LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –
Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –
Dott. CONDELLO Pasqualina Anna Piera – Consigliere –
Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –
Dott. FRACANZANI Marcello Maria – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 14841/2015 R.G. proposto da:
Agenzia delle entrate, rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, nel suo domicilio in Roma, alla via dei Portoghesi n. 12;
– ricorrente –
contro
B.P., rappresentato e difeso dagli avvocati Claudio Berliri e Alessandro Cogliati Dezza, con domicilio presso il loro studio, in Roma, via Alessandro Farnese n. 7;
– controricorrente –
avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale per il Veneto, n. 791/31/14 pronunciata il 10 marzo 2014 e depositata il 13 maggio 2014, non notificata.
Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 23 novembre 2021 dal Cons. Marcello M. Fracanzani;
lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Troncone Fulvio, che ha chiesto l’accoglimento del secondo motivo e la decisione nel merito del ricorso;
nessuno comparso per le parti, non essendo stata proposta istanza di discussione.
FATTI DI CAUSA
Il contribuente è stato dirigente ENEL, nel periodo in cui la previdenza integrativa aziendale era affidata all’organismo P.I.A. istituito anteriormente al 1993.
Al momento del congedo si vedeva applicata l’aliquota per la liquidazione dell’indennità di fine rapporto anche alla liquidazione della quota di partecipazione P.I.A., in luogo della trattenuta del 12,5% che riteneva corretta. Avverso il silenzio rifiuto apposto dall’Amministrazione finanziaria alla sua istanza di rimborso, esperite tutte le fasi del giudizio, la controversia tornava alla cognizione della CTR chiamata per effetto della pronuncia di questa Corte n. 1411/2013 ad uniformarsi al principio della tassazione secondo i criteri della fine rapporto per la “sorte capitale” della quota P.I.A., mentre al 12,5% per la parte di “rendita” del predetto fondo, ove tale ci fosse.
Il contribuente ha precisato di essere sempre stato assoggettato a P.I.A., la cui redditività era data da accantonamenti aziendali attualizzati, non ad attività di investimento sul mercato, che il contribuente ha indicato, secondo calcolo matematico, in Euro 399.915,61: su tale somma la CTR ha statuito doversi applicare la tassazione secondo l’aliquota del 12,5%, con il rimborso del di più a suo tempo trattenuto.
Ricorre l’Ufficio, affidandosi a due motivi di ricorso, cui replica la part. contribuente con tempestivo controricorso.
In P.G. ha depositato conclusioni scritte chiedendo l’accoglimento del secondo motivo, con decisione nel merito di rigetto del ricorso originario del contribuente.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Vengono proposti due motivi di ricorso.
Con il primo motivo si prospetta censura ex art. 360 c.p.c., n. 4 per violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 57,58 e 63 per aver la CTR deciso su documenti prodotti solo in sede di rinvio, ovvero la perizia giurata del Dott. P. e della Dott.ssa V. e la certificazione ENEL del primo dicembre 2005.
Con il secondo motivo si prospetta censura ex art. 360 c.p.c., n. 3 per violazione della L. n. 482 del 1985, art. 6, dell’art. 384 c.p.c., dell’art. 2697 c.c., dell’art. 115 c.p.c., nonché dell’art. 2909 c.c., per aver ecceduto la CTR nel giudizio rescissorio il principio di diritto sancito da questa Corte per aver equiparato ai rendimenti da investimento su mercati finanziari la quota di accantonamento maturata nel fondo previdenziale, che opera però in assenza di rischio di mercato.
I due motivi, strettamente legati, possono essere trattati congiuntamente.
Sul punto, la giurisprudenza di questa Corte può ormai dirsi consolidata, essendosi affermato che in tema di fondi previdenziali integrativi, le prestazioni erogate in forma di capitale ad un soggetto che risulti iscritto, in epoca antecedente all’entrata in vigore del D.Lgs. n. 124 del 1993, ad un fondo di previdenza complementare aziendale a capitalizzazione di versamenti e a causa previdenziale prevalente, sono soggette al seguente trattamento tributario: a) per gli importi maturati a decorrere dal 1 gennaio 2001 si applica interamente il regime di tassazione separata di cui al D.P.R. n. 917 del 1986, art. 16, comma 1, lett. a), e art. 17 (nel testo vigente “ratione temporis”); b) per gli importi maturati fino al 31 dicembre 2000, invece, la prestazione è assoggettata a detto regime di tassazione separata solo per quanto riguarda la sorte capitale, costituita dagli accantonamenti imputabili ai contributi versati dal datore di lavoro e dal lavoratore e corrispondente all’attribuzione patrimoniale conseguente alla cessazione del rapporto di lavoro, mentre si applica la ritenuta del 12,50%, prevista dalla L. n. 482 del 1985, art. 6 alle somme provenienti dalla liquidazione del cd. rendimento, ossia quelle derivanti dall’effettivo investimento del capitale accantonato sul mercato, non necessariamente finanziario, se e nella misura conseguita e, sul piano processuale, se e nella misura provata (cfr. Cass. V., n. 3453/2021). Più in generale, infatti, in tema di fondi previdenziali integrativi, il rendimento da capitale da assoggettare a tassazione nella misura del 12,5 per cento L. n. 482 del 1985, ex art. 6 è quello netto imputabile alla gestione del fondo sul mercato – non necessariamente finanziario – non anche quello calcolato attraverso l’adozione di riserve matematiche e di sistemi tecnico-attuariali di capitalizzazione, al fine di garantire la copertura richiesta dalle prestazioni previdenziali concordate. La quantificazione di detto rendimento deve essere compiuta dal Giudice di merito sulla base di una congruente analisi giuridica della fattispecie concreta, che operi l’accertamento della natura e della quantità del rendimento che sarebbe stato erogato del contribuente, verificando se vi sia stato (e quale sia stato) da parte del Fondo l’impiego sul mercato del capitale accantonato e quale e (quanto) sia stato il rendimento conseguito in relazione a tale impiego (cfr. Cass. V, n. 5487/2020).
