Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.1374 del 18/01/2022

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – Consigliere –

Dott. D’AQUINO Filippo – rel. Consigliere –

Dott. FRAULINI Paolo – Consigliere –

Dott. SAIEVA Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 8871/2013 R.G. proposto da:

BENQ ITALY SRL, CON SOCIO UNICO (C.F. *****), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avv. EUGENIO BRIGUGLIO, dall’Avv. GIANLUCA BOCCALATTE ed elettivamente domiciliata presso lo studio dell’Avv. ERNESTO MOCCI in Roma, Via Germanico, 146;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, (C.F. *****), in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, elettivamente domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi, 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria Regionale della Lombardia, n. 60/30/12, depositata in data 27 settembre 2012.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio dell’8 marzo 2021 dal Consigliere Relatore Filippo D’Aquino.

RILEVATO

CHE:

La società ricorrente BENQ ITALY SRL – facente parte di un gruppo multinazionale che fa capo alla società taiwanese BenQ Corporation – ha impugnato un avviso di accertamento, relativo al periodo di imposta dell’esercizio 2003, per IRPEG e IRAP. L’accertamento traeva origine da una verifica, conclusasi con un PVC in data 26 aprile 2006, con il quale si contestava alla contribuente di essersi approvvigionata di merce provenienti da imprese operanti in Paesi a fiscalità privilegiata tramite l’interposizione fittizia di una società di diritto olandese (BenQ Europe BV), controllante della società contribuente, il cui intervento nella catena distributiva veniva ritenuto antieconomico. Sulla base di tali assunti, l’Ufficio procedeva a una prima ripresa, consistente nell’indeducibilità dei costi di ricarico operati dalla società interposta, in quanto costi non inerenti. In secondo luogo, l’Ufficio riteneva che, tramite l’interposizione della BenQ BV, i prezzi praticati dalla contribuente fossero finalizzati a trasferire alle imprese produttrici del Gruppo BenQ site nei Paesi a fiscalità privilegiata la maggior parte dell’imponibile, con conseguente ripresa a tassazione dei ricavi sulla base del valore normale. In terzo luogo, veniva disconosciuta l’inerenza di costi di riaddebito da parte della società olandese alla contribuente per l’assicurazione del rischio di solvibilità dei clienti.

La CTP di Milano ha rigettato il ricorso e la CTR della Lombardia, con sentenza in data 27 settembre 2012, ha rigettato l’appello della contribuente. Ha ritenuto la CTR – in relazione all’approvvigionamento della contribuente dai paesi extra-UE – che non si rinvengono ragioni economiche per la interposizione della controllante in relazione a tali acquisti. Sotto il secondo profilo, la CTR ha ritenuto che la contribuente non avrebbe ripartito i redditi conseguiti in Italia secondo i valori di mercato dei beni acquistati dalla catena distributiva del gruppo, ciò risultando dalla variabilità dei prezzi unitari e dall’applicazione da parte della cedente di diritto olandese di prezzi di ricarico negativo, ciò costituendo prova indiziaria del trasferimento del vantaggio economico in aziende del gruppo site in altri Paesi. Ha, infine, ritenuto la non inerenza dei costi di assicurazione.

Propone ricorso per cassazione la contribuente affidato a dieci motivi, al quale ha fatto seguito memoria, cui resiste con controricorso l’Ufficio intimato.

CONSIDERATO

CHE:

1.1 – Con il primo motivo si deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omessa e insufficiente motivazione circa un fatto controverso per il giudizio in relazione alla indeducibilità del ricarico operato dalla società olandese interposta, stante la supposta antieconomicità del ruolo dalla stessa svolto all’interno del gruppo in relazione all’odierna contribuente. Parte ricorrente, oltre a rimarcare la mancata valorizzazione delle attività strategiche e gestionali della controllante, evidenzia che la contestazione dell’Ufficio si sarebbe appuntata su una delle modalità di approvvigionamento della contribuente per il tramite della società di diritto olandese BenQ Europe PV (merce proveniente da paesi extraEuropei), quale presupposto della natura antieconomica della interposizione della controllante olandese. Evidenzia parte ricorrente come la società controllante provvedesse ad approvvigionare la contribuente anche tramite altri canali distributivi, provenendo la merce anche da magazzini italiani (in deposito fiscale) ed Europei. Evidenzia, inoltre, il ricorrente che erroneamente sarebbe stato utilizzato il criterio della media aritmetica in luogo della media ponderata ai fini del calcolo nel quantum degli elementi negativi di reddito ripresi a tassazione, così come erroneo e non rappresentativo sarebbe il campione di transazioni utilizzato dall’Ufficio ai fini del calcolo della percentuale di ricarico del 13,13%. Ritiene il ricorrente non adeguatamente valorizzata la circostanza che il prezzo relativo al servizio prestato dalla controllante olandese fosse inferiore ai costi che si sarebbero sostenuti dalla contribuente per l’acquisto diretto dai fornitori. Evidenzia, infine, contraddittorietà della motivazione dell’atto impugnato, nella parte in cui ha ritenuto sussistenti i rapporti tra contribuente e controllante ai fini delle ulteriori riprese in tema di prezzi di trasferimento e di costi assicurativi.

