LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DE MASI Oronzo – Presidente –
Dott. PAOLITTO Liberato – Consigliere –
Dott. BALSAMO Milena – Consigliere –
Dott. MONDINI Antonio – Consigliere –
Dott. MELE Maria Elena – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 14186/2016 proposto da:
GENERAL CARGO TERMINAL spa, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall’Avv. Christian Califano, elettivamente domiciliato in Roma, via F. Denza, n. 20, presso lo studio dell’Avv. Laura Rosa;
– ricorrente –
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE;
– intimata –
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Friuli Venezia-Giulia n. 451/01/15 depositata il 30.11.2015.
udita la relazione della causa svolta dal Consigliere Dott. Maria Elena Mele;
lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale De Matteis Stanisla, che ha chiesto il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
La General Cargo Terminal spa, concessionaria di un immobile di proprietà demaniale sito a *****, impugnava avanti alla Commissione tributaria provinciale l’avviso di accertamento avente ad oggetto la rideterminazione del classamento e della rendita catastale di tale immobile dalla categoria E/1 proposta dalla società, in C/7.
La contribuente fondava la propria legittimazione all’impugnazione sulla qualità di concessionario di aree demaniali marittime costituenti il terminal dello scalo legnami del porto di *****.
A fondamento dell’impugnazione deduceva l’illegittimità della notifica dell’atto di accertamento perché erroneamente destinata all’Autorità portuale anziché alla concessionaria, soggetto passivo di imposta; la violazione del principio del contraddittorio; l’erronea classificazione; la violazione della L. n. 262 del 2006, art. 2, comma 40, nonché l’insufficiente motivazione. L’Agenzia delle entrate non si costituiva in giudizio. La CTP accoglieva il ricorso ritenendolo fondato nel merito.
L’Ufficio impugnava tale decisione avanti alla Commissione tributaria regionale la quale accoglieva l’appello dichiarando il difetto di legittimazione attiva della General Cargo in quanto concessionaria dell’unità immobiliare oggetto dell’accertamento catastale.
La contribuente ha proposto ricorso per la cassazione di tale sentenza affidato a 2 motivi di ricorso.
L’Agenzia è rimasta intimata.
Il Procuratore generale ha chiesto il rigetto del ricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 6 e 13 CEDU, art. 6 TFUE, p. 1 e 2, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, artt. 41 e 47, e art. 11 Cost., in quanto l’affermazione della insussistenza della legittimazione del concessionario ad impugnare l’atto di classamento, lesivo della propria sfera giuridica, violerebbe il principio di effettività della tutela giurisdizionale.
Con il secondo motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 3, comma 2, della L. n. 212 del 2000, art. 6, comma 1, del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 10, dell’art. 100 c.p.c., e dell’art., 24 Cost., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto erroneamente la CTR avrebbe disconosciuto la legittimazione del concessionario ad impugnare l’atto di classamento nonostante esso sia direttamente pregiudicato dal medesimo, in quanto individuato ex lege come soggetto passivo ai fini ICI.
I motivi, suscettibili di trattazione unitaria in quanto tra loro connessi, sono infondati.
Questa Corte, con sentenza n. 23523 del 2020 ha già affrontato la questione che occupa rilevando come la “natura prettamente impugnatoria e decadenziale del contenzioso tributario (la cui disciplina è estesa, D.Lgs. n. 546 del 1992, ex artt. 19 e 2, a quello catastale) esclude che il relativo giudizio possa essere introdotto da soggetti diversi da quelli nei cui confronti l’atto impositivo si rivolge, ed ai quali è stato pertanto notificato”. Il citato Decreto, art. 14, al comma 3, estende la partecipazione al giudizio oltre che ai soggetti che, insieme con il ricorrente, siano destinatari dell’atto, anche a coloro che siano parti del rapporto tributario controverso, conferendo loro non già un’autonoma legittimazione attiva ad impugnarlo, bensì un titolo di partecipazione limitato all’intervenuto dipendente in adesione alla domanda del soggetto legittimato ad impugnare. Nel fornire un’interpretazione costituzionalmente orientata di tale disposizione, questa Corte ha riconosciuto la possibilità di intervenire in giudizio anche ai soggetti che, pur non essendo destinatari dell’atto, potrebbero essere chiamati ad adempiere l’obbligazione tributaria, in quanto la legge li riconosce solidalmente responsabili perché, pur non avendo realizzato un fatto indice di capacità contributiva, la loro posizione è collegata con il fatto imponibile o con il contribuente, sulla base di un rapporto a cui il fisco resta estraneo (Cass., sez. 5, n. 255 del 12/01/2012, Rv. 621169 – 01; v., altresì, n. 32188 del 10/12/2019, Rv. 656030 – 01).