2.Occorre premettere che con la citata sentenza n. 13642/2011, resa a Sezioni Unite, questa Corte ha stabilito il principio di diritto secondo cui “In tema di fondi previdenziali integrativi, le prestazioni erogate in forma di capitale ad un soggetto che risulti iscritto, in epoca antecedente all’entrata in vigore del D.Lgs. 21 aprile 1993, n. 124, ad un fondo di previdenza complementare aziendale a capitalizzazione di versamenti e a causa previdenziale prevalente, sono soggette al seguente trattamento tributario: a) per gli importi maturati fino al 31 dicembre 2000, la prestazione è assoggettata al regime di tassazione separata di cui al D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 16, comma 1, lett. a) e art. 17, solo per quanto riguarda la “sorte capitale”, corrispondente all’attribuzione patrimoniale conseguente alla cessazione del rapporto di lavoro, mentre alle somme provenienti dalla liquidazione del cd. rendimento si applica la ritenuta del 12,50%, prevista dalla L. 26 settembre 1985, n. 482, art. 6; b) per gli importi maturati a decorrere dall’1 gennaio 2001 si applica interamente il regime di tassazione separata di cui al D.P.R. n. 917 del 1986 (TUIR), art. 16, comma 1, lett. a) e art. 17". Con la successiva ordinanza n. 29200/2011 questa Corte esplicava il significato del termine “rendimento”, che andava inteso come il “rendimento netto, imputabile alla gestione sul mercato da parte del fondo del capitale accantonato (cfr. Cass., V, n. 13803/2019).
Ciò premesso, nel caso in esame è pacifico che il Collegio del rinvio abbia erroneamente considerata come raggiunta la prova dell’esistenza del diritto al rimborso già in sede di giudizio di legittimità, ritenendo che residuasse la sua mera quantificazione, peraltro demandata all’Ufficio nella successiva fase di esecuzione, previa definizione del giudizio di appello in senso favorevole al contribuente. L’errore in cui è incorsa la CTR risiede dunque nell’erronea applicazione del principio di diritto stabilito dell’ordinanza di rinvio e, ancor prima, nell’ordinanza di questa Corte resa a Sezioni Unite, avendo ritenuto infondatamente provato tout court il diritto al rimborso, mentre esso doveva essere oggetto di puntuale dimostrazione nel giudizio di merito con onere della prova a carico del contribuente.
Più radicalmente, questa Corte ha enunciato il seguente principio di diritto, cui si intende dare seguito: “in tema di fondi previdenziali integrativi, le prestazioni erogate in forma di capitale ad un soggetto che risulti iscritto, in epoca antecedente all’entrata in vigore del D.Lgs. 21 aprile 1993, n. 124, ad un fondo di previdenza complementare aziendale a capitalizzazione di versamenti e a causa previdenziale prevalente, sono soggette al seguente trattamento tributario: a) per gli importi maturati a decorrere dal 1 gennaio 2001 si applica interamente il regime di tassazione separata di cui al D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 16, comma 1, lett. a), e art. 17 (nel testo vigente ratione temporis); b) per gli importi maturati fino al 31 dicembre 2000, invece, la prestazione è assoggettata a detto regime di tassazione separata solo per quanto riguarda la sorte capitale, costituita dagli accantonamenti imputabili ai contributi versati dal datore di lavoro e dal lavoratore e corrispondente all’attribuzione patrimoniale conseguente alla cessazione del rapporto di lavoro, mentre si applica la ritenuta del 12,50%, prevista dalla L. 26 settembre 1985, n. 482, art. 6 alle somme provenienti dalla liquidazione del c.d. rendimento. Sono tali le somme derivanti dall’effettivo investimento del capitale accantonato sul mercato – non necessariamente finanziario – non anche quelle calcolate attraverso l’adozione di riserve matematiche e di sistemi tecnico-attuariali di capitalizzazione, al fine di garantire la copertura richiesta dalle prestazioni previdenziali concordate” (26.04.2017 n. 10285, ma vedasi altresì Cass. V, n. 10907/2019, specialmente dal p. 5 in poi).
In disparte la portata della pronuncia di rinvio Cass. V, n. 1411/2013, è proprio il contenuto del controricorso (pag. 16-17) che conferma l’assenza concreta di quei riscontri di investimento specificamente richiesti da questa Corte per ritenere la natura d’investimento del fondo, come richiesti anche dalla relazione n. 32/1999 della Corte dei conti.
In definitiva, il ricorso è fondato e può essere definito con il rigetto del ricorso originario del contribuente, non residuando ulteriore profilo di accertamento in fatto.
La peculiarità delle questioni esaminante, su cui la giurisprudenza si è consolidata solo in tempi recenti, impone di compensare integralmente le spese dei gradi di merito e del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, non residuando ulteriori profili di accertamento in fatto, rigetta il ricorso originario del contribuente.
Compensa integralmente tra le parti le spese dei gradi di merito e del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 23 novembre 2021.
Depositato in Cancelleria il 4 gennaio 2022
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