Sistema del "reverse charge", diritto alla detrazione, inerenza dell'operazione, necessità, conseguenze

Corte di Cassazione, sez. V Civile, Sentenza n.140 del 05/01/2022

Pubblicato il
Sistema del "reverse charge", diritto alla detrazione, inerenza dell'operazione, necessità, conseguenze

In tema d'IVA, riguardo alle operazioni intracomunitarie ed al meccanismo del "reverse charge", come chiarito dalla giurisprudenza unionale, il diritto alla detrazione da parte del cessionario, derivante dall'annotazione nel registro degli acquisti, presuppone la sussistenza del requisito dell'inerenza dell'operazione all'attività d'impresa, sicché l'eventuale l'insussistenza di una connessione con l'attività d'impresa del soggetto passivo comporta la ripresa della somma portata in detrazione, ferma l'imposta dovuta.

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. PERRINO Angelina Maria – Consigliere –

Dott. NONNO Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 1556/2015 R.G. proposto da:

Agenzia delle entrate, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale e domiciliata in Roma, via dei Portoghesi n. 12;

– ricorrente –

contro

P. Tyre Spa, rappresentata e difesa dagli Avv.ti Gabriele Escalar, e Vittorio Giordano, con domicilio eletto presso lo studio del primo in Roma, via Enrico Tazzoli, n. 6, giusta procura speciale a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia n. 2752/13/14, depositata in data 23 maggio 2014.

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 9 novembre 2021 dal Cons. Giuseppe Fuochi Tinarelli.

Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Cardino Alberto, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Udito l’Avv. Gabriele Escalar per la contribuente che ha chiesto il rigetto del ricorso.

Udito l’Avv. dello Stato Davide Giovanni Pintus per l’Agenzia delle entrate che ha chiesto l’accoglimento del ricorso.

FATTI DI CAUSA

L’Agenzia delle entrate contestava alla P. Tyre Spa l’indebita detrazione dell’Iva per l’anno 2006 in relazione ad operazioni passive con la società svizzera Equa S.A., atteso che quest’ultima aveva ricevuto incarichi esclusivamente dalla controllante P. & C. Spa, che aveva riaddebitato alla prima il 40% dei costi sostenuti per il dipartimento sicurezza senza che fosse documentata la conclusione e il contenuto di eventuali contratti infragruppo, da cui la carenza di prova dell’inerenza all’esercizio dell’attività svolta.

Il ricorso della ricorrente, che deduceva l’infondatezza della pretesa dell’Ufficio trattandosi di operazione effettuata con la procedura dell’inversione contabile, da cui l’irrilevanza della prova dell’inerenza poiché il diritto di detrazione, in tale evenienza, doveva essere sempre e comunque riconosciuto “nella stessa misura in cui era stata indicata nell’autofattura ed esposta nel registro vendite”, era accolto dalla CTP di Milano. La sentenza era confermata dal giudice d’appello.

L’Agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione con tre motivi. Resiste la società con controricorso, poi illustrato con memoria.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 17 e 19, per aver la CTR ritenuto, in caso di operazioni effettuate con il meccanismo dell’inversione contabile, superfluo il requisito dell’inerenza delle prestazioni, essendo sufficiente, ai fini del riconoscimento e della spettanza della detrazione Iva, l’osservanza degli obblighi relativi all’autofatturazione.

2. Il secondo motivo denuncia, in via subordinata, ove si debba ritenere che la CTR abbia statuito anche in ordine alla sussistenza dell’inerenza, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, la nullità della sentenza per motivazione apparente, nonché, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione dei principi dell’onere della prova ex art. 2697 c.c., in tema di inerenza.

3. Il terzo motivo denuncia, in ulteriore subordine, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., e del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57, per aver la CTR, ove si ritenesse sussistente una statuizione sull’inerenza, deciso in ultrapetizione attesa la mancanza, già nel ricorso originario, di ogni specifica impugnazione da parte della società, sicché i fatti erano incontestati.

4. Il primo motivo è fondato, restando assorbite le altre doglianze proposte in via solo subordinata.

4.1. Non sussiste, in primis, l’eccepita inammissibilità del motivo.

Contrariamente a quanto sostenuto dalla controricorrente, difatti, la CTR non ha in alcun modo statuito sull’inerenza del servizio ma, anzi, ha espressamente valutato la superfluità ed irrilevanza del requisito attese le modalità – autofatturazione – con cui erano state effettuate le operazioni.

