio Masco Europe scarl in favore della società Aran World.

7. Il giudice d’appello ha reso una coerente ed articolata motivazione nell’accogliere l’appello principale della società e nel respingere l’appello incidentale dell’Agenzia delle entrate. Infatti, dopo aver chiarito che trattavasi di una complessa operazione volta alla dismissione, da parte di un gruppo imprenditoriale, Masco Corporation (USA), e per il tramite delle società ad esso collegate, di un proprio asset, e segnatamente della totalità delle quote di Aran World, possedute per il 99,99 % da Masco Europe scarl e per lo 0,01% da Masco Europe, in favore della Holding Erre SA, ha precisato che era necessario procedere alla ricapitalizzazione della Aran World, che si trovava in perdita (” la lite può essere risolta dando immediata risposta al solo e nodale quesito dallo stabilire se, nell’ambito di una complessa operazione volta alla dismissione, da parte di un gruppo imprenditoriale…la propedeutica ricapitalizzazione della società da cedere a terzi (A.W.), operazione questa già ritenuta degna di un non più contestato apprezzamento economico da parte della sentenza qui impugnata, debba essere considerato operazione elusiva, in quanto effettuata attraverso la strumentale rinuncia al credito da parte di un socio (M.E.) della società ricapitalizzata (A.W.) e, pertanto, assoggettabili all’art. 88 Tuir, comma 4, secondo cui non costituisce sopravvenienza attiva la provvista a ciò necessaria”).

Emerge, nitidamente, dalla motivazione che l’Agenzia delle entrate non ha contestato la necessità di coprire le perdite in capo ad Aran World (” operazione questa già ritenuta degna di un non più contestato apprezzamento economico”).

Del resto, anche nel ricorso per cassazione si considera ormai pacifica l’esistenza di perdite consistenti a carico dell’Aran World (cfr. pagina 26 del ricorso per cassazione “nel caso esaminato, benché possa ritenersi fuori di dubbio l’esigenza di ricapitalizzazione di Aran, oggetto di contestazione e la metodica utilizzare di”). Allo stesso modo, anche a pagina 34 del ricorso per cassazione l’Agenzia delle entrate afferma che “anche a voler ritenere assodata la necessità di rafforzamento finanziario di Aran Word, rimane dubbia la necessità di procedere mediante aumento di capitale sociale con sottoscrizione da parte di ME, previa acquisizione del credito da MIS”).

Pertanto, è ormai acclarato, come correttamente accertato dalla sentenza del giudice d’appello, che vi era la volontà da parte del gruppo Masco Corporation di vendere la totalità delle quote di Aran World alla Holding Erre SA, e che la Aran World era gravata da perdite che avevano ridotto il capitale sociale di oltre un terzo, ai sensi dell’art. 2482-bis c.c..

Il giudice d’appello, poi, aggiunge non solo la sussistenza di valide ragioni economiche dell’operazione, costituite proprio dalla necessità di vendita di tutte le quote di Aran World alla Holding Erre Sa, con una propedeutica operazione di ricapitalizzazione della società da porre in vendita, ma anche l’assenza di condotte alternative lecite da parte del gruppo societario.

Dopo avere premesso che, in realtà, la Masco Europe scarl non aveva rinunciato ad un proprio credito, ma aveva proceduto alla sottoscrizione del capitale sociale di Aran, aumentato dopo la riduzione delle perdite, per la somma di Euro 11.500.000,00, attraverso una operazione di compensazione tra il proprio credito vantato nei confronti di Aran World e il proprio debito per aumento di capitale sottoscritto (“non ha rinunciato ad un suo credito nei confronti di quest’ultima ma, a ben vedere, lo ha solo compensato con il debito, altrettanto certo, liquido ed esigibile, al quale si è parimenti trovata a dover far fronte per liberare il capitale sottoscritto, al ridetto fine-ricapitalizzazione appunto di Aran World-“), il giudice d’appello si è soffermato sulle condotte alternative possibili per il gruppo societario.

