Corte di Cassazione, sez. V Civile, Sentenza n.1319 del 18/01/2022

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE MASI Oronzo – Presidente –

Dott. PAOLITTO Liberato – Consigliere –

Dott. BALSAMO Milena – Consigliere –

Dott. MONDINI Antonio – Consigliere –

Dott. D’ORIANO Milena – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso n. 632/2016 proposto da:

D.R., elettivamente domiciliato in Roma Via Cunfida 20, presso lo studio dell’avv. Monica Battaglia che lo rappresenta e difende unitamente all’avv. Fiorella Bertoli;

– ricorrente –

contro

Equitalia Nord S.p.A., in persona del legale rapp.te p.t., elettivamente domiciliata in Roma Via Rodolfo Lanciani n. 7 presso lo studio dell’avv. Monica De Pascali unitamente agli avv.ti Luciana Clerici e Laura Cella Bandirola che la rappresentano e difendono;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 396/2015 della Corte Appello Milano, Sez Lavoro, depositata il 19/6/2015;

udita la relazione della causa svolta dal consigliere Dott.ssa D’ORIANO MILENA nella pubblica udienza del 06/10/2021, tenuta in camera di consiglio ai sensi del D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, art.

23, comma 8-bis, conv. con modif. dalla L. 18 dicembre 2020, n. 176, nonché del D.L. 23 luglio 2021, n. 105, art. 7, conv. con modif.

dalla L. 16 settembre 2021 n. 126;

lette le conclusioni scritte depositate dal P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Giacalone Giovanni, motivate nel senso del rigetto del ricorso.

FATTI DI CAUSA

1. con sentenza n. 396/2015, depositata il 19 giugno 2015, non notificata, la Corte di Appello di Milano, Sez. Lavoro, in parte rigettava, ed in parte dichiarava inammissibile, l’appello proposto da D.R. avverso la sentenza n. 71/2013 emessa dal giudice del lavoro del Tribunale di Pavia, con condanna al pagamento delle spese di lite;

2. il giudizio aveva ad oggetto l’opposizione all’iscrizione ipotecaria n. 11425/79, disposta del D.P.R. n. 602 del 1973, ex art. 77, su quote di immobili di proprietà del D., siti nel comune di Spessa, comunicata in data 31 luglio 2010, a seguito del mancato pagamento di una serie di debiti di varia natura, previdenziale ed attinenti a sanzioni amministrative, di cui il ricorrente eccepiva l’illegittimità sul presupposto che i beni ipotecati facevano parte di un fondo patrimoniale costituito in data antecedente alla loro stessa insorgenza e che i debiti fossero stati contratti nell’espletamento della sua attività professionale, con conseguente estraneità ai bisogni della famiglia; contestualmente lamentava la irritualità delle notifiche delle cartelle esattoriali sottostanti nonché la mancata notifica dell’intimazione di pagamento;

3. il Tribunale aveva rigettato il ricorso, dopo averlo qualificato come opposizione all’esecuzione ex art. 617 c.p.c. nella parte in cui venivano dedotti vizi formali;

4. la Corte di appello, quanto alle doglianze formali relative ai vizi di notifica delle cartelle ed alla mancata notifica dell’intimazione, aveva dichiarato l’inammissibilità dell’appello, stante la immediata ricorribilità in cassazione ex art. 618 c.p.c. della sentenza che definisce un giudizio di opposizione agli atti esecutivi; aveva invece rigettato l’appello nel merito sia quanto al motivo relativo all’applicazione dell’art. 170 c.c. – rilevando che i beni confluiti nel fondo patrimoniale erano comunque suscettibili di escussione in quanto i debiti erano stati contratti nell’espletamento di un’attività professionale i cui proventi erano destinati ai bisogni della famiglia, e che in ogni caso il D., pur essendone onerato, non aveva offerto alcuna prova contraria – sia quanto all’invocata applicazione del D.L. n. 98 del 2013, conv. dalla L. n. 69/13, ritenendo la normativa successiva non retroattiva ed in ogni caso inapplicabile all’iscrizione ipotecaria;

5. avverso la sentenza di appello il D. proponeva ricorso per cassazione, consegnato per la notifica il 17 novembre 2015, affidato a cinque motivi.