4.2. Il giudice d’appello, dopo aver dato atto di quanto statuito dalla CTP, evidenziando che anch’essa, pur “facendo trasparire una visione favorevole alla contribuente” non ha, in realtà, pronunciato sulla contestata carenza di inerenza, limitandosi a porre in risalto una asserita “fragilità della contestazione dell’Agenzia delle entrate”, e a sottolineare, in adesione alla prospettazione della ricorrente, l’irrilevanza di un tale requisito nella vicenda in giudizio, ha espressamente affermato che “l’atto di appello dell’Agenzia delle entrate ruota esclusivamente attorno all’applicabilità del principio di inerenza anche nell’ipotesi di reverse charge”.

Dopodiché, ha operato una sommaria ricostruzione dello stato della giurisprudenza unionale, così concludendo: “oltre a sostenere che le violazioni delle formalità fissate dalla normativa nazionale e degli obblighi contabili connessi non possono determinare la perdita del diritto di detrazione, nella decisione ultima citata (C-95 e C-97, Ecotrade) si afferma che “nell’ambito dell’applicazione del regime dell’inversione contabile, nulla è dovuto, in linea di principio, all’erario”. Così dicendo si avvalorano le affermazioni dell’attuale resistente secondo cui, nel caso di autofatturazione si realizzerebbe una semplice partita di giro senza l’integrazione di alcuna movimentazione finanziaria e dunque senza che si possa ipotizzare alcun versamento di imposte. Nulla è dovuto dal contribuente che, rispettati gli obblighi normativamente previsti, può procedere a detrazione di quanto a lui imputato in base all’inversione.”

Il percorso argomentativo e’, poi, culminato nelle asserzioni per cui “il rispetto degli adempimenti contabili è quindi sufficiente (oltre che, come affermato dalla giurisprudenza Europea, addirittura superfluo ai fini della detrazione, salva l’applicabilità di sanzioni), non dovendosi invece procedere necessariamente alla verifica dell’inerenza, considerato come la struttura della fattispecie in questione esclude un indebito arricchimento del contribuente a danno dell’erario: semplicemente, esso finisce per non versare un’imposta che, ab origine, non sarebbe dovuta”.

4.3. E’ palese dunque che, secondo la CTR, l’assolvimento dell’operazione mediante inversione contabile comporta, di per sé (“e’ sufficiente”), la spettanza del diritto di detrazione, irrilevante ogni valutazione sull’inerenza dell’operazione rispetto all’attività d’impresa, ratio unitaria (e non duplice come pure prospettato in controricorso e ribadito nella memoria) su cui si fonda la sentenza, correttamente censurata dall’Ufficio.

4.4. Tale affermazione, peraltro, è manifestamente erronea e palesa un evidente equivoco (oltre che una travisata invocazione dei principi affermati dalla Corte di Giustizia) sui caratteri dell’istituto del reverse charge.

4.5. Per meglio chiarire i termini della questione, è opportuno partire dalle modalità di assolvimento ordinario dell’imposta.

Nel sistema ordinario dell’Iva, infatti, il prestatore/cedente applica l’aliquota in fattura che addebita al comrnittente/cessionario e poi versa la somma all’erario, mentre il secondo, che ha ricevuto la fattura e pagato l’Iva al primo, matura un corrispondente diritto di detrazione verso lo Stato.

Tale modalità è derogata in alcuni casi, per i quali l’ordinamento interno e unionale ha previsto il diverso sistema del reverse charge (o inversione contabile).

Giova sottolineare che l’istituto, regolato, specialmente, dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 17 (in particolare, dai commi 5 e 6), assolve, nella sua concezione originale e tradizionale, allo scopo di permettere l’ingresso nel sistema contabile delle operazioni rilevanti ai fini Iva in Italia realizzate da imprese non residenti (in ispecie, per operazioni intracomunitarie come quelle alla base della vicenda in giudizio) (cd. reverse charge esterno) Accanto a questa finalità, invero, si è progressivamente valutato il modello in questione come risposta alle esigenze di contrasto alle frodi perché idoneo ad evitare un incontrollato (ed abusivo) esercizio del diritto di detrazione (v. la Dir. n. 2006/112/CE, art. 199 quater, introdotto con la Dir. n. 2018/2057/UE, art. 1, nella prospettiva di una più vasta applicazione dell’istituto).

Orbene, il meccanismo così contemplato sposta sul cessionario l’onere di versare l’Iva: in particolare, chi effettua la cessione di beni o la prestazione di servizi non espone l’Iva in fattura e non è debitore verso l’erario, mentre chi riceve la fattura emessa in regime di reverse charge, è tenuto ad integrarla con l’Iva dovuta e a provvedere alla relativa annotazione nel registro delle vendite.