Anche nell’ipotesi in cui la Masco International Service avesse rinunciato al proprio credito nei confronti di Aran World, con conseguente disapplicazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 88, comma 4, trattandosi di società estranea alla compagine sociale di Aran Word, il Fisco non avrebbe potuto però assoggettare a tassazione le sopravvenienze attive. In tal caso, infatti, non vi sarebbe stata una vera e propria rinuncia del credito in favore di Aran World, ma la rinuncia al credito sarebbe stata giustificata soltanto con la sottoscrizione da parte di Masco International Service dell’aumento di capitale di Aran World, non potendo ovviamente la Masco International Service, che non era socia di Aran World, rinunciare semplicemente al proprio ingente credito di Euro 19.541.482,00, che era parte del suo credito iniziale di Euro 55.510.482,00 sempre nei confronti di Aran World (” invero, anche un intervento a tal proposito di altra società del gruppo, non socia della società da ricapitalizzare, giammai si sarebbe potuto risolvere con un atto di mera liberalità- che, come tale, non avrebbe potuto trovare giustificazione alcuna nell’ambito dell’attività di impresa del soggetto agente -, bensì solo con un atto di pari contenuto di quello che si vuole elusivo che, dunque, a dispetto dell’apparenza, non potrebbe ritenersi atto di liberalità”).

Il giudice d’appello ha, poi, analizzato anche l’eventuale ulteriore comportamento del gruppo societario, che, per ripianare le perdite di Aran World, avrebbe potuto procedere ad un conferimento diretto in suo favore da parte di Masco Europe scarl, socia al 99,99% di Aran World. Anche in tal caso non vi sarebbe stata sopravvenienza attiva in capo ad Aran World, in quanto ai sensi del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 88, comma 4, non si considerano sopravvenienze attive i versamenti in danaro o in natura fatti a fondo perduto o in conto capitale alle società da parte dei propri soci (” il medesimo obiettivo – propedeutica ricapitalizzazione della società del gruppo, al fine della sua successiva cessione a terzi – il gruppo lo avrebbe potuto comunque raggiungere, senza che alcuna sua società fosse così dovuta andare incontro ad imposizione per una qualsivoglia sopravvenienza attiva, anche attraverso un esborso di denaro da parte di M.E., socia di A.W., per la ridetta ricapitalizzazione di A.W.”). Conclude la sentenza d’appello nel senso che non si era in presenza di una operazione elusiva, ma di una effettiva operazione commerciale, volta alla dismissione della totalità delle partecipazioni in Aran World, in favore di Holding Erre SA, per esigenze complessive del gruppo (“si deve ritenere che la scrutinata operazione non avesse come unico scopo quello di lucrare un beneficio fiscale, bensì avesse altro e diverso scopo nell’ambito di una più ampia politica aziendale”).

8. Per questa Corte, in materia tributaria, il divieto di abuso del diritto si traduce in un principio generale antielusivo – rinvenibile negli stessi principi costituzionali che informano l’ordinamento tributario italiano oltre che nei principi comunitari (Cass., 19 febbraio 2014, n. 3938; Cass., 5155/2016) e rilevabile d’ufficio (Cass., 25 novembre 2015, n. 24024) -che preclude al contribuente il conseguimento di vantaggi fiscali ottenuti mediante l’uso distorto, pur se non contrastante con alcuna specifica disposizione normativa, di strumenti giuridici idonei ad ottenere un risparmio d’imposta, in difetto di ragioni economicamente apprezzabili che giustifichino l’operazione, la cui ricorrenza deve essere provata dal contribuente (Cass., 5 dicembre 2019, n. 31772; Cass., 6 giugno 2019, n. 15321; Cass., 23 novembre 2018, n. 30404; Cass., 7 novembre 2012, n. 19234).

