Nel caso di giudizio in cui il ricorrente abbia richiesto l’accertamento del diritto alla pensione di inabilità civile, ammettendo che in tale ipotesi il giudice può riconoscergli l’assegno mensile di invalidità, per l’implicita inclusione di questo, in quanto beneficio minore, in quello maggiore espressamente domandato, senza che ciò comporti violazione del principio di corrispondenza del chiesto al pronunciato, a norma dell’art. 112 c.p.c.; intercorrendo infatti tra i due benefici assistenziali, relativi a un diverso grado di compromissione della capacità lavorativa, un necessario rapporto di continenza, per la detta configurazione dell’assegno come un minus rispetto alla pensione ed essendo ammissibile, a norma dell’art. 437 c.p.c., comma 2, la produzione in grado di appello della documentazione necessaria.
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE L
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. LEONE Margherita Maria – Presidente –
Dott. MARCHESE Gabriella – Consigliere –
Dott. CALAFIORE Daniela – rel. Consigliere –
Dott. BUFFA Francesco – Consigliere –
Dott. DE FELICE Alfonsina – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 1815-2020 proposto da:
L.S., domiciliato presso la cancelleria della CORTE Dl CASSAZIONE, PIAZZA CAVOUR, ROMA, rappresentato e difeso dall’avvocato GIOVANNI RUSSO;
– ricorrente –
contro
INPS – ISTITUTO NAZIONALE della PREVIDENZA SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA, 29, presso lo studio dell’avvocato MANUELA MASSA, che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati PATRIZIA CIACCI, CLEMENTINA PULLI;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 3431/2019 del TRIBUNALE di FOGGIA, depositata il 09/07/2019;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non partecipata del 16/11/2021 dal Consigliere Relatore Dott. DANIELA CALAFIORE.
RILEVATO
che:
L.S. presentò al Tribunale di Foggia istanza per accertamento tecnico preventivo obbligatorio, ai sensi dell’art. 445 bis c.p.c., finalizzato ad ottenere l’accertamento del requisito sanitario relativo alla pensione civile; la c.t.u. si concluse con l’accertamento dell’80% di invalidità;
il L. formulò dichiarazione di dissenso ed instaurò il giudizio previsto dall’art. 445 bis c.p.c., penultimo comma, precisando che l’esito della c.t.u. avrebbe giustificato il riconoscimento del requisito sanitario previsto per l’assegno di invalidità ricorrendone i presupposti reddituali;
il Tribunale di Foggia ha rigettato il ricorso rilevando che le due prestazioni, dell’assegno e della pensione, avevano proprie discipline e l’accertamento del c.t.0 aveva avuto riferimento esclusivamente alla pensione, unica prestazione indicata, senza che mai fosse stata prospettata la domanda relativa all’assegno di invalidità;
inoltre, era era emerso dall’interrogazione del sistema informatico di cancelleria (SICID) che era stata espletata altra procedura di a.t.p.o (n. r.g. 5899/2016) che aveva già appurato la sussistenza del 74% di invalidità, con omologa del 27 luglio 2016 decorrente dal primo luglio 2016, e l’istanza da ultimo proposta dal L. era da ritenersi come denuncia di aggravamento, per cui difettava l’interesse della parte ad agire per ottenere nuovamente l’accertamento del medesimo requisito sanitario utile a conseguire l’assegno di invalidità civile già fruito;
avverso tale decisione ricorre L.S. con un motivo, illustrato da successiva memoria;
l’INPS resiste con controricorso;
e’ stata comunicata alle parti la proposta del relatore unitamente al decreto di fissazione dell’odierna adunanza.
CONSIDERATO
che:
con l’unico motivo di ricorso si deduce la violazione dell’art. 112 c.p.c., e dell’art. 149 disp. att. c.p.c., in connessione alla L. n. 118 del 1971, artt. 12 e 13, in ragione del fatto che l’istanza di espletamento di a.t.p.o. conteneva la specificazione del precedente accertamento tecnico obbligatorio, ma che tale precedente era stato superato dalla proposizione di successiva domanda del 18 ottobre 2017, volta ad ottenere il riconoscimento di un grado di invalidità superiore all’esito della quale era stato accertato un grado di invalidità addirittura inferiore a quello omologato nel 2016;
ciò, ad avviso del ricorrente, non configurerebbe una ipotesi di ne bis in idem non soltanto per la mancanza di un giudicato attribuibile ai decreti di omologa di cui all’art. 445 bis c.p.c., ma anche perché al momento in cui fu proposta la domanda giudiziaria il ricorrente non era più in possesso del requisito sanitario riconosciutogli in precedenza; in sostanza, su tali basi non poteva dubitarsi della sussistenza dell’interesse ad agire al fine di ottenere il riconoscimento di una invalidità pari al 100% o, comunque, pari o superiore al 74% in virtù del rapporto di continenza esistente tra le due predette percentuali invalidanti; ciò anche in ragione del disposto dell’art. 149 disp. att. c.p.c., che impone il riconoscimento di tutte le infermità comunque incidenti sul complesso invalidante che si siano verificate nel corso tanto del procedimento amministrativo che di quello giudiziario;
il ricorso è infondato;
il ricorrente lamenta che la sentenza impugnata avrebbe violato sia l’art. 112 c.p.c., che l’art. 149 disp. att. c.p.c., e cioè l’obbligo di giudicare su tutta la domanda, trascurando che l’oggetto dell’accertamento tecnico preventivo obbligatorio previsto dall’art. 445 bis c.p.c., coincida con l’oggetto di una domanda giudiziaria tesa all’accertamento del diritto della prestazione indicata;