Equitalia Nord S.p.A. resisteva con controricorso.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. con il primo motivo di ricorso D.R. censurava la sentenza impugnata, denunciando violazione e falsa applicazione degli artt. 132 e 156 c.p.c., e deduceva la nullità della sentenza per vizio di motivazione apparente, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, laddove la Corte di appello aveva erroneamente ritenuto che i debiti contratti nell’esercizio dell’impresa fossero destinati al soddisfacimento dei bisogni della famiglia di origine e che gli stessi non avessero data anteriore a quella di costituzione del fondo;

2. con il secondo motivo deduceva la violazione e falsa applicazione della L. n. 69 del 2013, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nella parte in cui il giudice del gravame ne aveva escluso l’applicabilità all’iscrizione ipotecaria, sebbene atto strumentale all’esecuzione;

3. con il terzo, quarto e quinto motivo impugnava la sentenza di primo grado e riproponeva i motivi dichiarati inammissibili in appello, perché qualificati di opposizione ad atti esecutivi e quindi direttamente ricorribili in cassazione; nello specifico eccepiva: l’omessa notifica dell’intimazione di pagamento in violazione del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 50, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3; la nullità della notifica a mezzo posta, in violazione dell’art. 140 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3; l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, quale la mancanza di prova degli adempimenti ex art. 140 c.p.c..

4. Il primo motivo di ricorso non merita accoglimento.

4.1 Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, si è in presenza di una “motivazione apparente” allorché la motivazione, pur essendo graficamente (e, quindi, materialmente) esistente, come parte del documento in cui consiste il provvedimento giudiziale, non rende tuttavia percepibili le ragioni della decisione, perché costituita da argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere l’iter logico seguito per la formazione del convincimento, di talché essa non consente alcun effettivo controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento del giudice. Sostanzialmente omogenea alla motivazione apparente è poi quella perplessa e incomprensibile: in entrambi i casi, invero – e purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali – l’anomalia motivazionale, implicante una violazione di legge costituzionalmente rilevante, integra un error in procedendo e, in quanto tale, comporta la nullità della sentenza impugnata per cassazione (cfr. Sez. 1, 18 giugno 2018 n. 16057; Sez. 6-5, 7 aprile 2017 n. 9097; Sez. U 3 novembre 2016 n. 22232; Sez. U 5 agosto 2016 n. 16599; Sez. U 7 aprile 2014, n. 8053 ed ancora Cass. n. 4891 del 2000; n. 1756 e n. 24985 del 2006; n. 11880 del 2007; n. 161, n. 871 e n. 20112 del 2009).

Si è così precisato che “Ricorre il vizio di omessa o apparente motivazione della sentenza allorquando il giudice di merito ometta ivi di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero li indichi senza un’approfondita loro disamina logica e giuridica, rendendo, in tal modo, impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento” (Vedi Cass. n. 9105 del 2017; n. 20921 del 2019) ed ancora che “La motivazione del provvedimento impugnato con ricorso per cassazione deve ritenersi apparente quando pur se graficamente esistente ed, eventualmente sovrabbondante nella descrizione astratta delle norme che regola la fattispecie dedotta in giudizio, non consente alcun controllo sull’esattezza e la logicità del ragionamento decisorio, così da non attingere la soglia del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111 Cost., comma 6" (Vedi Cass. 13248 del 2020).

Si è anche chiarito a che “In seguito alla riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012, non è più deducibile quale vizio di legittimità il semplice difetto di sufficienza della motivazione, ma i provvedimenti giudiziari non si sottraggono all’obbligo di motivazione previsto in via generale dall’art. 111 Cost., comma 6, e, nel processo civile, dall’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4. Tale obbligo è violato qualora la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente, ovvero essa risulti del tutto inidonea ad assolvere alla funzione specifica di esplicitare le ragioni della decisione (per essere afflitta da un contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili oppure perché perplessa ed obiettivamente incomprensibile) e, in tal caso, si concreta una nullità processuale deducibile in sede di legittimità ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4” (Vedi Cass. n. 22598 del 2018).

4.2. Tale vizio, pur correttamente dedotto, non ricorre nel caso in esame, laddove la Corte di appello ha ampiamente esposto le ragioni per cui ha incluso tra i crediti suscettibili di soddisfacimento, previa iscrizione di ipoteca su beni conferiti in fondo patrimoniale, anche quelli oggetto di causa che, con una valutazione di merito non sindacabile, in cui ha fatto riferimento alla mancanza di prova della dedotta separazione di fatto dei coniugi ed alla permanenza degli obblighi di mantenimento a favore del coniuge non separato e dei figli minori, ha ritenuto riconducibili al soddisfacimento dei bisogni familiari e non ad esigenze di natura voluttuaria o caratterizzate da interessi meramente speculativa.

