Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.1370 del 18/01/2022

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRECO Antonio – Presidente –

Dott. MOCCI Mauro – Consigliere –

Dott. CATALDI Michele – Consigliere –

Dott. CROLLA Cosmo – Consigliere –

Dott. LUCIOTTI Lucio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 2129-2020 R.G. proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, C.F. *****, in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, presso la quale è domiciliata in Roma, alla via dei Portoghesi, n. 12;

– ricorrente –

contro

D.A.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 4807/07/2019 della Commissione tributaria regionale della CAMPANIA, depositata il 31/05/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non partecipata del 16/11/2021 dal Consigliere Lucio LUCIOTTI.

RILEVATO

che:

– in controversia relativa ad impugnazione di un avviso di accertamento emesso dall’Agenzia delle entrate nei confronti di D.A., con riferimento all’anno di imposta 2012, per recupero a tassazione dell’IVA risultante da fatture che l’amministrazione finanziaria sosteneva essere relative ad operazioni soggettivamente inesistenti intercorse con la fornitrice Team Shop’s s.r.l., con la sentenza impugnata la CTR rigettava l’appello erariale sostenendo che “logico e pienamente condivisibile è il ragionamento dei giudici di prime cure che ritengono impossibile il recupero di IVA non portata in detrazione”; che “dall’esame delle fatture di acquisto effettuati dalla Team Shop’s srl per il 2012” e “dalla documentazione in atti (fatture 2012 e registro IVA acquisti)”, risultava che “nella quasi totalità dei casi (vedesi fatt.re nn. *****, *****, *****, *****, *****, ***** ecc…) si tratta di operazioni per le quali l’Iva è esente o esclusa”;

– avverso tale statuizione l’Agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione affidato a due motivi, cui non replica l’intimato;

– sulla proposta avanzata dal relatore ai sensi del novellato art. 380 bis c.p.c., risulta regolarmente costituito il contraddittorio.

CONSIDERATO

che:

1. Entrambi i motivi di ricorso, con cui l’Agenzia delle entrate deduce la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 36 e 61, nonché dell’art. 118 disp. att. c.p.c., sono incentrati sulla nullità della sentenza per carenza assoluta di motivazione, sub specie di motivazione apparente, nonché per contraddittorietà ed illogicità della stessa. Sostiene la ricorrente che la sentenza impugnata non presenta adeguata giustificazione argomentativa con riferimento all’adesione data dai giudici di appello a quelli di primo grado e che la stessa presenta una intrinseca illogicità là dove ha ritenuto “impossibile il recupero di Iva non portata in detrazione” pur ritenendo attendibile la contabilità del contribuente e la detraibilità dell’IVA per fatture non escluse o non esenti (nella specie per 267,97 Euro a fronte di complessivi 6.703,00 Euro di IVA fatturata).

2. I motivi, che possono essere esaminati congiuntamente in quanto tra loro strettamente connessi, sono fondati e vanno accolti.

3. Il vizio di motivazione meramente apparente della sentenza ricorre allorquando il giudice, in violazione di un preciso obbligo di legge, costituzionalmente imposto (art. 111 Cost., comma 6), e cioè dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 (in materia di processo civile ordinario) e del D.Lgs. n. 546 del 1992, omologo art. 36, comma 2, n. 4, (in materia di processo tributario), omette di esporre concisamente i motivi in fatto e diritto della decisione, di specificare o illustrare le ragioni e l’iter logico seguito per pervenire alla decisione assunta, e cioè di chiarire su quali prove ha fondato il proprio convincimento e sulla base di quali argomentazioni è pervenuto alla propria determinazione, in tal modo consentendo anche di verificare se abbia effettivamente giudicato iuxta alligata et probata; l’obbligo del giudice “di specificare le ragioni del suo convincimento”, quale “elemento essenziale di ogni decisione di carattere giurisdizionale” è affermazione che ha origine lontane nella giurisprudenza di questa Corte e precisamente alla sentenza delle sezioni unite n. 1093 del 1947, in cui la Corte precisò che “l’omissione di qualsiasi motivazione in fatto e in diritto costituisce una violazione di legge di particolare gravità” e che “le decisioni di carattere giurisdizionale senza motivazione alcuna sono da considerarsi come non esistenti” (in termini, Cass. n. 2876 del 2017; v. anche Cass., Sez. U., n. 16599 e n. 22232 del 2016 e n. 7667 del 2017 nonché la giurisprudenza ivi richiamata).