8.1 Incombe, dunque, sulla Amministrazione l’onere di dimostrare sia l’esistenza del disegno elusivo, sia le modalità di manipolazione e di alterazione degli schemi negoziali, considerati come irragionevoli in una normale logica di mercato e perseguiti solo per pervenire ad un determinato risultato fiscale (Cass., sez. 5, 26 febbraio 2014, n. 4603).

8.2. Grava, invece, sul contribuente l’onere di allegare l’esistenza di ragioni economiche alternative o concorrenti che giustifichino operazioni in tal modo strutturate (Cass., 5090/2017; Cass. 3938/2014; Cass., 19234/2012; Cass., 20029/2010).

In tal senso, si è affermato che, al fine di escludere il contestato carattere elusivo di un’operazione, il contribuente deve dimostrare che la stessa è giustificata da “valide ragioni economiche”, aventi carattere non meramente marginale o teorico, sebbene dette ragioni non debbano assumere una rilevanza predominante per il compimento dell’operazione né dovendosi, per altro verso, provare che l’obiettivo non sarebbe stato altrimenti perseguibile, ma soltanto che la strada prescelta è più conveniente rispetto ad altre soluzioni (Cass., sez. 5, 30 gennaio 2018, n.).

8.3. Integra, quindi, gli estremi del comportamento abusivo quell’operazione economica che, tenuto conto sia della volontà delle parti, sia del contesto fattuale e giuridico, ponga quale elemento predominante della transazione lo scopo di ottenere vantaggi fiscali, con la conseguenza che il divieto di comportamenti abusivi non vale se quelle operazioni possano spiegarsi altrimenti che con il mero conseguimento di risparmi d’imposta (Cass., 5155/2016; Cass., 304040/2018).

Non e’, poi, configurabile l’abuso del diritto se non sia stato provato dall’Ufficio il vantaggio fiscale che sarebbe derivato al contribuente accertato dalla manipolazione degli schemi contrattuali classici (Cass., n. 20029/2010).

Il carattere abusivo, ai fini fiscali, di una determinata operazione presuppone quantomeno l’esistenza di un adeguato strumento giuridico che, pur se alternativo a quello scelto dei contraenti, sia comunque funzionale al raggiungimento dell’obiettivo economico perseguito (Cass., n. 21390/2012 in motivazione) e si deve indagare se vi sia reale fungibilità con le soluzioni eventualmente prospettate dal fisco (Cass., n. 26 febbraio 2014, n. 4604).

8.4. La Raccomandazione UE n. 2012/772, prevede che gli Stati membri debbano intervenire ogniqualvolta vi sia ” una costruzione di puro artificio o una serie artificiosa di costruzioni che sia stata posta in essere essenzialmente allo scopo di eludere l’imposizione e che comporti un vantaggio fiscale” (montages articiels; artificial arrengement; mecanismo artificial nella varie versioni linguistiche). A tal fine precisa che ” una costruzione una serie di costruzioni e artificiosa se manca di sostanza commerciale” (p.4.4), o più esattamente di ” sostanza economica” (p.4.2), e ” consiste nell’eludere l’imposizione quando, a prescindere da eventuali intenzioni personali, contrasta con l’obiettivo, lo spirito e la finalità delle disposizioni fiscali”, mentre “una data finalità deve essere considerata fondamentale se qualsiasi altra finalità che è o potrebbe essere attribuita alla costruzione o alla serie di costruzioni sembri per lo più irrilevante alla luce di tutte le circostanze del caso” (Cass., n. 438/2015; Cass., n. 439/2015, p. 8.3; Cass., n. 5155/2016, paragrafi 7, 8, 9 e 10).