1.2 – Con il secondo motivo si deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio sotto i medesimi profili, riproponendo il ricorrente quali fatti storici il cui esame sarebbe stato omesso dal giudice gli stessi fatti già sottoposti ad esame nel precedente motivo di gravame come vizio di motivazione (acquisti da Paesi Europei e da un magazzino italiano operate sempre dalla società controllante olandese, inferiorità del ricarico operato dalla controllante rispetto ai costi di approvvigionamento diretto, evidenza nell’atto impugnato di una supposta esistenza della società interposta ai fini delle riprese in base alla disciplina dei prezzi di trasferimento e dei costi assicurativi, erroneità del campione preso in esame e della metodologia utilizzata ai fini della quantificazione del ricarico).

1.3 – Con il terzo motivo si deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 violazione o falsa applicazione dell’art. 111 Cost., dell’art. 132c.p.c., dell’art. 118 disp. att. c.p.c. e del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 36 per radicale assenza della motivazione, valorizzando sotto tale profilo i medesimi argomenti. Deduce, in particolare, assenza di motivazione in relazione alla natura antieconomica dei ricarichi operati dalla società di diritto olandese, avendo la CTR tralasciato sia l’esame delle forme di approvvigionamento diverse da quella dei Paesi extra-UE, sia le modalità di calcolo sia la circostanza della contraddittorietà dell’accertamento riguardante le riprese attinenti ai prezzi di trasferimento, che invece presuppongono l’effettività della catena distributiva.

2 – Il terzo motivo, il quale assume ruolo pregiudiziale rispetto ai primi due, in quanto veicola una censura di nullità della sentenza, è infondato. La sentenza impugnata ha individuato la natura antieconomica della interposizione della società controllante di diritto olandese – ai fini della sterilizzazione, per non inerenza, dei costi di ricarico da questa operati sulla contribuente – nella circostanza, in fatto, che così operando la società contribuente avrebbe evitato di accollarsi l’onere di intrattenere rapporti con fornitori siti in Paesi a fiscalità privilegiata (“senza la fittizia interposizione della controllante olandese, la appellante avrebbe avuto rapporti diretti con le imprese produttrici (…) e quindi (…) non sarebbero stati deducibili i relativi componenti negativi di reddito in quanto derivanti da operazioni intercorse tra imprese residenti ed imprese domiciliate fiscalmente in Stati o territori non appartenenti all’Unione Europea con regimi fiscali privilegiati”). La motivazione si nutre, inoltre, dell’accertamento (per quanto ellittico) dell’assenza di vantaggio economico degli acquisti operati dalla controllante rispetto ai potenziali acquisti diretti operati dalla contribuente (“giustificando il ricarico operato che apoditticamente si assume meno costoso per la controllata degli oneri dell’acquisto diretto dal paese a fiscalità privilegiata”), circostanza in fatto in relazione alla quale è stata propriamente disconosciuta l’inerenza dei costi. Parimenti, la sentenza impugnata ha dato contezza di quale sarebbe il campione di transazioni preso in esame ai fini della ripresa in oggetto (“casistica residuale”). Dovendo il vizio di nullità della sentenza per violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36 risolversi – come evidenzia lo stesso ricorrente nel parametro normativo – nella totale assenza di motivazione, tale da risultare del tutto inidonea ad assolvere alla funzione specifica di esplicitare le ragioni della decisione (Cass., VI, 25 settembre 2018, n. 22598) – tale vizio non può ritenersi ricorrere nel caso di specie, avendo dato la motivazione della commissione di appello contezza del percorso logico seguito, per quanto non si sia tenuto conto di tutti gli aspetti dedotti dalla contribuente.

