LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE L
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. LEONE Margherita Maria – Presidente –
Dott. MARCHESE Gabriella – Consigliere –
Dott. CALAFIORE Daniela – rel. Consigliere –
Dott. BUFFA Francesco – Consigliere –
Dott. DE FELICE Alfonsina – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 4073-2020 proposto da:
CASSA NAZIONALE DI PREVIDENZA ED ASSISTENZA A FAVORE DEI RAGIONIERI E PERITI COMMERCIALI, in persona del procuratore speciale pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA ANTONIO BERTOLONI 44/46, presso lo studio dell’avvocato MATTIA PERSIANI, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato GIOVANNI BERETTA;
– ricorrente –
contro
V.S., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA MAZZINI, 27, presso lo studio dell’avvocato PAOLO ZUCCHINALI, che lo rappresenta e difende;
– controricorrente –
contro
V.S., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA MAZZINI, 27, presso lo studio dell’avvocato PAOLO ZUCCHINALI, che lo rappresenta e difende;
contro
CASSA NAZIONALE DI PREVIDENZA ED ASSISTENZA A FAVORE DEI RAGIONIERI E PERITI COMMERCIALI, in persona del procuratore speciale pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA ANTONIO BERTOLONI 44/46, presso lo studio dell’avvocato MATTIA PERSIANI, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato GIOVANNI BERETTA;
– controricorrente del ricorso successivo –
avverso la sentenza n. 316/2019 della CORTE D’APPELLO) di BRESCIA, depositata il 23/07/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 16/11/2021 dal Consigliere Relatore Dott. DANIELA CALAFIORE.
RILEVATO
che:
il Tribunale del lavoro di Bergamo, accolse il ricorso proposto da V.S., titolare a decorrere dall’1.4.2004 di pensione di anzianità erogata dalla Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza a favore dei Ragionieri e Periti Commerciali (da qui Cassa), con il quale era stata domandata la condanna di quest’ultima alla riliquidazione della prestazione, previa rideterminazione della quota “A” (applicando un criterio di frazionamento in sub quote secondo le diverse disposizioni regolamentari succedutesi) e la declaratoria di illegittimità del contributo di solidarietà applicato negli anni 2014-2016;
tale sentenza fu appellata dalla Cassa e la Corte d’Appello di Brescia, dopo aver precisato che la Cassa aveva dichiarato che in relazione alle sentenze delle Sezioni Unite di questa Corte di cassazione nn. 17742 e 18136 del 2015 aveva riliquidato la pensione calcolando la quota “A” applicando il criterio di calcolo introdotto dalla Delib. 28 giugno 1997 (15 redditi più elevati degli ultimi 20 anni) e su tale importo aveva applicato il contributo di solidarietà per gli anni 2014-2016, con sentenza n. 316 del 2019, ha accolto il motivo d’appello della Cassa relativo al calcolo della pensione per sub quote, dovendosi applicare il criterio relativo al momento di maturazione del diritto a pensione ed ha pure ritenuta assorbita la questione proposta dal pensionato relativa al divisore giornaliero; inoltre, quanto alla questione del massimale pensionistico introdotto con Delib. 28 giugno 1997, la Corte territoriale ha ritenuto lo stesso illegittimo così come il contributo di solidarietà;
avverso tale sentenza ricorrono per cassazione sia la Cassa, con due motivi, che V.S., con un motivo; rispetto a ciascun ricorso hanno resistito con controricorso il R. e la Cassa;
e’ stata comunicata alle parti la proposta del relatore unitamente al decreto di fissazione della presente adunanza;
la Cassa ha depositato memoria, rinunciando al secondo motivo e chiedendo che la causa venga rimessa alle Sezioni Unite o alla pubblica udienza; V.S. ha pure depositato memoria chiedendo la trattazione in pubblica udienza.