8.5. Il legislatore nazionale, con la L. 11 marzo 2014, n. 23, art. 5, ha raccolto la citata Raccomandazione dell’Ue, delegando al Governo l’attuazione della “revisione delle vigenti disposizioni antielusive al fine di unificarle al principio generale del divieto dell’abuso del diritto, in applicazione dei seguenti principi e criteri direttivi, coordinandoli con quelli contenuti nella raccomandazione della Commissione Europea sulla pianificazione fiscale aggressiva n. 2012/772/UE del 6 dicembre 2012:

a) definire la condotta abusiva come uso distorto di strumenti giuridici idonei ad ottenere un risparmio di imposta, ancorché tale condotta non sia in contrasto con alcuna specifica disposizione;

b) garantire la libertà di scelta del contribuente tra diverse operazioni comportanti anche un diverso carico fiscale e, a tal fine:

1.considerare lo scopo di ottenere indebiti vantaggi fiscali come causa prevalente dell’operazione abusiva;

2. escludere la configurabilità di una condotta abusiva se l’operazione o la serie di operazioni è giustificata da ragioni extra fiscali non marginali; stabilire che costituiscono ragioni extra fiscali anche quelle che non producono necessariamente una redditività immediata dell’operazione, ma rispondono ad esigenze di natura organizzativa e determinano un miglioramento strutturale e funzionale dell’azienda del contribuente;

c) prevedere l’inopponibilità degli strumenti giuridici di cui alla lettera a) all’amministrazione finanziaria e il conseguente potere della stessa di disconoscere il relativo risparmio di imposta;

d) disciplinare il regime della prova ponendo a carico dell’amministrazione finanziaria l’onere di dimostrare il disegno abusivo e le eventuali modalità di manipolazione e di alterazione funzionale degli strumenti giuridici utilizzati, nonché la loro mancata conformità a una normale logica di mercato, prevedendo, invece, che gravi sul contribuente l’onere di allegare l’esistenza di valide ragioni extra fiscali alternative o concorrenti che giustifichino il ricorso a tali strumenti;

e) prevedere una formale e puntuale individuazione della condotta abusiva nella motivazione dell’accertamento fiscale, a pena di nullità dell’accertamento stesso;

f) prevedere specifiche regole procedimentali che garantiscano un efficace contraddittorio con l’amministrazione finanziaria e salvaguardino il diritto di difesa in ogni fase del procedimento di accertamento tributario”.

8.6. Si è anche osservato che le disposizioni di cui alla L. n. 212 del 2000, art. 10-bis, pur non applicandosi ratione temporis (D.Lgs. n. 128 del 2015, art. 1 comma 5) rilevano in chiave interpretativa nel definire una linea evolutiva già indiscutibilmente tracciata nell’ordinamento tributaria dalla giurisprudenza e dalle fonti nazionali e comunitarie (Cass., n. 30404 del 23 novembre 2018, in motivazione).

La L. n. 212 del 2000, art. 10-bis, comma 1, prevede che “configurano abuso del diritto una o più operazioni prive di sostanza economica che, pur nel rispetto formale delle norme fiscali, realizzano essenzialmente vantaggi fiscali indebiti”. Inoltre, ai sensi del comma 2, lett. a), “si considerano: a) operazioni prive di sostanza economica i fatti, gli atti e i contratti, anche tra loro collegati, inidonei a produrre effetti significativi diversi dai vantaggi fiscali”. Si aggiunge che “sono indici di mancanza di sostanza economica, in particolare, la non coerenza della qualificazione delle singole operazioni con il fondamento giuridico del loro insieme e la non conformità dell’utilizzo degli strumenti giuridici a normali logiche di mercato”.

Ai sensi del comma 2, lett. b), “si considerano vantaggi fiscali indebiti i benefici, anche non immediati, realizzati in contrasto con le finalità delle norme fiscali o con i principi dell’ordinamento tributario”. Si chiarisce che, “ferma la libertà di scelta del contribuente tra regimi opzionali diversi offerti dalla legge e tra operazioni comportanti un diverso carico fiscale” (comma 4), “non si considerano abusive, in ogni caso, le operazioni giustificate da valide ragioni extrafiscali, non marginali, anche di ordine organizzativo o gestionale, che rispondono alla finalità di miglioramento strutturale o funzionale dell’impresa ovvero dell’attività professionale del contribuente” (comma 3).

