Corte di Cassazione, sez. Unite Civile, Sentenza n.1392 del 18/01/2022

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Primo Presidente –

Dott. DI IASI Camilla – Presidente di Sez. –

Dott. MANNA Antonio – Presidente di Sez. –

Dott. STALLA Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 28568/2020 proposto da:

P.T., B.L., R.L., (erede di B.V.), B.A., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA VITTORIA COLONNA 40, presso lo studio dell’avvocato DAMIANO LIPANI, rappresentati e difesi dall’avvocato NICOLO’ MARCELLO;

– ricorrenti –

contro

PROVINCIA DI PESARO E URBINO, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato MARIA BEATRICE RIMINUCCI;

– controricorrente –

e contro

D.S.C.P., COMUNE DI FANO, COMUNE DI PESARO, CURATELA DEL FALLIMENTO ***** S.R.L. IN LIQUIDAZIONE;

– intimati –

avverso la sentenza n. 2384/2020 del CONSIGLIO DI STATO, depositata il 14/04/2020.

Udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 07/12/2021 dal Consigliere Dott. ANTONIO PIETRO LAMORGESE;

lette le conclusioni scritte del Sostituto Procuratore Generale Dott. ALBERTO CARDINO, il quale chiede il rigetto del ricorso.

FATTI DI CAUSA

I signori B.A., B.L., R.L. (erede di B.V.) e P.T. adivano il Tribunale amministrativo regionale delle Marche e riferivano di essere proprietari di terreni coinvolti nell’iniziativa assunta con un accordo preliminare di programma stipulato dalla Società ***** srl (ente concessionario delle acque termali e loro procuratrice speciale), dalla Provincia di Pesaro e Urbino, dal Comune di Pesaro, dal Comune di Fano, finalizzato alla stipula di un accordo definitivo per la realizzazione di un centro turistico termale denominato “*****” nei Comuni di Pesaro e Urbino.

Essi chiedevano di dichiarare l’illegittimità del silenzio serbato dalla Provincia di Pesaro e Urbino e dai Comuni di Pesaro e Fano e, nelle conclusioni riepilogate nella memoria di replica, “in via principale, di ordinare alla pubblica amministrazione la definizione e conclusione del procedimento di cui all’Accordo di programma preliminare del 28.5.2009, sancendone l’impossibilità di stipulare l’Accordo di Programma definitivo; in via subordinata, (di) ordinare alla p.a. la definizione e conclusione del procedimento di cui all’Accordo di Programma preliminare del 28.5.2009 con l’approvazione della variante urbanistica e la sottoscrizione dell’Accordo di programma definitivo e conseguentemente ordinare al Comune di Fano e alla provincia di Pesaro e Urbino… di provvedere in tal senso”.

Il Tribunale amministrativo declinava la giurisdizione in forza della clausola arbitrale che deferiva “Qualsiasi controversia derivante dall’accordo (…) al giudizio di un collegio arbitrale composto da un membro in rappresentanza di ciascuna delle parti interessate, più un presidente (…); qualora il numero degli arbitri sia pari, il Presidente del collegio avrà diritto a un voto doppio”.

Il gravame dei privati è stato rigettato dal Consiglio di Stato, con sentenza n. 2384 del 2020.

I signori B.A., B.L., R.L. (erede di B.V.) e P.T. propongono ricorso per cassazione, resistito dalla Provincia di Pesaro e Urbino.

Il Procuratore Generale ha presentato conclusioni scritte chiedendo il rigetto del ricorso.

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo i ricorrenti denunciano violazione dell’art. 12 c.p.a. e art. 806 c.p.c., per avere affermato la compromettibilità della controversia in arbitri, benché avesse ad oggetto un accordo di programma disciplinato della L. 8 giugno 1990, n. 142, art. 27, trasfuso del D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267, art. 34, costituente un provvedimento amministrativo, al fine di assicurare l’azione integrata e coordinate di amministrazioni pubbliche, rispetto alla quale i soggetti interessati all’attuazione sono titolari non di diritti soggettivi ma di interessi legittimi indisponibili, inquadrabile nella categoria degli accordi di cui della L. 7 agosto 1990, n. 241, art. 15, con conseguente giurisdizione del giudice amministrativo, attenendo la controversia alla formazione, conclusione ed esecuzione dell’accordo (L. n. 241 del 1990, art. 11).