3.1 – Il primo e il secondo motivo, i quali possono essere esaminati congiuntamente, sono inammissibili. Si rileva, in primo luogo, come il sindacato di legittimità sulla motivazione resta, oramai, circoscritto alla sola verifica della violazione del minimo costituzionale richiesto dall’art. 111 Cost., comma 6, individuabile nelle ipotesi – che possono essere esaminate e si convertono, all’evidenza, in violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, con conseguente nullità della sentenza per violazione di legge costituzionalmente rilevante, nei casi di mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale, di motivazione apparente, di manifesta ed irriducibile contraddittorietà e di motivazione perplessa od incomprensibile (Cass., Sez. III, 12 ottobre 2017, n. 23940; Cass., Sez. II, 13 agosto 2018, n. 20721; Cass., Sez. U., 7 aprile 2014, n. 8053), non potendosi più dedurre, come si è già visto supra, vizi attinenti alla incompletezza del percorso motivazionale seguito dal giudice del merito.

3.2 – Quanto, in particolare, alla eventuale riqualificazione dei vizi motivazionali sotto il profilo dell’omesso esame di fatti storici e, in particolare, quanto alle censure poste con il secondo motivo, va escluso che possa prendersi in esame la circostanza che BenQ Europe BV sia stata effettivamente considerata, quanto ad altri profili di accertamento (differenziale tra costi di acquisto e prezzo di rivendita ai fini della tematica dei prezzi di trasferimento e disconoscimento dell’inerenza dei costi di assicurazione sostenuti dalla società di diritto olandese), quale società effettivamente operante, trattandosi di questione attinente alla completezza del profilo motivazionale e non qualificabile come fatto storico.

3.3 – Quanto, poi, al giudizio di antieconomicità dei costi di ricarico per mancata prova da parte della contribuente del maggior costo che avrebbero avuto i propri acquisti, ove direttamente effettuati dalla contribuente nei confronti delle consociate extra-UE, non è stato enucleato il fatto storico che avrebbe dovuto portare la commissione di appello a un giudizio diverso da quello fornito, già evidenziato in relazione all’esame del primo motivo (“giustificando il ricarico operato che apoditticamente si assume meno costoso per la controllata degli oneri dell’acquisto diretto dal paese a fiscalità privilegiata”), risolvendosi la doglianza in una censura di trascuratezza dell’istruttoria. In ogni caso, l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo, censurabile ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass., Sez. VI, 8 novembre 2019, n. 28887; Cass., Sez. VI, 10 febbraio 2015, n. 2498), risolvendosi in questo caso il vizio di supposto omesso esame di un fatto storico (in tesi, effettivamente esaminato), presupposto per una inammissibile nuova valutazione dei fatti operata dal giudice del merito (Cass., Sez. U., 27 dicembre 2019, n. 34476).

Analogamente, non sono stati indicati i fatti storici che avrebbero dovuto consentire nel quantum il diverso calcolo secondo la media ponderata anziché secondo la media aritmetica, nonché gli elementi che farebbero ritenere erroneo e non rappresentativo il campione di transazioni utilizzato dall’Ufficio ai fini del calcolo della percentuale di ricarico.

3.4 – Quanto, infine, all’omesso esame del tema degli approvvigionamenti provenienti dal canale interno (tramite deposito fiscale) e da quello Europeo, il ricorrente non offre elementi per ritenere l’esame di questo fatto storico come decisivo ai fini del giudizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, dovendo il ricorrente illustrare in che termini tale fatto storico, ove esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia (Cass., Sez. II, 29 ottobre 2018, n. 27415; Cass., Sez. U., 7 aprile 2014, n. 8053), soprattutto in un caso, come quello in esame, dove il giudizio di antieconomicità è stato calibrato unicamente in relazione agli acquisti extra-UE e non in relazione ad altri.

