LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DE MASI Oronzo – Presidente –
Dott. PAOLITTO Liberato – Consigliere –
Dott. BALSAMO Milena – Consigliere –
Dott. MONDINI Antonio – Consigliere –
Dott. D’ORIANO Milena – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso n. 22390/2014 proposto da:
D.R., elettivamente domiciliato in Pavia Via Verdi 9, presso lo studio dell’avv. Fiorella Bertoli che lo rappresenta e difende, domicilio in Roma presso la Cancelleria della Corte di Cassazione;
– ricorrente –
Equitalia Nord S.p.A., in persona del legale rapp.te p.t., elettivamente domiciliata in Roma Via Rodolfo Lanciani n. 7 presso lo studio dell’avv. Monica De Pascali unitamente agli avv.ti Luciana Clerici e Laura Cella Bandirola che la rappresentano e difendono;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1976/2014 della COMM. TRIB. REG. LOMBARDIA depositata il 14/4/2014;
udita la relazione della causa svolta dal consigliere Dott.ssa D’ORIANO MILENA nella pubblica udienza del 06/10/2021, tenuta in camera di consiglio ai sensi del D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, art.
23, comma 8-bis, conv. con modif. dalla L. 18 dicembre 2020, n. 176, nonché del D.L. 23 luglio 2021, n. 105, art. 7, conv. con modif.
dalla L. 16 settembre 2021 n. 126;
lette le conclusioni scritte depositate dal P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Giacalone Giovanni, motivate nel senso del rigetto del ricorso.
FATTI DI CAUSA
1. con sentenza n. 1976/50/14, depositata il 14 aprile 2014, non notificata, la Commissione Tributaria Regionale della Lombardia accoglieva l’appello proposto dal Concessionario per la riscossione avverso la sentenza n. 261/3/12 della Commissione Tributaria Provinciale di Pavia, con compensazione delle spese di lite;
2. il giudizio aveva ad oggetto l’impugnazione dell’avviso di iscrizione ipotecaria n. 3244/79, disposta D.P.R. n. 602 del 1973, ex art. 77, su quote di immobili di proprietà di D.R., siti nel comune di Spessa, comunicato in data 15 marzo 2009, a seguito del mancato pagamento di una serie di debiti di varia natura, ripartiti in 18 cartelle esattoriali, alcuni inerenti tributi, di cui il contribuente eccepiva l’illegittimità sul presupposto che i beni ipotecati facevano parte di un fondo patrimoniale costituito in data antecedente alla loro stessa insorgenza;
3. la CTP aveva accolto il ricorso, ritenendo l’opponibilità del fondo rispetto a debiti contratti da uno dei coniugi nello svolgimento dell’attività professionale; la CTR aveva riformato la sentenza di primo grado, ed accolto l’appello del Concessionario, rilevando che, ai sensi dell’art. 170 c.c., i beni confluiti in un fondo patrimoniale erano comunque suscettibili di escussione nell’ipotesi in cui fosse conoscibile al creditore che gli stessi erano stati contratti per scopi estranei ai bisogni della famiglia, senza che assumesse alcun rilievo la data della loro insorgenza rispetto a quella di costituzione del fondo;
4. avverso la sentenza di appello il contribuente proponeva ricorso per cassazione, consegnato per la notifica il 12 settembre 2014, affidato a due motivi, e depositava memoria; Equitalia Nord S.p.A. resisteva con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. con il primo motivo di ricorso Roberto D. censurava la sentenza impugnata, denunciando violazione e falsa applicazione dell’art. 170 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per aver tratto dalla norma applicata delle conseguenze giuridiche errate, non tenendo conto della concreta natura dei debiti oggetto di iscrizione a ruolo, relativi ad IVA, IRAP, iscrizione alla Camera di Commercio e contributi previdenziali;
2. con il secondo motivo denunciava l’omesso esame circa un fatto decisivo oggetto di discussione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nella parte in cui la CTR aveva omesso di esplicitare il ragionamento logico giuridico in base al quale aveva escluso che i debiti fossero estranei ai bisogni della famiglia, sebbene fosse stata offerta la prova documentale della costituzione e trascrizione del fondo già in data 8-3-2005 e del suo allontanamento dalla famiglia a cui provvedeva a versare solo un assegno di mantenimento.