Il motivo è infondato.

Il Consiglio di Stato, nella sentenza impugnata, ha correttamente osservato che la soluzione della controversia “discende dalla natura delle posizioni giuridiche soggettive che sono state devolute in arbitrato, atteso che se le stesse sono da qualificare come diritti soggettivi disponibili, la clausola arbitrale di cui all’art. 10 della convenzione è valida ed efficace, con conseguente difetto di competenza del giudice amministrativo, così come statuito dall’impugnata sentenza del giudice di primo grado, mentre se le posizioni dovessero essere qualificate di interesse legittimo, posizione indisponibile in quanto collegata all’esercizio del potere pubblico, la clausola arbitrale sarebbe nulla, con conseguente competenza del giudice amministrativo ed erroneità della sentenza di primo grado”.

Questa impostazione è aderente all’affermazione, presente nella giurisprudenza di questa Corte, secondo cui, al fine di valutare la compromettibilità in arbitrato di una controversia derivante dall’esecuzione di accordi integrativi o sostitutivi del provvedimento amministrativo, devoluta alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, occorre valutare la natura delle situazioni giuridiche azionate, potendosi ricorrere allo strumento arbitrale solo se tali situazioni abbiano la consistenza di diritto soggettivo, ai sensi dell’art. 12 c.p.a., e non invece la consistenza di interesse legittimo (cfr. Cass., sez. I, n. 2738 del 2021; Sez. Un. 12428 del 2021).

Al fine di individuare la natura delle posizioni giuridiche soggettive coinvolte nella vicenda in esame, il Consiglio di Stato – dopo avere richiamato l’art. 3 dell’accordo di programma preliminare concluso, ai sensi del D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267, art. 34 e della L.R. Marche 5 agosto 1992, n. 34, art. 26-bis, per realizzare le attività di interesse generale previste da una variante urbanistica, la cui approvazione era conseguente alla sottoscrizione dell’accordo definitivo e alla successiva ratifica da parte dei Consigli comunali – ha osservato che “gli adempimenti rispetto ai quali gli odierni appellanti lamentano l’inerzia delle amministrazioni (…) sono relativi ad attività di deposito, pubblicazione e sottoposizione dell’accordo (preliminare, costituente variante al PRG) a ratifica del Consiglio comunale, ma non richiedono l’esplicazione di una volontà amministrativa volta alla disciplina unilaterale e autoritativa dei rapporti. Parimenti preliminari e strumentali – si legge nella sentenza impugnata – sono gli adempimenti ulteriori a carico dell’Amministrazione provinciale di Pesaro e Urbino, concernenti l’approvazione dell’accordo di programma in relazione alle disposizioni di cui della L.R. n. 34 del 1992, art. 26-bis (…)”, “non (attinenti) direttamente all’approvazione dell’accordo definitivo”, ma consistenti “nel solo dovere di “convocare tutti i soggetti pubblici e privati interessati alla conclusione dell’accordo” (art. 26-bis, comma 5), ossia nello svolgimento di una mera attività strumentale e propedeutica non avente ancora contenuto provvedimentale. Di qui, attesa la validità e l’efficacia della clausola compromissoria di cui all’art. 10 dell’accordo, l’incompetenza di questo giudice”.

In tal modo il Consiglio di Stato ha qualificato le posizioni soggettive in discussione in base all’art. 3 dell’accordo preliminare stipulato tra le parti, rilevando il carattere meramente esecutivo e strumentale degli adempimenti ivi previsti a carico delle pubbliche amministrazioni, dei quali era stata lamentata l’omissione, sicché nessuna potestà provvedimentale della pubblica amministrazione è oggetto di causa. Tale conclusione è conforme a diritto.

La sentenza impugnata ha ritenuto che gli adempimenti previsti dall’art. 3, non involgono l’esercizio del pubblico potere, ma costituiscono attività preliminari e strumentali non aventi carattere provvedimentale, avendo le posizioni giuridiche coinvolte nell’accordo natura non di interessi legittimi indisponibili, ma di diritti soggettivi devoluti alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, in materia di accordi integrativi o sostitutivi di provvedimento amministrativo ed accordi fra pubbliche amministrazioni, ex art. 133, comma 1, lett. a), n. 2, c.p.a..