CONSIDERATO
che:
preliminarmente va rilevato che i due ricorsi proposti rispettivamente dalla Cassa e dal V. sono riuniti ai sensi dell’art. 335 c.p.c., posto che l’impugnazione proposta per prima assume caratteri ed effetti d’impugnazione principale e determina la costituzione del procedimento, nel quale debbono confluire, con natura ed effetti di impugnazioni incidentali, le successive impugnazioni proposte contro la medesima sentenza dalle altre parti soccombenti, con la conseguenza che il ricorso per cassazione, validamente ed autonomamente proposto dopo che altro ricorso sia stato già notificato ad iniziativa della controparte (in questo caso quello proposto dalla Cassa), si converte, riunito a questo, in ricorso incidentale, sempreché siano stati rispettati i relativi termini (Cass., 13/12/2011, n. 26723);
in via preliminare va osservato che la richiesta di trattazione in pubblica udienza proposta dalle parti postula la necessità di rimeditare i precedenti citati dalle stesse parti a dimostrazione di una affermata errata interpretazione del principio espresso dalle Sezioni Unite di questa Corte n. 17742 del 2015;
il Collegio, tuttavia, non ritiene che la soluzione della questione ivi affermata imponga la sollecitata nuova meditazione, né tanto meno che ricorrano i presupposti per investire della medesima questione le Sezioni Unite non ricorrendo contrasti o questioni di massima di particolare rilevanza per le quali questa Corte non abbia esercitato la propria funzione nomofilattica;
con il primo motivo del ricorso principale, la Cassa denuncia la violazione e falsa applicazione della L. n. 335 del 1995, art. 3, comma 12, in relazione al cd. tetto pensionistico; in sostanza si duole della ritenuta illegittimità dell’applicazione del massimale pensionistico previsto dalla Delib. 28 giugno 1997 con cui era stato fissato un massimale per i trattamenti pensionistici e ciò sul presupposto che il principio stabilito da Cass. S.U., 8 settembre 2015, n. 17742 avesse ritenuto illegittimo il massimale, in relazione alle anzianità già maturate al momento dell’introduzione del predetto limite, ma non rispetto alle anzianità successive cui quindi, in applicazione del criterio stesso del pro rata, il massimale, in calcolo proporzionale e pro quota, andrebbe applicato;
il motivo è infondato, dovendo darsi continuità alla giurisprudenza di questa Corte di cassazione (ex plurimis SS. UU. n. 17742 del 2015; Cass. nn. 14870 e 14871 del 2018; Cass. n. 23597 del 2018; Cass. nn. 136, 1841, 1842, 2286 del 2019) secondo cui la Cassa (come gli altri enti previdenziali privatizzati) non poteva adottare, in funzione dell’obiettivo di assicurare equilibrio di bilancio e stabilità delle proprie gestioni, provvedimenti che, lungi dall’incidere sui criteri di determinazione del trattamento pensionistico, impongono un massimale allo stesso trattamento e, come tali, risultano incompatibili con il rispetto del principio del pro rata, in relazione alle anzianità già maturate rispetto all’introduzione delle modifiche derivanti dagli stessi provvedimenti;
l’imposizione del massimale esula, infatti, dai provvedimenti previsti da detto art. 3, comma 12 (nella versione precedente alla modifica del 2007: “…provvedimenti di variazione delle aliquote contributive, di riparametrazione dei coefficienti di rendimento o di ogni altro criterio di determinazione del trattamento pensionistico nel rispetto del principio del pro rata in relazione alle anzianità già maturate rispetto alla introduzione delle modifiche derivanti dai provvedimenti suddetti) e risulta incompatibile con “il rispetto del principio del pro rata”;
le Sez. Unite hanno pure osservato che questa impostazione non è validamente contrastata dall’ulteriore obiezione della difesa della CNRP a proposito del contenuto improprio del concetto di pro rata che da essa deriverebbe. Tale concetto non deve essere inteso con l’ampiezza voluta dalla ricorrente, al punto di applicare ogni singolo criterio di calcolo via via modificato nel tempo a partire dalla L. n. 160 del 1963, poi seguita dalla L. n. 1140 del 1970, quindi dalla L. n. 414 del 1991. Il principio del pro rata opera, infatti, solo dall’entrata in vigore di detto art. 3, comma 12, “ed in relazione alle anzianità già maturate rispetto alla introduzione delle modifiche incidenti sulla determinazione della pensione e, quindi, con riferimento ai criteri di liquidazione che, al momento di introduzione di dette modifiche, sarebbero stati altrimenti applicabili a tali pregresse anzianità” (v. Cass. 26.10.12 n. 18478 e 29.10.12n. 18559);
con il secondo motivo, la Cassa deduce la violazione e falsa applicazione della L. n. 335 del 1995, art. 3, comma 12, come novellato dalla L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 763 nonché dal D.Lgs. n. 509 del 1994, art. 2 con riferimento al contributo di solidarietà;