Con il riferimento agli estratti di ruolo è stata poi motivata anche la valutazione di anteriorità della data di insorgenza dei crediti rispetto a quella di costituzione del fondo.

Tale motivazione non può considerarsi meramente apparente, in quanto esplicita le ragioni della decisione, nei termini innanzi descritti; ne consegue che, non sussistendo i profili di apoditticità censurati col motivo in esame, la motivazione non può ritenersi viziata in modo così radicale da renderla meramente apparente, escludendone l’idoneità ad assolvere alla funzione cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36 (cfr. Cass. n. 5315 del 2015).

5. Anche il secondo motivo non merita accoglimento.

5.1 Il D.L. n. 69 del 2013, art. 52, convertito con modificazioni dalla I n. 98 del 2013, prevede che l’agente della riscossione possa solo intervenire ma non rendersi creditore procedente laddove il pignoramento abbia ad oggetto l’unico immobile del debitore, nel quale egli risieda anagraficamente e che abbia adibito ad uso abitativo, con esclusione delle abitazioni di lusso, delle ville e dei castelli; la norma in questione ha modificato il D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 76, in materia di riscossione di imposte sul reddito, all’evidente scopo di arginare i pignoramenti immobiliari promossi per soli crediti fiscali.

L’agente della riscossione, pur non potendo agire come creditore procedente, in difetto delle condizioni di cui al D.P.R. n. 602 del 1973, art. 76, mantiene tuttavia la possibilità di iscrivere ipoteca su quei beni, ai sensi dello stesso D.P.R., art. 77; eventualità che non è preclusa dalla norma in quanto anche in questi casi permane la funzione di garanzia dell’ipoteca.

Nell’ipotesi in cui l’esecuzione venisse intrapresa ad iniziativa di un terzo creditore, l’iscrizione ipotecaria avrebbe infatti comunque una funzione deterrente in danno del debitore, nonché di tutela del credito fiscale, dal momento che il credito dell’amministrazione fiscale verrebbe a godere, pur sempre, di una prelazione in sede esecutiva circa il ricavato della vendita forzata e beneficerebbe del diritto di seguito (o di sequela) sull’immobile staggito venduto all’aggiudicatario.

5.2 Questa Corte del resto ha già affermato che in tema di riscossione coattiva delle imposte, (‘indisponibilità ed impignorabilità di un immobile, che assume rilevanza dopo che sia iniziata l’espropriazione forzata con l’effettuazione del pignoramento, non osta all’iscrizione su di esso dell’ipoteca, D.P.R. n. 602 del 1973, ex art. 77, quale atto solo preordinato all’esecuzione, avente funzione di garanzia e di cautela. (Cass. n. 13618 del 2018).

6. I motivi terzo, quarto e quinto vanno invece ritenuti inammissibili in quanto volti a censurare la sentenza di primo grado che non è oggetto di impugnazione in questa sede; né il ricorrente ha censurato per error in procedendo la statuizione di inammissibilità contenuta nella sentenza impugnata, in riferimento ai motivi formali relativi ai vizi di notifica delle cartelle ed alla mancata notifica dell’intimazione, qualificati come di opposizione agli atti esecutivi e pertanto ritenuti immediatamente ricorribili in cassazione ex art. 618 c.p.c.

7. Da quanto esposto consegue il rigetto del ricorso.

7.1. Segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese di questo giudizio di legittimità, che si liquidano come da dispositivo.

7.2 Trattandosi di giudizio notificato dopo il 30 gennaio 2013, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17 (che ha aggiunto il D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater) – della sussistenza dell’obbligo di versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la impugnazione integralmente rigettata.

PQM

La Corte, rigetta il ricorso;

condanna il ricorrente al pagamento delle spese di lite del presente giudizio, che si liquidano nell’importo complessivo di Euro 2.200,00 per compensi professionali, oltre Euro 200,00 per esborsi, spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge;

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 6 ottobre 2021.

Depositato in Cancelleria il 18 gennaio 2022

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