Tale interpretazione costituzionalmente orientata del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 14, se deve indurre ad ampliare le categorie sia del soggetto “destinatario dell’atto”, “fino a comprendere in esso non solo il destinatario stricto iure ma anche il destinatario potenziale e mediato”, sia della “titolarità del rapporto controverso”, “fino a comprendere in esso anche la titolarità di un rapporto dipendente o connesso rispetto a quello costituito dall’atto impugnato”, tuttavia pone esso stesso un limite alla propria portata estensiva, richiedendo da un lato, che il soggetto non destinatario dell’atto impugnato possa essere successivamente chiamato ad adempiere all’obbligo tributario in luogo di altri, e dall’altro, che la partecipazione al processo tributario avvenga appunto entro i ristretti limiti dell’intervento adesivo dipendente, con conseguente preclusione alla formulazione di domande autonome ed all’ampliamento dell’oggetto del giudizio, così come già fissato dall’impugnante-destinatario dell’atto.
Queste considerazioni trovano ulteriore conferma nella materia catastale e dell’imposizione ICI/IMU ad essa correlata.
Occorre innanzitutto considerare che l’avviso di accertamento catastale non ha natura impositiva, ma meramente dichiarativa della categoria e della rendita dell’immobile, di tal che dal medesimo non deriva di per sé alcun obbligo tributario, a maggior ragione in capo a chi non ne sia neppure destinatario.
Tale obbligo grava invece in capo a colui che risulti legittimato passivamente per effetto della notifica di un atto impositivo che rechi tutti gli elementi costitutivi della pretesa tributaria.
Al riguardo, come questa Corte ha già affermato, stante il disposto della L. n. 342 del 2000, art. 74, comma 1, – secondo il quale a decorrere dal 10 gennaio 2000 gli atti comunque attributivi o modificativi delle rendite catastali per terreni e fabbricati sono efficaci solo a decorrere dalla loro notificazione – grava in capo all’Amministrazione finanziaria l’obbligo di notifica dell’attribuzione o modifica di rendita a chi sia soggetto passivo dell’imposta ICI e figuri tra gli intestatari catastali, in ossequio agli obblighi d’informazione gravanti sull’Amministrazione secondo il disposto della L. n. 212 del 2000, art. 6 (Cass., sez. 5, n. 14025 del 23/05/2019; Rv. 654003 01; sez. 6-5, n. 807 del 16/01/2018, Rv. 647099 – 01).
In tal modo la legittimità dell’avviso di accertamento ICI è subordinata alla avvenuta notificazione dell’atto di classamento al concessionario dell’area demaniale marittima, in quanto intestatario catastale.
La stessa Amministrazione finanziaria ha riconosciuto che per gli immobili costruiti nelle aree di proprietà demaniale dal concessionario, l’obbligo della dichiarazione catastale è a carico del medesimo, sicché a quest’ultimo soggetto è da inoltrare l’atto che accerti l’inadempienza dell’accatastamento medesimo (Circ. Agenzia Territorio n. 4 del 2007).
Alla luce di tale disciplina, si è pertanto escluso che il disconoscimento in capo al concessionario demaniale della legittimazione attiva ad impugnare l’atto di classamento comporti una menomazione del diritto di difesa, ex art. 24 Cost., e art. 6 Cedu, in ordine alla imposizione ICI che su tale classamento si basi “dal momento che l’obbligo tributario in capo al concessionario titolare di partita, così come sancito dal D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 3, comma 2, scaturisce dalla previa notificazione ad esso dell’avviso di accertamento catastale, solo a quel punto autonomamente impugnabile D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 19” (Cass. n. 23523 del 2020 cit.).
In applicazione di tali principi, nel caso in esame deve essere esclusa la legittimazione della General Cargo ad impugnare l’avviso di accertamento recante la rideterminazione del classamento dell’immobile di cui è concessionaria, atteso che esso non le era stato notificato, senza che tale conclusione determini alcuna violazione del diritto di difesa.
In definitiva, il ricorso va rigettato.
Nulla deve essere disposto riguardo alle spese essendo l’Agenzia delle entrate rimasta intimata.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Nulla sulle spese.
Visto il D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, come modificato dalla L. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello spettante per il ricorso principale, ove dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 3 dicembre 2021.
Depositato in Cancelleria il 18 gennaio 2022