4.1 – Con il quarto motivo si deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 76, commi 2 e 5, TUIR (attuale art. 110, comma 2 e art. 71 TUIR), dell’art. 9 TUIR, del D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, art. 11-bis e dell’art. 2697 c.c., nella parte in cui la sentenza impugnata ha ritenuto violata la disciplina dei prezzi di trasferimento. Deduce il ricorrente come sia onere dell’Ufficio, al fine di superare l’elemento documentale (e negoziale) del prezzo di acquisto concordato tra la cedente e le altre società del gruppo, fornire la prova che tale prezzo costituisca violazione del prezzo o corrispettivo mediamente praticato dal soggetto in condizioni di libera concorrenza (“valore normale”). Evidenzia come nessuno dei metodi propugnati sulla base delle Linee Guida OCSE e della Circolare dell’Amministrazione finanziaria n. 32/9/2267 del 1980 sia stato applicato nel caso di specie, con conseguente violazione delle regole di distribuzione dell’onere della prova.

4.2 – Con il quinto motivo si deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omessa e/o insufficiente motivazione circa un fatto controverso per il giudizio in relazione al rilievo relativo ai prezzi di trasferimento. Deduce parte ricorrente come non si sia tenuto conto nella sentenza impugnata né delle modalità di calcolo del valore normale, né delle caratteristiche commerciali e merceologiche dell’attività economica svolta, né degli elementi utilizzati per il calcolo; contesta il ricorrente sia il campione utilizzato per il computo dei prezzi, sia l’utilizzo della media aritmetica e non di quella ponderale, sia l’omessa considerazione delle condizioni di mercato e della fase di start up in cui ha operato la contribuente. Evidenzia, nuovamente, contraddittorietà tra la ripresa in oggetto (ove la società controllante viene effettivamente considerata come società del gruppo) e quella relativa all’indeducibilità dei costi black Iist, in cui il ruolo la società interposta viene sterilizzato in quanto società fittiziamente interposta.

4.3 – Con il sesto motivo si deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, valorizzando le medesime questioni già rubricate nel motivo precedente.

4.4 – Con il settimo motivo si deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 violazione o falsa applicazione dell’art. 111 Cost., dell’art. 132c.p.c., dell’art. 118 disp. att. c.p.c. e del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 36 per assenza di motivazione in relazione alla ripresa dei prezzi di trasferimento, sulla base delle medesime questioni già illustrate nei due motivi precedenti.

5 – Il quarto motivo è fondato.

5.1 – La sentenza impugnata ha ritenuto, sulla base dell’avviso impugnato, che “l’interposizione della controllante appalesa finalità di elusione della norma fiscale – non economicamente giustificabili e di conseguenza il ricarico praticato sulle prefate importazioni perde il requisito dell’inerenza in quanto non necessario né causalmente collegato all’attività di produzione del reddito ex art. 110, comma 7 del TUIR”. Pur traendo spunto dalla ripresa di indeducibilità del costo di ricarico (fondata sul diverso e distonico presupposto della antieconomicità della interposizione della società di diritto olandese), la CTR ipotizza l’esistenza di un elemento di presunta elusione fiscale e valorizza in tal senso la “incoerente e inspiegata marcata variabilità dei prezzi praticati dalla controllante, cosi come (…) la applicazione degli addotti margini negativi”, al fine di trarre la “presunzione” che il Gruppo BenQ “non abbia ripartito i redditi conseguiti in Italia secondo i valori di mercato (…) ma li abbia concentrati presso i paesi di residenza dei produttori”. Sicché, nonostante nessun metodo di calcolo del valore normale sia stato adottato dall’Ufficio (previa comparazione, ad esempio, dei prezzi praticati dalla contribuente con le altre società non residenti del gruppo rispetto a transazioni concluse da e con soggetti indipendenti), la CTR ha ritenuto sufficiente ai fini dell’accertamento del valore normale di cui all’art. 110, comma 7, TUIR l’eccessiva variabilità dei prezzi unitari e l’applicazione di ricarichi negativi da parte della controllante, quale “sintomo di una condotta patologica”, induttiva della prova del “trasferimento dell’effettivo vantaggio economico nelle imprese con più bassi costi di produzione”.

5.2 – La CTR giunge, quindi – previa depurazione della percentuale di ricarico negativo di un margine forfetario del 5% – a considerare assolto l’onere della prova da parte dell’Ufficio circa l’accertamento di un valore normale dei prezzi praticati (genericamente indicati “sia in acquisto che in vendita”), in deroga ai prezzi contrattuali praticati dalla contribuente, a termini delle indicate disposizioni del TUIR (art. 76, commi 2 e 5 TUIR, corrispondente all’art. 110, commi 2 e 7, TUIR pro tempore e art. 9 TUIR) senza aver fatto alcun riferimento alle metodologie che, secondo le Linee Guida OCSE, consentono la comparazione del margine dell’impresa infragruppo residente con quella che sarebbe dalla stessa conseguibile in caso di transazioni con imprese indipendenti (come, ad esempio, il metodo del prezzo di rivendita e il metodo del costo maggiorato).