Per consentire, poi, il sorgere e l’esercizio del diritto di detrazione la norma prevede, quale modalità tecnica (integrativa rispetto alla condizione generale di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 19, comma 1), l’annotazione della stessa operazione nel registro degli acquisti, così da riequilibrare il sistema in coerenza con i principi di neutralità.

In termini essenziali, si può dire che il regime in questione addossa ai destinatari della fattura, ossia ali committenti/cessionari (che diventano soggetti passivi dell’imposta) l’onere di pagare l’Iva sull’operazione e, attraverso un meccanismo contabile (di doppia registrazione), riconosce agli stessi il diritto di detrazione per un pari importo.

4.6. Sullo stesso soggetto, dunque, si cumulano le due situazioni, le quali, tuttavia, rispondono (o possono rispondere) a presupposti sostanziali e condizioni differenti.

E’ evidente, infatti, che mentre il versamento dell’Iva è dovuto in relazione alla natura dell’operazione di scambio, il diritto di detrazione da parte del cessionario è condizionato alla sussistenza oltre che delle condizioni soggettive (ossia che egli sia un soggetto passivo) anche di quelle oggettive, ossia che i beni o servizi siano utilizzati ai fini delle proprie operazioni soggette a imposta (v. Dir. n. 2006/112/CE, art. 168, lett. a).

La carenza di queste condizioni impedisce il sorgere del diritto di detrazione, con la conseguenza che l’annotazione sul registro degli acquisti determina una fruizione indebita del diritto di detrazione.

Ne deriva che, nel regime dell’inversione contabile, il versamento dell’Iva operato dal cessionario “in luogo” del cedente costituisce, semplicemente, l’unico versamento dell’imposta allo Stato (appunto, quello, di norma, attuato dal cedente).

Il diritto di detrazione, che deriva dall’annotazione nel registro degli acquisti, presuppone, invece, che vi siano le condizioni sostanziali – tra le quali deve essere annoverata anche l’inerenza dell’operazione rispetto all’attività d’impresa, ossia l’esistenza di una connessione con l’attività d’impresa del soggetto passivo come discende dalla immediata lettura della Dir. n. 77/388/CEE, art. 17, par. 2 (v. tra le tante Corte di Giustizia, sentenza 1 ottobre 2020, Vos Aannemingen BVBA, in C-405/19; 30 maggio 2013, X, in C-651/11; 29 ottobre 2009, SKF, in C-29/08) – per fruirne e, ove ne sia accertata l’insussistenza, comporta la ripresa della somma portata in detrazione, ferma, per contro, l’imposta dovuta.

4.7. Rispetto ai singoli requisiti, poi, operano i criteri di riparto dell’onere della prova rispettivamente pertinenti, sicché, ove sia in contestazione l’inerenza, incomberà sul contribuente dimostrarne la sussistenza (v. recentemente, in tema di costi infragruppo, Cass. n. 8001 del 22/03/2021).

4.8. Da ultimo, va rilevato che la sentenza della Corte di Giustizia 8 maggio 2019, EN.SA. Srl, in C-712/17 (nonché le conseguenti decisioni di questa Corte), invocata in memoria a giustificazione della tesi dell’irrilevanza del requisito dell’inerenza ai fini della detrazione, non solo non è pertinente alla vicenda in giudizio ma, a ben guardare, conduce proprio ad un risultato opposto a quello sostenuto dalla società.

Va infatti osservato che la citata decisione (relativa a vendite fittizie di energia elettrica effettuate in modo circolare tra gli stessi operatori e per gli stessi importi) non solo faceva riferimento specifico alla posizione dell’emittente (mentre qui rileva la posizione del cessionario) ma, soprattutto, ha ritenuto la compatibilità di una normativa nazionale “che esclude la detrazione dell’IVA relativa a operazioni fittizie, imponendo al contempo ai soggetti che indicano l’IVA in una fattura di assolvere tale imposta, anche per un’operazione inesistente, purché il diritto nazionale consenta di rettificare il debito d’imposta risultante da tale obbligo qualora l’emittente di detta fattura che non era in buona fede, abbia, in tempo utile, eliminato completamente il rischio di perdite di gettito fiscale”, condizione qui – in evidenza – estranea e in alcun modo configurabile, derivando dal preteso riconoscimento del diritto di detrazione in assenza delle condizioni sostanziali una perdita per l’erario.

5. In accoglimento del primo motivo di ricorso, assorbiti gli altri, la sentenza va pertanto cassata con rinvio, anche per le spese, alla CTR competente in diversa composizione, che si atterrà ai principi di cui in motivazione e procederà all’ulteriore esame.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, assorbiti gli altri; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla CTR della Lombardia in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 9 novembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 5 gennaio 2022

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