sulla base di tale presupposto ritiene di poter richiamare la nozione di continenza che può teoricamente porsi tra la domanda di riconoscimento del diritto alla pensione di inabilità civile e quella relativa all’assegno di invalidità civile (rispettivamente previsti dalla L. n. 118 del 1971, artt. 12 e 13);
tale tesi, tuttavia, non è corretta, avendo questa Corte di cassazione escluso che l’ambito del procedimento in esame coincida con quello relativo all’accertamento del diritto (Cass. n. 17787 del 2020; Cass. n. 27010 del 2018), essendo esso limitato all’accertamento del requisito sanitario e, dunque, solo di un elemento della fattispecie costitutiva, di talché quanto in essa deciso non può contenere un’efficace declaratoria sul diritto alla prestazione, essendo essa destinata a sopravvenire solo in esito ad accertamenti relativi agli ulteriori requisiti socio – economici;
e’ quindi evidente che l’accertamento sanitario scaturito dal procedimento di cui all’art. 445 bis c.p.c., non possa costituire il presupposto giuridico della continenza rivendicata dal ricorrente e della pronuncia di accertamento del diritto all’assegno di invalidità preteso;
tale rapporto è stato infatti stabilito dalla giurisprudenza di questa Corte di legittimità nel caso di giudizio in cui il ricorrente abbia richiesto l’accertamento del diritto alla pensione di inabilità civile, ammettendo che in tale ipotesi il giudice può riconoscergli l’assegno mensile di invalidità, per l’implicita inclusione di questo, in quanto beneficio minore, in quello maggiore espressamente domandato, senza che ciò comporti violazione del principio di corrispondenza del chiesto al pronunciato, a norma dell’art. 112 c.p.c.; intercorrendo infatti tra i due benefici assistenziali, relativi a un diverso grado di compromissione della capacità lavorativa, un necessario rapporto di continenza, per la detta configurazione dell’assegno come un minus rispetto alla pensione ed essendo ammissibile, a norma dell’art. 437 c.p.c., comma 2, la produzione in grado di appello della documentazione necessaria (Cassazione civile, sez. VI, 09/06/2015, n. 11961 ed altre ivi cit.);
invero, l’accertamento sanitario definitivo a cui tende il procedimento fissato dall’art. 445 bis c.p.c., si risolve pur sempre in un accertamento in fatto, ove la presenza degli ulteriori requisiti della prestazione a cui si aspira sono valutati dal giudice solo in via di mera delibazione ed in tal senso si è affermato che il giudice adito ex art. 445 bis c.p.c., deve valutare l’ammissibilità dell’accertamento tecnico preventivo ex art. 445 bis c.p.c., verificando, come proiezione dell’interesse ad agire ai sensi dell’art. 100 c.p.c., che l’accertamento medico-legale, sia richiesto in vista di una specifica prestazione previdenziale o assistenziale che risponda ad una concreta utilità per il ricorrente – la quale potrebbe difettare ove siano manifestamente carenti, con valutazione “prima facie”, altri presupposti della predetta prestazione, al fine di evitare il rischio della proliferazione smodata del contenzioso sull’accertamento del requisito sanitario (Cass. n. 14629 del 2021; Cass. n. 2587 del 2020);
nel caso di specie, la sentenza impugnata ha correttamente negato che l’accertamento tecnico espletato al fine di accertare il presupposto sanitario per la pensione di inabilità civile potesse valere in vista dell’ottenimento dell’assegno di invalidità civile essendo incontestato che tale prestazione non era stata indicata prima del deposito dell’atto di dissenso;
il motivo è infondato anche con riferimento al difetto di interesse ad agire;
il ricorrente non ha efficacemente contrastato quanto rilevato, in fatto, dalla sentenza impugnata con riferimento alla circostanza che l’accertamento dello stato invalidante sotteso al riconoscimento dell’assegno di invalidità civile era già stato ottenuto con altro procedimento ex art. 445 bis c.p.c., in ordine al quale era stato proposto accertamento per aggravamento;
a fronte di tali specifiche circostanze, il ricorrente si è limitato a rilevare che secondo una prassi giurisprudenziale locale l’espletamento del procedimento di cui all’art. 445 bis c.p.c., avrebbe potuto condurre all’accertamento del diritto all’assegno di invalidità, assegno che, per quanto emerso nel giudizio di merito, era ancora erogato al ricorrente;
l’interesse ad agire, previsto quale condizione dell’azione dall’art. 100 c.p.c., consente di distinguere fra le azioni di mera iattanza e quelle oggettivamente dirette a conseguire il bene della vita consistente nella rimozione dello stato di giuridica incertezza in ordine alla sussistenza di un determinato diritto, va identificato in una situazione di carattere oggettivo derivante da un fatto lesivo, in senso ampio, del diritto e consistente in ciò che senza il processo e l’esercizio della giurisdizione l’attore soffrirebbe un danno, sicché esso deve avere necessariamente carattere attuale, poiché solo in tal caso trascende il piano di una mera prospettazione soggettiva assurgendo a giuridica ed oggettiva consistenza, e resta invece escluso quando il giudizio sia strumentale alla soluzione soltanto in via di massima di una questione di diritto in vista di situazioni future o meramente ipotetiche (Cass. Sez. L, Sentenza n. 10062 del 09/10/1998; Sez. L, Sentenza n. 13293 del 27/11/1999);
il ricorso va, in definitiva, rigettato; il ricorrente non può essere condannato alle spese del presente giudizio avendo rilasciato dichiarazione di esonero ai sensi dell’art. 152 disp. att. c.p.c..
PQM
La Corte rigetta il ricorso.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Adunanza Camerale, il 16 novembre 2021.
Depositato in Cancelleria il 18 gennaio 2022