Corte di Cassazione, sez. III Civile, Ordinanza n.1335 del 18/01/2022

Pubblicato il

Condividi su FacebookCondividi su LinkedinCondividi su Twitter

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE STEFANO Franco – Presidente –

Dott. VALLE Cristiano – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

Dott. FANTICINI Giovanni – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 6012/2019 R.G. proposto da:

M.L., elettivamente domiciliata in Roma, via San Tommaso d’Aquino 116, presso lo studio dell’avvocato Carlo Milardi, rappresentata e difesa dall’avvocato Antonio Maria Di Leva;

– ricorrente –

contro

SOCIETA’ PER LA GESTIONE DI ATTIVITA’ – S.G.A. S.p.A., elettivamente domiciliata in Roma, via Portuense 104, presso lo studio del Dott. Fabio Trinca, rappresentata e difesa dall’avvocato Giuseppina Parrilli;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1083/2018 della CORTE D’APPELLO DI SALERNO, depositata il 16/7/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 9/12/2021 dal Consigliere Dott. GIOVANNI FANTICINI.

RILEVATO

che:

– M.L., coobbligata in solido con la M.C. & C. S.n.c. (dichiarata fallita con sentenza n. 87/1997 del Tribunale di Torre Annunziata), proponeva opposizione all’esecuzione ex art. 615 c.p.c., comma 1, contestando il diritto di Intesa San Paolo S.p.A., mandataria di S.G.A. S.p.A., di procedere all’espropriazione forzata minacciata con l’atto di precetto, col quale si intimava il pagamento delle somme indicate nel decreto ingiuntivo emesso il 2/2/1994, munito di formula esecutiva in data 25/3/2010;

– in base a quanto esposto nel ricorso, “l’attrice contestava la nullità dell’atto di precetto atteso che i titoli posti a suo fondamento erano da ritenersi ineseguibili; inoltre evidenziava la prescrizione del credito per cui la Banca procedeva e, comunque, l’inesigibilità delle somme di cui al precetto”;

– il Tribunale di Salerno respingeva l’opposizione e la decisione era confermata dalla Corte d’appello di Salerno con la sentenza n. 1083 del 16/7/2018;

– avverso la suddetta sentenza M.L. proponeva ricorso per cassazione (affidato a tre motivi), al quale resisteva con controricorso la Società per la Gestione di Attività – S.G.A. S.p.A., che ha depositato memoria ex art. 380-bis.1 c.p.c..

CONSIDERATO

che:

– col primo motivo (ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 5), si denuncia la nullità del procedimento e della sentenza per violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 e art. 118 disp. att. c.p.c., per “omessa valutazione delle prove dedotte e mancata rinnovazione della C.T.U. contabile”; in particolare, il giudice di merito avrebbe mancato di esaminare gli elementi della consulenza tecnica di parte e di esporre le motivazioni per le quali non è stata ordinata la rinnovazione della consulenza disposta d’ufficio, nonostante la specifica istanza dell’appellante;

– col secondo motivo (ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., per avere la Corte d’appello “ritenuto raggiunta indirettamente la prova della notifica del decreto ingiuntivo posto a base dell’opposto precetto”; nella censura si espone che con l’atto di precetto si intimava il pagamento di somme derivanti da un decreto monitorio la cui notifica non era stata provata, nonché di un importo dovuto in forza di un contratto di finanziamento stipulato il 14/11/1991 con scrittura privata autenticata, di cui era stata omessa la notificazione in forma esecutiva; inoltre, quest’ultimo titolo non rispondeva ai requisiti di autosufficienza per essere stati determinati gli importi indicati da conteggi della creditrice;

– col terzo motivo (ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), si lamenta vizio di motivazione della sentenza per avere la Corte d’appello erroneamente affermato che la M. non aveva fornito la prova della limitazione della sua garanzia fideiussoria, mentre tale circostanza era stata accertata in primo grado e ammessa dalla stessa banca creditrice nel ricorso monitorio;

