Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.1337 del 18/01/2022

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LEONE Margherita Maria – rel. Presidente –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Fabrizio – Consigliere –

Dott. BELLE’ Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 30699-2019 proposto da:

INPS, – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, in proprio e quale procuratore speciale della SOCIETA’ DI CARTOLARIZZAZIONE DEI CREDITI INPS (SCCI) SPA, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’AVVOCATURA CENTRALE DELL’ISTITUTO, rappresentato e difeso dagli avvocati EMANUELE DE ROSE, CARLA D’ALOISIO, ANTONINO SGROI, LELIO MARITATO;

– ricorrente –

contro

C.E., B.G., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA APPENNINI 60, presso lo studio dell’avvocato CARMINE DI ZENZO, rappresentati e difesi dall’avvocato GINO AMBROSINI;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 188/2019 della CORTE D’APPELLO di GENOVA, depositata l’08/04/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 26/10/2021 dal Presidente Relatore Dott. MARGHERITA MARIA LEONE.

RILEVATO

CHE:

Con la sentenza n. 188/2019 la Corte di appello di Genova respingeva l’appello proposto dall’Inps avverso la decisione con cui il tribunale aveva accolto l’opposizione agli avvisi di addebito emessi dall’Istituto nei confronti di B.C. e C.E. in relazione alla maggiore pretesa contributiva, per gli iscritti alla Gestione commercianti, derivante da redditi scaturenti da partecipazioni in società a responsabilità limitata.

La corte territoriale aveva ritenuto non dovuta la contribuzione derivata dai redditi scaturenti da partecipazioni societarie in quanto non collegabili allo svolgimento di una attività lavorativa.

Avverso detta decisione l’Inps proponeva ricorso affidato a un motivo cui resistevano con controricorso B.C. e C.E.. Veniva depositata proposta ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., ritualmente comunicata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio.

CONSIDERATO

CHE:

1)- Con unico motivo l’INPS deduce – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – violazione e falsa applicazione della L. 14 novembre 1992, n. 438, art. 3 bis, di conv.ne con modificazioni del D.L. 19 settembre 1992, n. 384, e in connessione con la L. 2 agosto 1990, n. 233; la questione sottoposta al vaglio di questa Corte attiene al fatto se il lavoratore autonomo, iscritto alla gestione previdenziale in quanto svolgente un’attività lavorativa per la quale sussistono i requisiti per il sorgere della tutela previdenziale obbligatoria, debba parametrare o meno il proprio obbligo contributivo a tutti i redditi percepiti nell’anno di riferimento, tenendo conto anche di quelli da partecipazione a società di capitali nella quale egli non svolge attività lavorativa; trattasi di questione risolta da Cass. n. 21540 del 2019 (seguita, tra le altre, da Cass. n. 18594 del 2020 e da Cass. n. 19001 del 2020);

il Collegio ritiene di dare continuità ai principi affermati nelle sentenze sopra richiamate, condividendone le ragioni esposte, da intendere qui richiamate ex art. 118 disp. att. c.p.c., atteso che il ricorrente non apporta argomenti decisivi che impongano la rimeditazione del richiamato orientamento giurisprudenziale; nelle citate pronunce è stato rilevato che il D.L. 19 settembre 1992, n. 384, art. 3 bis, convertito con modificazioni dalla L. 14 novembre 1992, n. 438, ha previsto che “A decorrere dall’anno 1993, l’ammontare del contributo annuo dovuto per i soggetti di cui alla L. 2 agosto 1990, n. 233, art. 1, è rapportato alla totalità dei redditi d’impresa denunciati ai fini IRPEF per l’anno al quale i contributi stessi si riferiscono” e che con la nuova disposizione rileva “la totalità” dei redditi d’impresa denunciati ai fini IRPEF, non parlandosi più della sola attività che dà titolo all’iscrizione alla gestione della L. n. 233 del 1990, ex art. 1, con una formulazione che realizza un ampliamento della base imponibile contributiva; è stato precisato, altresì, che al fine di individuare quale sia il reddito di impresa rilevante ai fini contributivi, occorre fare riferimento alle norme fiscali e, dunque, in primo luogo al testo unico delle imposte sui redditi, D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917. Il suddetto D.P.R. contiene distinte disposizioni onde qualificare i redditi d’impresa rispetto ai redditi di capitale: i primi, a mente dell’art. 55 (nel testo post riforma del 2004), sono quelli che derivano dall’esercizio di attività imprenditoriale mentre l’art. 44, lett. e) (nel testo post riforma del 2004), ricomprende tra i redditi di capitale gli utili da partecipazione alle società soggette ad IRPEG (ora IRES); poiché la normativa previdenziale individua, come base imponibile sulla quale calcolare i contributi, la totalità dei redditi d’impresa così come definita dalla disciplina fiscale e considerato che secondo il testo unico delle imposte sui redditi gli utili derivanti dalla mera partecipazione a società di capitali, senza prestazione di attività lavorativa, sono inclusi tra i redditi di capitale, ne consegue che questi ultimi non concorrono a costituire la base imponibile ai fini contributivi; in tali precedenti (v. Cass. n. 21540 cit., p. 11 e ss.) è messo in evidenza anche il diverso regime dettato per i soci di società di persone e le ragioni di coerenza del sistema alla luce dei principi affermati dalla Corte Costituzionale, nella sentenza n. 354 del 2001; pertanto, il ricorso va rigettato; le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.

Sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dal D.P.R. 30 maggio, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (legge di stabilità 2013).

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 3.800,00 per compensi professionali, in Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 26 ottobre 2021.

Depositato in Cancelleria il 18 gennaio 2022

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