3. Il primo motivo di ricorso non merita accoglimento.
3.1 Sulla questione concernente l’aggredibilità del fondo patrimoniale per crediti esattoriali a mezzo iscrizione ipotecaria, questa Corte, dopo alcuni arresti (cfr. Cass. 19667/2014, Cass. 15354/2015 e Cass. 10794/2016) che avevano affermato che l’esecuzione richiamata dall’art. 170 c.c. fosse estranea all’iscrizione ipotecaria che, quindi, doveva ritenersi generalmente consentita, ha statuito più specificamente, con principio al quale questo Collegio intende dare continuità, che “in tema di riscossione coattiva delle imposte, l’iscrizione ipotecaria di cui D.P.R. n. 602 del 1973, ex art. 77, è ammissibile anche sui beni facenti parte di un fondo patrimoniale alle condizioni indicate dall’art. 170 c.c., sicché è legittima solo se l’obbligazione tributaria sia strumentale ai bisogni della famiglia o se il titolare del credito non ne conosceva l’estraneità ai bisogni della famiglia” (cfr. Cass. n. 20998/2018; Cass. n. 22761/2016; Cass. n. 23876/2015); ne consegue che l’esattore può iscrivere ipoteca su beni appartenenti al coniuge o al terzo, conferiti nel fondo, qualora il debito facente capo a costoro sia stato contratto per uno scopo non estraneo ai bisogni familiari, ovvero quando nell’ipotesi contraria – il titolare del credito, per il quale l’esattore procede alla riscossione, non conosceva l’estraneità ai bisogni della famiglia; viceversa, l’esattore non può iscrivere l’ipoteca – sicché, ove proceda in tal senso, l’iscrizione è da ritenere illegittima – nel caso in cui il creditore conoscesse tale estraneità. (Cass. n. 1652/2016; Cass. n. 5385/2013).
Ulteriore conseguenza è anche l’irrilevanza della anteriorità o posteriorità del credito rispetto alla costituzione del fondo, atteso che il divieto di esecuzione forzata non è limitato ai soli crediti, estranei ai bisogni della famiglia, sorti successivamente alla sua costituzione, ma vale anche per i crediti sorti anteriormente, salva la possibilità per il creditore, ricorrendone i presupposti, di agire in via revocatoria. (Cass. n. 15862 del 2009).
4. Ciò posto, l’onere della prova dei presupposti dell’impignorabilità dei beni costituiti in fondo patrimoniale grava su colui che intende avvalersene, sicché, ove sia proposta opposizione, ex art. 615 c.p.c., per contestare il diritto del creditore ad agire esecutivamente, il debitore opponente deve dimostrare non soltanto la regolare costituzione del fondo e la sua opponibilità al creditore procedente, ma anche che il suo debito verso quest’ultimo venne contratto per scopi estranei ai bisogni della famiglia, a tal fine occorrendo che l’indagine del giudice si rivolga specificamente al fatto generatore dell’obbligazione, a prescindere dalla natura della stessa: pertanto, i beni costituiti in fondo patrimoniale non potranno essere sottratti all’azione esecutiva dei creditori quando lo scopo perseguito nell’obbligarsi fosse quello di soddisfare i bisogni della famiglia, da intendersi non in senso meramente oggettivo ma come comprensivi anche dei bisogni ritenuti tali dai coniugi in ragione dell’indirizzo della vita familiare e del tenore prescelto, in conseguenza delle possibilità economiche familiari.” (cfr. Cass. n. 15251 del 2021; Cass. n. 641 del 2015; Cass. n. 23876 e n. 641 del 2015; Cass. n. 4011 del 2013).