Ne consegue che la controversia è compromettibile in arbitri, in applicazione dell’art. 12 c.p.a. e, già, della L. 21 luglio 2000, n. 205, art. 6, comma 2.

Infondata è la tesi prospettata dai ricorrenti, secondo cui del D.Lgs. n. 267 del 2000, citato art. 34, comma 2, che prevede procedimenti di arbitrato per la definizione delle liti dei partecipanti all’accordo di programma ivi disciplinato, si riferisce unicamente agli accordi di programma definitivi e non agli accordi preliminari, come quello in esame. Ed infatti, come rilevato dal Procuratore Generale, la suddetta disposizione non può essere intesa nel senso di escludere che da un accordo preliminare possano sorgere in capo alle parti diritti soggettivi e che, pertanto, le relative controversie siano compromettibili in arbitri.

Il secondo motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 809 c.p.c., per non avere rilevato la nullità della clausola arbitrale che prevedeva un collegio arbitrale composto da un numero anomalo di arbitri (tredici) in rappresentanza delle pubbliche amministrazioni interessate, della Società ***** e dei singoli proprietari dei beni coinvolti e, inoltre, riconosceva al Presidente del collegio un voto doppio in caso di parità del numero degli arbitri, in “violazione del principio di disparità degli arbitri”.

Entrambe le censure poste a base del motivo sono infondate.

La prima, concernente la pretesa anomalia del collegio arbitrale per il numero eccessivo di arbitri (tredici), è infondata. La clausola compromissoria prevedeva cinque arbitri (quattro più il presidente) in rappresentanza delle parti contraenti, vale a dire delle pubbliche amministrazioni e dei privati, questi ultimi intesi quale unica parte contrapposta alle pubbliche amministrazioni, essendo rappresentati dalla Società *****, quale procuratrice speciale.

Infondata è anche la seconda censura, concernente la violazione del numero dispari inderogabile degli arbitri (art. 809 c.p.c., comma 1). Il Consiglio di Stato infatti ha correttamente osservato che il collegio arbitrale non era in numero pari, essendo “costituito da quattro arbitri ed il presidente”, e che “qualora il numero degli arbitri sia pari, il Presidente del collegio avrà diritto ad un voto doppio”. Tale disposizione, si legge nella sentenza impugnata, “costituisce una previsione eccezionale e non fisiologica, volta a superare eventuali crisi di funzionamento dell’organo e, in quanto tale, è certamente ammissibile”. Si tratta, in effetti, di una previsione avente carattere secondario ed accessorio, destinata ad essere applicata in situazioni del tutto particolari (collegio in numero pari e stallo nella votazione): non solo, inidonea a inficiare il consenso delle parti che è a fondamento della clausola compromissoria, ma necessaria per garantire il funzionamento dell’organo arbitrale. E dunque, essendo rispettata l’esigenza della predeterminazione del numero dispari degli arbitri ed essendo la previsione del voto doppio del presidente riferibile a casi del tutto eventuali, la clausola compromissoria, nella specie, deve ritenersi strutturalmente idonea a conferire agli arbitri il potere giurisdizionale di decidere la controversia vertente su diritti soggettivi, in deroga alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.

Inoltre, l’art. 829 c.p.c., n. 2, prevedendo che la nullità per difettosa composizione dell’organo debba essere fatta valere dalla parte nel giudizio arbitrale e non nel successivo giudizio impugnatorio, ammette implicitamente la sanabilità del vizio della convenzione arbitrale per violazione dell’art. 809 c.p.c., comma 1, come confermato implicitamente dal meccanismo correttivo predisposto dal comma 3 della medesima disposizione, che consente di sostituire la parte della clausola compromissoria affetta da nullità, evitando una pronuncia di nullità dell’intera clausola compromissoria, secondo il principio utile per inutile non vitiatur.

In conclusione, il ricorso è rigettato. Le spese eseguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti alle spese, liquidate in Euro 4200,00, a favore della Provincia di Pesaro e Urbino. Dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto della L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 7 dicembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 18 gennaio 2022

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