Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.1388 del 18/01/2022

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. CAIAZZO Rosario – rel. Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 9765/2017 proposto da:

M.G. & Figli s.n.c., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Corso Trieste n. 37, presso lo studio dell’avvocato Recchioni Stefano, che la rappresenta e difende, con procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Intesa Sanpaolo S.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Largo di Torre Argentina n. 11, presso lo studio dell’avvocato Martella Dario, che la rappresenta e difende, unitamente all’avvocato Esposito Mario, con procura speciale in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 28/2017 della CORTE D’APPELLO di LECCE SEZIONE DISTACCATA di TARANTO, depositata il 07/02/2017;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 05/11/2021 dal Cons. rel. Dott. CAIAZZO ROSARIO.

RILEVATO

Che:

Con sentenza del 2013 il Tribunale di Taranto condannò l’Intesa SP s.p.a. alla restituzione della somma di Euro 371.686,00 in favore della M.G. & Figli s.n.c., in relazione alle maggiori somme incassate dalla convenuta nel corso del rapporto di conto corrente (per omessa pattuizione scritta del tasso d’interessi, per capitalizzazione trimestrale degli interessi e applicazione di commissioni di massimo scoperto), disattendendo l’eccezione di prescrizione della banca. Al riguardo, il Tribunale osservò che: il conto non poteva essere considerato non affidato in quanto, per i rapporti sorti prima del 1992, non sussisteva l’obbligo della forma scritta, con la conseguenza che tutti i versamenti dovevano essere interpretati come aventi natura ripristinatoria, con la conseguenza che il termine decennale della prescrizione sarebbe decorso dalla data d’estinzione del conto, circostanza non verificatasi nella fattispecie concreta; era inverosimile che il continuo pagamento di assegni e bonifici fosse avvenuto per mera tolleranza.

Avverso tale sentenza propose appello Intesa SP, deducendo che: era maturata la prescrizione eccepita in ordine alla domanda restitutoria eccedente la somma di Euro 4254,12, trattandosi di rimesse solutorie, poiché affluite su conto corrente non affidato; sia parte attrice che il suo consulente avevano negato l’esistenza di affidamenti, considerato altresì che un’apertura di credito non era desumibile dalla mera tolleranza della banca di una situazione di scoperto, anche in mancanza della determinazione dell’ammontare dell’affidamento.

Con sentenza del 27.1.17, la Corte territoriale accolse parzialmente l’appello, condannando la banca alla restituzione della minor somma di Euro 4254,12, oltre interessi, osservando che: non era stato provato l’accordo tra le parti sull’apertura di credito di fatto, che non era desumibile dalla mera tolleranza di una situazione di scoperto, in ordine al pagamento di assegni che erano da considerare, in via di principio, come concessioni discrezionalmente accordate caso per caso, anche tenendo conto della mancanza di determinazione del limite del credito; di conseguenza, i versamenti eseguiti sul conto, avendo natura solutoria, erano coperti dalla prescrizione fino al 31.3.98, termine decennale dall’inizio del giudizio; tenendo conto dei calcoli effettuati dal c.t.u., fondati sull’analisi dei movimenti contabili e non contestati dalle parti, ed esclusi quindi gli addebiti di somme indebitamente percepite dalla banca e rientranti nel periodo coperto dalla prescrizione, il credito di restituzione ammontava alla minor somma di Euro 4254,12, oggetto d’indebito.

M.G. & Figli s.n.c. ricorre in cassazione con tre motivi, illustrati con memoria. Resiste Intesa SP con controricorso, illustrato con memoria.

RITENUTO

Che:

Il primo motivo denunzia la nullità della sentenza per violazione degli artt. 77 e art. 83 c.p.c., per non avere la Corte d’appello rilevato d’ufficio il difetto di prova della sussistenza di poteri rappresentativi sia processuali che sostanziali in capo al soggetto che aveva rilasciato, per la banca, la procura ad litem, in particolare per il giudizio di appello. Egli, infatti, aveva dichiaratamente agito per procura speciale del legale rappresentante della banca, ma tale procura non era stata prodotta in giudizio.