– il ricorso e i singoli motivi sono inammissibili perché formulati in violazione degli artt. 366,360 c.p.c. e art. 348-ter c.p.c., comma 5;

– in particolare, l’intero atto introduttivo è irrimediabilmente lacunoso nell’illustrazione del fatto processuale, posto che la ricorrente indica solo genericamente le ragioni dell’opposizione avanzata, che, per quanto è dato comprendere dalla confusa e frammentaria esposizione, parrebbe riferirsi non soltanto al credito di cui al decreto ingiuntivo, ma anche ad un ulteriore credito per un finanziamento erogato e risultante da atto notarile (in alcuni passaggi si afferma che lo stesso aveva la forma della scrittura privata autenticata, mentre in altri si accenna ad un atto pubblico rogato da notaio), manca dell’indicazione degli elementi sui quali si articolano le censure, per i quali la ricorrente rinvia – ad onta del principio di autosufficienza del ricorso – al contenuto degli atti dei gradi di merito;

omette di riportare il contenuto della decisione impugnata, di cui sono trascritti soltanto il dispositivo e alcune frasi (pag. 12) non idonee ad individuare la motivazione che sorregge la decisione del giudice di merito (lo stesso deve dirsi con riferimento al contenuto della decisione di primo grado);

– inoltre, il primo motivo del ricorso è inammissibile perché non specifica se e quando le argomentazioni contenute nella consulenza di parte siano state avanzate al giudice di primo grado, né illustra la possibile incidenza delle censure svolte sulla decisione assunta, né espone il contenuto dell’elaborato del C.T.U. al quale si attribuiscono errori e contraddizioni; poi, il fatto che al consulente d’ufficio fosse stata formulata la richiesta di “dire quanto altro ritenuto utile ai fini del mandato ricevuto” non vale di per sé ad estendere le attività peritali a qualsivoglia questione afferente i rapporti tra le parti, dovendosi pur sempre rispettare i limiti di quanto sia stato – e tempestivamente – allegato e del così delimitato thema decidendum (peraltro, con riferimento al titolo esecutivo giudiziale – decreto ingiuntivo non opposto – sono del tutto superflui gli approfondimenti sul rapporto bancario da cui è scaturito il credito, poiché ogni relativa questione doveva essere fatta valere mediante opposizione al decreto stesso);

– la complessiva inammissibilità del ricorso preclude in radice il rilievo dei profili di inammissibilità del motivo dell’appello della M. riguardante la (asserita) omessa notifica dei titoli esecutivi, questione qui riproposta con la seconda censura: trattandosi di questione attinente alla regolarità formale degli atti prodromici e alla loro notificazione, la doglianza sul punto è da qualificarsi come opposizione ex art. 617 c.p.c., e, dunque, l’appello era ex se inammissibile;

– col terzo motivo – già di per sé inammissibile perché teso a contrastare l’accertamento in fatto del giudice di merito in ordine alla dimostrazione di una circostanza – non si evidenzia un fatto decisivo non considerato nelle decisioni di merito (come richiesto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nel testo oggi vigente e come interpretato da questa Corte) e, comunque, la denuncia di tale vizio è preclusa dall’art. 348-ter c.p.c., comma 5;

– il ricorso e’, dunque, dichiarato inammissibile e le spese del giudizio di legittimità – liquidate a favore della controricorrente nella misura indicata nel dispositivo, secondo i parametri normativi – sono poste a carico della soccombente ricorrente;

– va dato atto, poi, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

PQM

la Corte;

dichiara inammissibile il ricorso;

condanna la ricorrente a rifondere alla controricorrente le spese di questo giudizio, liquidate in Euro 7.300,00 per compensi ed Euro 200,00 per esborsi, oltre ad accessori di legge;

ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello versato per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, qualora dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile, il 9 dicembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 18 gennaio 2022

©2024 misterlex.it - [email protected] - Privacy - P.I. 02029690472