5.3 – Si osserva come questa Corte ha da tempo evidenziato che la regola di giudizio del canone di normalità del prezzo di transazione, come il relativo onere probatorio, sono a carico dell’Ufficio (Cass., Sez. V, 2 marzo 2020, n. 5645), senza che abbia rilievo la finalità elusiva di parte contribuente, non dovendo l’amministrazione finanziaria provare il presupposto della maggiore fiscalità nazionale rispetto a quella transfrontaliera. Ciò che l’amministrazione finanziaria deve, invero, provare – a superamento del dato documentale risultante dalla pattuizione degli specifici prezzi di trasferimento infragruppo – è che le transazioni – ove condotte tra soggetti indipendenti – avrebbero generato un maggior reddito imponibile per la società contribuente residente (Cass., Sez. V, 21 gennaio 2021, n. 1232).

5.4 – Spetta, pertanto, all’amministrazione finanziaria provare l’esistenza di transazioni economiche, tra imprese collegate, ad un prezzo apparentemente inferiore a quello normale (Cass., Sez. V, 16 gennaio 2019, n. 898), ricorrendo alla metodologia indicata dall’art. 9 TUIR (Cass., 18 settembre 2015, n. 18392; Cass., Sez. V, 19 aprile 2018, n. 9673), come integrato dalle linee guida OCSE (Cass., 18 giugno 2020, n. 11837). Solo ove risulti provata l’esistenza di un prezzo di transazione non comparabile con quello che sarebbe stato praticato dalla contribuente con una impresa indipendente in analoghe condizioni di mercato, sorge l’onere della contribuente di provare che tali transazioni sarebbero intervenute per valori di mercato da considerarsi normali (Cass., Sez. V, 19 aprile 2018, n. 9673; Cass., Sez. V, 15 novembre 2017, 27018; Cass., Sez. V, 15 aprile 2016, n. 7493; Cass., 30 giugno 2016, n. 13387; Cass., Sez. V, 18 settembre 2015, n. 18392), così dando la contribuente contezza delle eventuali ragioni commerciali per le quali tale transazione sarebbe stata conclusa (Cass., Sez. V, n. 1232/2021, cit.; Corte di Giustizia UE, 8 ottobre 2020, Pizzarotti, C-558/19, punto 36), tra le quali – in caso di transazioni Eurounitarie – ben può annoverarsi la posizione assunta dalla società all’interno del gruppo (Corte di Giustizia UE, 31 maggio 2018, Hornbach, C-382/16, punti 57, 58).

5.5 – Nella specie la CTR non ha esaminato, come nota correttamente il ricorrente, se e quali metodi di comparazione del valore delle transazioni con soggetti indipendenti sarebbero stati presi in esame dall’Ufficio, non essendo sufficiente né il riferimento alla variabilità dei prezzi (genericamente riferita sia a quelli di acquisto, sia a quelli di vendita), né il margine di ricarico negativo, se non previa comparazione di tali valori con quelli di transazioni con economie terze indipendenti. Il motivo va, pertanto, accolto, dovendo la CTR verificare la metodologia di determinazione del margine e del reddito conseguito dalla contribuente alla luce delle Linee Guida OCSE. Sono conseguentemente, assorbiti i motivi quinto, sesto e settimo.

6.1 – Con l’ottavo motivo si deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omessa e insufficiente motivazione circa un fatto controverso per il giudizio in relazione alla ripresa dei costi di assicurazione in quanto non inerenti. Evidenzia il ricorrente che la CTR avrebbe confermato l’avviso di accertamento, ove ha ritenuto indeducibili i costi di assicurazione sostenuti dalla società olandese e riaddebitati alla contribuente previa riqualificazione del rapporto tra la contribuente e la controllante in termini di contratto di commissione, sul presupposto che l’interesse a stipulare i contratti di insolvenza sarebbe del committente e non della contribuente in qualità di commissionaria. Contesta l’assunto del giudice di appello, deducendo che i rapporti tra controllante e contribuente sarebbero ascrivibili a un rapporto di distribuzione, né si ravviserebbero le ragioni per la riqualificazione del rapporto. Ritiene, in ogni caso, che sussisterebbero le ragioni per la stipula di polizze a garanzia del rischio di insolvenza clienti, stante il rischio di dover comunque assolvere agli obblighi contrattuali nei confronti della controllante e rimarca come il fatto che in alcuni casi il pagamento alla società olandese sarebbe avvenuto successivamente all’incasso dei clienti è dipeso dalla circostanza che si trattava di rapporti commerciali estranei al perimetro assicurativo.