8.7. E’ evidente alla luce della giurisprudenza richiamata, anche unionale, che deve essere condivisa l’affermazione del giudice di appello, anche con riferimento alla astratta applicabilità al caso in esame del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37-bis, che non costituisce una fattispecie “chiusa”, con indicazione tassativa delle condotte cui potrebbe essere applicato il divieto dell’abuso del diritto. Al contrario, anche la della L. n. 212 del 2000, pur non applicabile ratione temporis, svolge una fondamentale opera di interpretazione del disposto della vecchia norma (art. 37-bis cit.), che ha un perimetro che va ben al di là delle condotte ivi indicate, costituendo una sorta di principio generale che avvolge in sé tutte le condotte abusive, ove vengano riscontrata la sussistenza dei precisi parametri normativi.

9. Quanto ai fatti specifici il cui esame sarebbe stato omesso da parte del giudice d’appello, se ne rileva l’assoluta infondatezza.

9.1. Invero, costituisce dato pacifico ed acquisito dagli atti quello relativo alla necessità di ricapitalizzazione della società Aran World; lo ammette la stessa Agenzia delle entrate nel ricorso per cassazione; pertanto, è destituita di fondamento l’affermazione da parte dell’Agenzia delle entrate per cui il giudice d’appello avrebbe omesso di considerare la circostanza rilevante costituita dalla “decisione assunta dai soci di aumentare il capitale sociale quale metodica di rafforzamento finanziario della società, pur in assenza di effettive esigenze e, soprattutto, nell’ottica di una immediata dismissione della partecipazione”.

9.2. Allo stesso modo, non è condivisibile l’affermazione dell’Agenzia delle entrate per cui il giudice d’appello non avrebbe tenuto conto che il transito del credito da Masco International Service a Masco Europe scarl rinveniva l’unica ragione in quella di radicare il credito in capo al socio, consentendogli una operazione fiscalmente neutra, quale la rinuncia-compensazione, ovvero la rinuncia pura e semplice; ben avrebbe potuto la Masco International Service procedere alla rinuncia del proprio credito in favore di Aran World, senza la cessione del credito alla Masco Europe scarl.

Anche in questo caso, è chiara la motivazione del giudice d’appello, per cui la rinuncia del credito, se costituisce atto “ordinario” ove avvenuta in favore della propria società controllata Aran World, con esclusione della sopravvenienza attiva in capo a quest’ultima, quale società controllata, non poteva certo costituire atto “ordinario” per la Masco International Service, che non era in alcun modo socia dell’Aran World. Ove la Masco International Service avesse proceduto alla rinuncia diretta al proprio credito in favore di Aran World, è evidente che tale atto dispositivo non poteva avere carattere di liberalità, ma doveva avere come corrispettivo la sottoscrizione dell’aumento di capitale dell’Aran World. Tuttavia, per statuto societario vi era il divieto per la MIS di acquisire partecipazioni in società estranee al gruppo. Ciò, non nel senso che la fattispecie di cui al D.P.R. n. 917 del 1986, art. 88, fosse fondata sulla liberalità, ma sul presupposto che la Masco International Service, che svolgeva attività di finanziamento per il gruppo Masco Corporation, non avrebbe certo potuto finanziarie società terze, estranee al gruppo, venendo in rilievo, diversamente, la responsabilità degli amministratori nei confronti dei creditori sociali ex art. 2394 c.c., oltre che il rischio di una possibile insolvenza, con integrazione della fattispecie della bancarotta fraudolenta per distrazione.