4.1 Con particolare riferimento ai debiti tributari si è anche precisato che “In tema di fondo patrimoniale, il criterio identificativo dei debiti per i quali può avere luogo l’esecuzione sui beni del fondo va ricercato non già nella natura dell’obbligazione ma nella relazione tra il fatto generatore di essa e i bisogni della famiglia, sicché anche un debito di natura tributaria sorto per l’esercizio dell’attività imprenditoriale può ritenersi contratto per soddisfare tale finalità, fermo restando che essa non può dirsi sussistente per il solo fatto che il debito derivi dall’attività professionale o d’impresa del coniuge, dovendosi accertare che l’obbligazione sia sorta per il soddisfacimento dei bisogni familiari (nel cui ambito vanno incluse le esigenze volte al pieno mantenimento ed all’univoco sviluppo della famiglia) ovvero per il potenziamento della di lui capacità lavorativa, e non per esigenze di natura voluttuaria o caratterizzate da interessi meramente speculativi. (cfr Cass. n. 3738 del 2015).
4.2 Nella specie la CTR ha richiamato tali principi e ne ha fatto corretta applicazione laddove ha incluso, tra i crediti suscettibili di soddisfacimento previa iscrizione di ipoteca su beni conferiti in fondo patrimoniale, anche quelli oggetto di causa che, con una valutazione di merito non sindacabile, ha ritenuto non riconducibili ad esigenze di natura voluttuaria o caratterizzate da interessi meramente speculativi, senza che rilevasse la data di insorgenza del credito rispetto a quella di costituzione del fondo.
5. Il secondo motivo va invece ritenuto inammissibile; nella fattispecie trova applicazione ratione temporis (ai sensi del D.L. n. 83 del 2012 conv., art. 54, comma 3, con modif., dalla L. n. 134 del 2012) il nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in quanto la sentenza impugnata è stata pubblicata in data successiva all’11 settembre 2012, sicché il vizio della motivazione è deducibile soltanto in termini di “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”.
In seguito alla riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, “non sono più ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, in quanto il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica della violazione del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111 Cost., comma 6, individuabile nelle ipotesi – che si convertono in violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, e danno luogo a nullità della sentenza di “mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale”, di “motivazione apparente”, di “manifesta ed irriducibile contraddittorietà” e di “motivazione perplessa od incomprensibile”, al di fuori delle quali il vizio di motivazione può essere dedotto solo per omesso esame di un “fatto storico”, che abbia formato oggetto di discussione e che appaia “decisivo” ai fini di una diversa soluzione della controversia.” (Vedi Sez Un n. 8053 del 2014 e tra le tante conformi Cass. n. 21257 del 2014; n. 23828 del 2015; n. 23940 del 2017; Cass. n. 22958 del 2018).
Il nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5), introduce dunque nell’ordinamento un vizio specifico che concerne l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente è tenuto ad indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”.
Si ricorda poi che l’omesso esame di elementi istruttori, in quanto tale, non integra l’omesso esame circa un fatto decisivo previsto dalla norma, quando il fatto storico rappresentato sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché questi non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie astrattamente rilevanti.
5.1 Nessuna indicazione di un fatto storico omesso è stata invece formulata in ricorso, ove ci si limita a dolersi di una carenza del ragionamento logico-giuridico nella motivazione, risolvendosi poi il motivo in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento del giudice di merito in ordine alla attinenza dei crediti ai bisogni della famiglia.
6. Da quanto esposto consegue il rigetto del ricorso.
6.1. Segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese di questo giudizio di legittimità, che si liquidano come da dispositivo.
6.2 Trattandosi di giudizio notificato dopo il 30 gennaio 2013, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17 (che ha aggiunto il D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater) – della sussistenza dell’obbligo di versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la impugnazione integralmente rigettata.
PQM
La Corte, rigetta il ricorso;
condanna il ricorrente al pagamento delle spese di lite del presente giudizio, che si liquidano nell’importo complessivo di Euro 5.500,00 per compensi professionali, oltre Euro 200,00 per esborsi, spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge;
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis se dovuto.
Così deciso in Roma, il 6 ottobre 2021.
Depositato in Cancelleria il 18 gennaio 2022