6.2 – Con il nono motivo si deduce, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5, omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio in relazione alla medesima ripresa, evidenziandosi le medesime questioni di cui al superiore motivo.

6.3 – Con il decimo motivo si deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 violazione o falsa applicazione dell’art. 111 Cost., dell’art. 132c.p.c., dell’art. 118 disp. att. c.p.c. e del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 36 per radicale assenza della motivazione in relazione alla medesima ripresa, anche in tal caso sulla base delle medesime questioni già rubricate nei superiori due motivi.

7 – Il decimo motivo, il quale riveste ruolo pregiudiziale rispetto agli altri, è infondato, avendo la CTR reso una motivazione idonea a disvelare il percorso logico seguito (“non appare verosimile la esimente circostanza addotta dalla difesa di parte contribuente che la controllata italiana sarebbe parte di semplici operazioni di compravendita tra due soggetti indipendenti”), in base a tale motivazione, la CTR ha concluso che la società ha operato in una “cogente politica di un gruppo multinazionale” e non nell’interesse proprio, motivazione che dà contezza dell’iter logico seguito.

8 – I motivi ottavo e nono sono invece inammissibili, sia in quanto redatti secondo la formulazione precedente la attuale (e pro tempore vigente) formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 14, n. 5, sia in quanto vengono dedotti quali fatti storici (in relazione al nono motivo di ricorso) mere argomentazioni giuridiche (qualificazione del rapporto contrattuale come rapporto di distribuzione, incidenza del rischio di assolvimento degli obblighi contrattuali nei confronti della controllante), la cui omissione non può integrare la censura per cui è causa (Cass., Sez. VI, 6 settembre 2019, n. 22397; Cass., Sez. I, 18 ottobre 2018, n. 26305; Cass., Sez. II, 14 giugno 2017, n. 14802), sia in quanto si tratta di fatti storici di cui non è stata data adeguata evidenza di decisività ai fini del giudizio (quanto alla circostanza in fatto della estraneità al perimetro assicurativo di quei pagamenti nei confronti della società controllante in epoca successiva all’incasso dei clienti).

Il ricorso va pertanto, accolto in relazione al quarto motivo, cassandosi la sentenza con rinvio alla CTR a quo, anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità. Sotto quest’ultimo profilo si evidenzia l’inammissibilità del controricorso – come correttamente notato dal ricorrente in memoria – per assenza di difese. Va ribadito, sotto questo profilo, il principio secondo cui il controricorso – pur non dovendo necessariamente riportare a pena di inammissibilità la esposizione sommaria dei fatti di causa – deve invece contenere i motivi di diritto su cui si fonda, che ne costituiscono requisito essenziale a pena di inammissibilità, ai sensi dell’art. 366 c.p.c., n. 4, richiamato dell’art. 370 c.p.c., comma 2, con conseguente inammissibilità del controricorso privo di deduzioni giuridiche contrarie al ricorso (Cass., Sez. III, 10 aprile 2019, n. 9983; Cass., Sez. V, 26 maggio 2009, n. 12171; Cass., Sez. II, 13 marzo 2006, n. 5400). Il controricorrente non ha, nella specie, articolato alcuna difesa, avendo fatto riserva di integrare le difese e limitandosi ad asserire “le doglianze sollevate ex adverso non paiono fondate e se ne chiede la reiezione”.

P.Q.M.

La Corte, rigetta il terzo e il decimo motivo; dichiara inammissibili il primo, il secondo, l’ottavo e il nono motivo, accoglie il quarto motivo, dichiara assorbiti il quinto, il sesto e il settimo motivo; cassa la sentenza impugnata con rinvio alla CTR della Lombardia, in diversa composizione, anche per la regolazione e la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 8 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 18 gennaio 2022

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