4. Alla stregua di tali principi consegue che la sanzione di nullità colpisce non solo le sentenze che siano del tutto prive di motivazione dal punto di vista grafico (che sembra potersi ritenere mera ipotesi di scuola) o quelle che presentano un “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e che presentano una “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile” (cfr. Cass. S.U. n. 8053 del 2014; conf. Cass. n. 21257 del 2014), ma anche quelle che contengono una motivazione meramente apparente, del tutto equiparabile alla prima più grave forma di vizio, perché dietro la parvenza di una giustificazione della decisione assunta, la motivazione addotta dal giudice è tale da non consentire “di comprendere le ragioni e, quindi, le basi della sua genesi e l’iter logico seguito per pervenire da essi al risultato enunciato” (cfr. Cass. n. 4448 del 2014), venendo quindi meno alla finalità sua propria, che è quella di esternare un “ragionamento che, partendo da determinate premesse pervenga con un certo procedimento enunciativo”, logico e consequenziale, “a spiegare il risultato cui si perviene sulla res decidendi” (Cass. cit.; v. anche Cass., Sez. un., n. 22232 del 2016 e la giurisprudenza ivi richiamata).

5. Deve quindi ribadirsi il principio più volte affermato da questa Corte secondo cui la motivazione è solo apparente – e la sentenza è nulla perché affetta da error in procedendo – quando, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (Cass., Sez. U, Sentenza n. 22232 del 2016, Rv. 641526-01; conf. Cass., Sez. 6-5, Ordinanza n. 14927 del 2017).

6. In tale grave forma di vizio incorre anche la sentenza che, come nel caso di specie, opera un espresso quanto immotivato rinvio per relationem alla sentenza di primo grado. Al riguardo questa Corte (cfr. Cass. n. 22022 del 2017) “ha ripetutamente statuito che la motivazione per relationem è valida a condizione che i contenuti mutuati siano fatti oggetto di autonoma valutazione critica e le ragioni della decisione risultino in modo chiaro, univoco ed esaustivo (Cass., S.U. n. 14814/08 e n. 642/15), specificando che il giudice d’appello è tenuto ad esplicitare le ragioni della conferma della pronuncia di primo grado con riguardo ai motivi di impugnazione proposti (Cass. sez. V, nn. 4780/16, 6326/16; Cass. S.U. n. 8053/14; conf. ex multis, Cass. sez. V, nn. 16612/15, 15664/14, 12664/12, 7477/11, 979/09, 13937/02), sicché deve considerarsi nulla – in quanto meramente apparente una motivazione la cui laconicità non consenta di appurare, come nel caso di specie, che alla condivisione della decisione di prime cure il giudice d’appello sia pervenuto attraverso l’esame e la valutazione di infondatezza dei motivi di gravame, previa specifica ed adeguata considerazione delle allegazioni difensive, degli elementi di prova e dei motivi di appello proposti (ex multis Cass. sez. V, nn. 3320/16, 25623/15, 1573/07, 2268/06, 25138/05, 13990/03, 3547/02)”.

7. Nella fattispecie il rinvio che la CTR opera alla sentenza di prime cure ed alle argomentazioni in essa sviluppate – come reso evidente dal contenuto motivazionale della sentenza impugnata sopra trascritta nella parte in questa sede rilevante – è fatto in evidente ed insanabile difformità al principio giurisprudenziale appena sopra enunciato, essendosi i giudici di appello limitati a condividere la sentenza appellata senza alcuna valutazione critica dei motivi di appello proposti al riguardo dall’amministrazione finanziaria (per autosufficienza riprodotti nel ricorso), riproducendo in maniera pressoché pedissequa le medesime argomentazioni svolte in sentenza dai giudici di primo grado (pure riprodotti per autosufficienza nel ricorso in esame), omettendo di farsi carico, come era suo onere, di spiegare le ragioni per le quali abbia ritenuto – peraltro, con ragionamento che non si sottrae neppure alla censura di illogicità – che quelle fatturate erano operazioni esenti o escluse dall’imposta sul valore aggiunto nonostante la contestata inattendibilità della contabilità ed il contrasto con la dichiarazione presentata dal contribuente e, soprattutto, l’accertata partecipazione del medesimo ad una frode in materia di IVA.

8. Conclusivamente, il ricorso va accolto e la sentenza impugnata va cassata con rinvio della causa alla CTR territorialmente competente per nuovo esame e per la regolamentazione delle spese processuali del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Commissione tributaria regionale della Campania, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 16 novembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 18 gennaio 2022

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