Il motivo è infondato in quanto la procura in questione è stata regolarmente prodotta dalla banca e risulta indicata al n. 1 dell’elenco dei documenti da essa prodotti in appello, elenco debitamente sottoscritto, per attestazione del deposito, dal cancelliere.

Il secondo motivo deduce la nullità della sentenza impugnata per violazione del giudicato interno, e dunque dell’art. 324 c.p.c., e art. 2909 c.c., in quanto, rilevato che tale sentenza si articola in una pluralità di rationes decidendi tra loro distinte ed autonome, non tutte erano state fatte oggetto di specifica censura in appello da parte della banca. La ricorrente espone in particolare che la mancata impugnazione in appello del capo della sentenza relativo all’omessa segnalazione dell’asserito sconfinamento alla Centrale rischi presso la Banca d’Italia aveva determinato il passaggio in giudicato della sentenza di primo grado, che però non è stato rilevato dalla Corte territoriale.

Il motivo è inammissibile. La ricorrente, infatti, si limita a riportare, della motivazione del Tribunale, soltanto la frase sopra annotata (sulla asserita mancata segnalazione alla Banca d’Italia dello sconfinamento) della quale è impossibile stabilire se possa integrare o meno una autonoma ratio decidendi, in difetto di ulteriori indicazioni sul contesto della stessa: indicazioni che, però, sarebbe stato onere della ricorrente riportare, in ossequio ai principi di specificità ed autosufficienza del ricorso per cassazione.

Il terzo motivo denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 1842,1843,2697, c.c., art. 24 Cost., anche in relazione alla L. n. 154 del 1992, art. 3 e art. 117 Tub, non avendo la Corte d’appello rilevato l’inosservanza dell’onere della prova da parte della banca circa la stipula tra le parti di un’apertura di credito per fatti concludenti, legittima ratione temporis, che era invece desumibile da vari elementi specifici, univoci e concordanti, come aveva accertato il Tribunale la cui statuizione non era stata adeguatamente censurata in appello, e comunque lamentando che l’eccezione di prescrizione era generica.

Il motivo è infondato. Questa Corte ha già avuto occasione di chiarire che, in presenza di eccezione di prescrizione della banca, è onere del correntista, attore in ripetizione dell’indebito, allegare e provare l’esistenza di un contratto di apertura di credito in conto corrente, che consenta di qualificare come non già solutorie, bensì meramente ripristinatorie della provvista, le rimesse effettuate entro i limiti dell’affidamento (cfr. Cass. 27704/2018; 2660/2019; 31927/2019). Nella specie, la Corte d’appello ha accertato la mancanza di un tale contratto e dunque ha escluso in fatto che la banca ne avesse fornito la prova. Ne’ è corretta in diritto l’affermazione della sussistenza di una presunzione del carattere non solutorio, bensì meramente ripristinatorio, di tutte le rimesse affluite in un conto corrente che presenti un saldo passivo per il correntista: affermazione che non può essere condivisa, per quanto sopra osservato, ancorché sia presente nell’isolato precedente di questa Corte – la sentenza n. 4518/2014 richiamato dalla ricorrente. Quanto poi, alle modalità di formulazione dell’eccezione di prescrizione da parte della banca, secondo la giurisprudenza di questa Corte, l’onere di allegazione gravante sull’istituto di credito che, convenuto in giudizio, voglia opporre l’eccezione di prescrizione al correntista che abbia esperito l’azione di ripetizione di somme indebitamente pagate nel corso del rapporto di conto corrente assistito da apertura di credito, è soddisfatto con l’affermazione dell’inerzia del titolare del diritto, unita alla dichiarazione di volerne profittare, senza che sia necessaria l’indicazione delle specifiche rimesse solutorie ritenute prescritte (Cass. Sez. Un. 15895/2019).

Le spese seguono la soccombenza.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio che liquida nella somma di Euro 8200,00 di cui 200,00 per esborsi, oltre alla maggiorazione del 15% quale rimborso forfettario delle spese generali ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 5 novembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 18 gennaio 2022

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