9.3.Ne’ si può sostenere che il prezzo di vendita della totalità delle quote di Aran World in favore di Holding Erre SA, pari ad Euro 8.100.000,00, sia stato un prezzo “vile”, in quanto non si sarebbe tenuto conto della rinuncia al credito da parte di Masco Europe scarl e della compensazione del credito per Euro 11.500.000,00, con la sottoscrizione dell’aumento di capitale di Aran World. Per l’Agenzia delle entrate, il D.P.R. n. 917 del 1986, art. 94, comma 6, avrebbe imposto di calcolare il prezzo di vendita delle quote di Aran World, tenendo conto anche dell’aumento di capitale sottoscritto da parte della socia Masco Europe scarl. L’art. 94 Tuir, comma 6, prevede, infatti, che “l’ammontare dei versamenti fatti a fondo perduto o in conto capitale alla società dei propri soci o della rinuncia ai crediti nei confronti della società dagli stessi soci nei limiti del valore fiscale del credito oggetto di rinuncia, si aggiunge al costo dei titoli e delle quote di cui all’art. 85, comma 1, lett. c), in proporzione alla quantità delle singole voci della corrispondente categoria”. Il costo della partecipazione in Aran World, dunque, doveva essere aumentato della somma di Euro 8.010.482,00 erogata in data *****, con rinuncia al credito da parte di Masco Europe scarl per la costituzione della “riserva copertura perdite”, oltre che dell’aumento di capitale sociale sempre in data *****, per la somma di Euro 11.500.000,00, per un totale costo della partecipazione di Euro 35.010.402,00, come risulta a pagina 7 ricorso per cassazione.

In realtà, però, tale ricostruzione non tiene conto della complessiva operazione commerciale, in quanto Aran World, per estinguere il proprio debito nei confronti di Masco Europe scarl, socia 99,99%, pari ad Euro 43.000.000,00, ha chiesto un finanziamento all’Imi San Paolo per Euro 40.000.000,00, in tal modo consentendo il recupero quasi integrale dell’intero credito da parte del gruppo Masco Corporation. E’ vero, dunque, che le quote della Aran World sono state trasferite alla Holding Erre Sa per la somma di Euro 8.100.000,00 in data 21 dicembre 2005, ma sulla società Aran World gravava il finanziamento di Euro 40.000.000,00 ottenuto da Imi San Paolo, che risulta trasferito proprio alla società acquirente Holding Erre SA.

Pertanto, effettivamente la patrimonializzazione dell’Aran World si è resa preventivamente necessaria per allineare il prezzo pattuito, che era costituito dal valore della partecipazione al “netto”, però, del debito “accollato” dall’acquirente, ai valori di “carico” della partecipazione e di debito preesistenti. Il debito finanziario, prima gravante sul gruppo Masco Corporation, si è poi trasferito sulla società acquirente, con conseguente riduzione del valore della partecipazione societaria.