questo motivo ha formato oggetto di rinuncia da parte della Cassa per cui lo stesso non deve essere esaminato; ciò in applicazione del principio secondo il quale la rinuncia ad uno o più motivi di ricorso, che rende superflua una decisione in ordine alla fondatezza o meno di tali censure, è efficace anche in mancanza della sottoscrizione della parte o del rilascio di uno specifico mandato al difensore, in quanto, implicando una valutazione tecnica in ordine alle più opportune modalità di esercizio della facoltà d’impugnazione e non comportando la disposizione del diritto in contesa, è rimessa alla discrezionalità del difensore stesso, e resta, quindi, sottratta alla disciplina di cui all’art. 390 c.p.c. per la rinuncia al ricorso (Cass. n. 414 del 13/01/2021; Cass. n. 22269 del 2016);
con l’unico motivo del ricorso incidentale V.S. censura che la sentenza non abbia riconosciuto che il trattamento pensionistico dovesse essere diviso in sub quote e dunque dovesse trovare applicazione il principio del cosiddetto “pro rata integrale” in base al quale la pensione, con il sistema retributivo, non deve essere liquidata in unica quota, ma deve risultare dalla somma di tante quote quanti sono i cambiamenti normativi intervenuti dopo l’introduzione del principio pro rata e dunque: una prima quota dall’iscrizione alla Cassa fino al 30/6/1997 calcolata secondo la disciplina della L. n. 414 del 1991, art. 2, comma 2, ed ulteriori quote secondo i criteri di gradualità previsti dall’art. 49, comma 11 del Regolamento del 1997;
il motivo è infondato;
con riferimento alle modalità di calcolo della pensione del V., decorrente dall’1/4/2004, devono trovare applicazione i seguenti principi (ex multis Cass. nn. 2285, 9863, 3808, 10038 del 2019) ed in particolare va ribadito che:
a) l’applicazione alla fattispecie in esame dei contenuti del principio del pro rata comporta che, rispetto al principio generale secondo cui il trattamento pensionistico va liquidato secondo le regole esistenti al momento della maturazione del diritto a pensione, va garantita la “posizione previdenziale” già maturata che si traduce concretamente nella fissazione di una clausola di non regresso a salvaguardia del mantenimento del diritto al montante complessivo della contribuzione già versata nel corso della vita lavorativa secondo un criterio sinallagniatico per cui l’ammontare della contribuzione accumulata ha un suo valore economico in termini di potenziale rendita vitalizia che non può essere sterilizzato dal legislatore;
b) poiché con le modifiche intervenute nel 2002-2003 si è passati dal sistema retribuivo a quello contributivo con l’introduzione di due quote di pensione – A (retributiva) e B (contributiva) – in simmetria con la riforma del 1995 (v. L. n. 335 del 1995, art. 1, comma 12), al criterio di calcolo della quota A (retributiva) deve applicarsi il criterio del pro rata formulato dalla L. n. 335 del 1995, art. 3, comma 12, per cui all’anzianità già maturata corrisponde una quota di pensione (la quota A) calcolata secondo i previgenti (più favorevoli) parametri;
c) trattasi di regole strumentali alla liquidazione della pensione per cui è alla data di maturazione del medesimo diritto che occorre guardare per individuare le regole da applicare per il calcolo della quota A e, precisamente, vanno applicate le previsioni dell’art. 49 del Regolamento di esecuzione del 1997, in vigore al momento delle radicali modifiche del 2002 e del 2003;
il comma 11 di detta disposizione, nell’elevare gradualmente la media dei redditi da prendere in considerazione, ha previsto per le liquidazioni quale quella in esame decorrente dall’1/1/2006 che “La misura annua della pensione di vecchiaia è pari, per ogni anno di effettiva iscrizione e contribuzione, al 2 per cento della media dei quindici redditi professionali annuali più elevati dichiarati dall’iscritto ai fini dell’imposta sul reddito delle persone fisiche (IRPEF) per gli ultimi venti anni solari di contribuzione anteriori a quello di maturazione del diritto a pensione”.
d) non va, invece, fatta applicazione di ogni singolo criterio di calcolo via via modificato nel tempo (L. n. 160 del 1963, L. n. 1140 del 1970, L. n. 414 del 1991 e da ultimo dalle Delib. 2002-2003), la cosiddetta “pro quota integrale”, attesa l’insussistenza della garanzia del pro rata antecedentemente alla L. n. 335 del 1995 e dovendosi, nella specie, applicare il meccanismo previsto dal Regolamento del 1997, vigente al momento del pensionamento;
entrambi i ricorsi vanno, quindi, rigettati e le spese del giudizio vanno compensate alla luce della reciproca soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta entrambi i ricorsi; dichiara compensate le spese del giudizio di legittimità.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale e del ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale e per quello incidentale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 16 novembre 2021.
Depositato in Cancelleria il 18 gennaio 2022