10. Come si vede, il giudice di merito ha dato esaustiva risposta a tutte le doglianze della società contribuente.

Insomma, dalla valutazione del giudice di merito emerge la sussistenza delle valide ragioni economiche della operazione finanziaria posta in essere dal gruppo Masco Corporation (USA), sia all’interno del quadro complessivo dell’operazione gestita dal gruppo, sia per i vari soggetti economici intervenuti singolarmente. L’architettura finanziaria e programmatica del gruppo Masco aveva come interesse primario quello di ricapitalizzare una società, la Aran Worl, il cui capitale si era ridotto, per perdite di oltre un terzo, ai sensi dell’art. 2482-bis c.c., per poi procedere, una volta ripianate le perdite, alla cessione di tutte le quote ad altra società estranea al gruppo Masco. Del resto, come noto, la riduzione del capitale al di sotto del minimo legale, ex art. 2482-ter c.c., per la perdita di oltre un terzo del capitale, integra una causa di scioglimento della società, ai sensi dell’art. 2483 c.c., comma 1, n. 4. Se gli amministratori omettono di iscrivere presso il registro delle imprese la dichiarazione con cui essi accertano la causa di scioglimento, ex art. 2484 c.c., comma 3, oppure in caso di ritardo in tale adempimento, sono responsabili personalmente e solidalmente per i danni subiti dalla società, dai soci, dai creditori sociali e dai terzi, ex art. 2485 c.c.. L’altra possibilità per gli amministratori, per evitare lo scioglimento, è quella di convocare l’assemblea per deliberare la riduzione del capitale ed il contemporaneo aumento del medesimo ad una cifra non inferiore al detto minimo, ex art. 2482-ter c.c.. Le valide ragioni si rinvengono anche nella cessione da parte di MIS (Masco International Servuce) del credito di Euro 55.510.482.000 a ME (Masco Europe) per la somma di Euro 45.510402, in quanto la società debitrice ceduta (la Aran World) presentava perdite di importo tale (Euro 7.763.698,00) da rendere incerto il recupero del credito da parte di MIS. Convincente è anche, con riferimento alla sussistenza delle “valide ragioni economiche”, la condotta del ME, che era socia al 99,99 % della Aran World, sicché è del tutto comprensibile sia la rinuncia al credito di Euro 8.010.482, fermo restando che già prima della cessione vantava un credito di Euro 7.000.000 nei confronti della controllata Aran World, sia la compensazione di altra porzione del proprio credito, per Euro 11.500.000,00, con quanto da lei dovuto per la sottoscrizione delle quote di aumento del capitale di Aran World. Era necessario, come detto, ristabilire l’equilibrio finanziario della società partecipata, prima della cessione a terzi di tutte le quote. Attraverso il finanziamento bancario di Euro 40.000.000 in favore di Aran World, poi, il credito verso il gruppo Masco è stato completamente saldato, mentre il passivo del finanziamento si è spostato verso la società acquirente Holding Erre Sa, che ha versato la somma di Euro 8.100.000,00, dovendosi tenere conto proprio del fardello finanziario costituito dal mutuo bancario trasferito in capo alla acquirente. La società RRH ha, poi, acquistato il 53 % delle quote di Aran World per la somma di Euro 4.383.699,16, quindi ad un prezzo molto simile a quello pagato dalla Holding Erre SA al gruppo Masco.

11. Con un unico motivo di ricorso incidentale condizionato la società deduce la ” nullità della sentenza in parte qua per violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 61 e 35, nonché degli artt. 276 e 277 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4". La sentenza di prime cure ha ritenuto assorbite le questioni relative a: inefficacia dell’atto per violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, per vizi di notifica, oltre che per l’intervenuta decadenza ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, comma 1; nullità/illegittimità dell’avviso per violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, in ragione del difetto di novità degli elementi posti a base dell’accertamento; nullità/illegittimità dell’avviso di accertamento per violazione e falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 7, comma 1, e del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, nonché per violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37-bis, comma 5, non sussistendo alcuna specifica motivazione in relazione alle spiegazioni addotte dalla società contribuente. Tali questioni erano state sottoposte anche in sede di appello da parte della società contribuente che aveva lamentato l’erroneità della sentenza anche nella parte in cui aveva respinto i motivi preliminari. La Commissione regionale non avrebbe, quindi, potuto dichiarare assorbite tali questioni, in quando la pronuncia di merito avrebbe implicato la previa risoluzione delle stesse. Il giudice d’appello è dunque in corso in un error rilevante ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per violazione delle norme richiamate.

11.1. Il ricorso incidentale condizionato, proposto dalla parte totalmente vittoriosa nel merito del giudizio di appello, deve reputarsi assorbito.

12. Le spese del giudizio di legittimità vanno poste a carico della Agenzia delle entrate, per il principio della soccombenza, e si liquidano come da dispositivo.

13.Non opera a carico dell’Agenzia ricorrente il raddoppio del contributo unificato (Cass., 890/2017; Cass., 5955/2014).

PQM

rigetta il ricorso principale; dichiara assorbito il ricorso incidentale condizionato.

condanna l’Agenzia delle entrate a rimborsare in favore della società controricorrente le spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in complessivi Euro 16.000,00, oltre Euro 200,00 per esborsi, oltre Iva e cpa, oltre spese generali nella misura forfettaria del 15%.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 12 gennaio 2022.

Depositato in Cancelleria il 17 gennaio 2022

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