Corte di Cassazione, sez. V Civile, Sentenza n.141 del 05/01/2022

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. PERRINO Angelina Maria – Consigliere –

Dott. NONNO Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 8742/2015 R.G. proposto da:

V.O., rappresentato e difeso dall’Avv. Giorgio Natoli, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Panama n. 26, giusta procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle entrate, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale è domiciliata in Roma, via dei Portoghesi n. 12;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale dell’Emilia Romagna n. 1732/20/14, depositata in data 8 ottobre 2014.

Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio della pubblica udienza del 9 novembre 2021 dal Cons. Giuseppe Fuochi Tinarelli.

Viste le conclusioni formulate dal Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Cardino Alberto, che ha concluso per il rigetto del ricorso principale e l’accoglimento di quello incidentale.

FATTI DI CAUSA

L’Agenzia delle entrate, in esito a convocazione di V.O., esercente attività edile, per la verifica del corretto adempimento degli obblighi fiscali, emetteva due avvisi di accertamento per il 2007 e il 2008, con i quali contestava l’illegittima applicazione del regime del reverse charge, non ritenendo raggiunta la prova della natura delle prestazioni di subappalto effettuate, l’indebita applicazione dell’aliquota Iva agevolata del 4%, parimenti non risultando provate le condizioni per fruirne, e riprendeva a tassazione, ai fini Iva, Irpef e Irap, alcune fatture di acquisto perché generiche.

Irrogava, inoltre, sanzioni per la mancata regolarizzazione degli acquisti effettuati con inversione contabile, neppure essendo stata operata la duplice registrazione di legge, e per la comunicazione di un codice attività inesatto, nonché per la violazione di obblighi relativi alla contabilità, in ispecie per la mancata produzione di una fattura d’acquisto, registrata ed emessa dal cedente in reverse charge, e per la mancata produzione della documentazione richiesta.

L’impugnazione del contribuente, che deduceva la correttezza del regime impositivo adottato, trattandosi di attività edili svolte in subappalto e di cui sussistevano le condizioni oggettive e soggettive richieste per legge, dell’imposta agevolata, nonché l’idoneità delle fatture – che riportavano in misura sufficiente i requisiti imposti dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 21 – e, comunque, l’inapplicabilità delle sanzioni attesa la natura meramente formale delle violazioni, era rigettata dalla CTP di Reggio Emilia.

La sentenza era parzialmente riformata dal giudice d’appello, che riduceva la pretesa dell’Ufficio quanto alla violazione della normativa sul reverse charge e all’indebita applicazione dell’Iva agevolata, mentre confermava la ripresa per la genericità delle fatture, rispetto alla quale, peraltro, annullava le sanzioni.

V.O. propone ricorso per cassazione con due motivi, poi illustrato con memorie, cui resiste con controricorso l’Agenzia delle entrate, che propone altresì ricorso incidentale con un motivo.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Va dato atto, preliminarmente, che il contribuente ha chiesto la definizione agevolata della controversia ai sensi del D.L. n. 119 del 2018, che è stata denegata dall’Agenzia delle entrate per l’omesso pagamento delle somme dovute. Il diniego non è stato opposto.

2. Il primo motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 21, in combinato disposto con il D.Lgs. n. 52 del 2004, e con la Dir. n. 112/2006/CE, art. 226, con riguardo ai requisiti previsti per la fattura, per aver la CTR, con riguardo alla contestata carenza delle fatture dei requisiti di cui al citato D.P.R., art. 21, ritenuto la fondatezza della pretesa in quanto prive dell’indicazione del luogo di svolgimento delle prestazioni, delle modalità di determinazione del corrispettivo, dei giorni di esecuzione delle prestazioni e della duplice registrazione, pur ritenendo, al contempo, che trattandosi di violazioni formali, le sanzioni andavano annullate.

2.1. Il secondo motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, omesso esame di fatto decisivo in relazione all’art. 109 tuir, circa i requisiti previsti per la legittima detrazione dei costi di esercizio, per aver la CTR omesso di esaminare le dichiarazioni sostitutive di notorietà prodotte in giudizio e i prospetti per le lavorazioni eseguite, relativi alle fatture in contestazione.

3. I motivi, che possono essere esaminati unitariamente per connessione logica, sono in parte infondati, in parte inammissibili.

3.1. Va premesso che il principio secondo il quale, a fronte di una regolare fattura, opera la presunzione di veridicità di quanto in essa rappresentato, presuppone che essa sia stata redatta in conformità ai requisiti di forma e contenuto prescritti dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 21 (v. Cass. n. 18208 del 24/06/2021; Cass. n. 29290 del 14/11/2018; Cass. n. 21980 del 28/10/2015; Cass. n. 21446 del 10/10/2014).

In una tale evenienza, infatti, la fattura diviene inidonea a costituire titolo per il contribuente ai fini del diritto alla deduzione dei relativi costi, mentre l’Amministrazione finanziaria può contestare l’effettività delle operazioni ad essa sottese e ritenere indeducibili i costi indicati (Cass. n. 9912 del 27/05/2020).

La Corte di Giustizia, inoltre, nell’esaminare le condizioni formali di esercizio del diritto di detrazione dell’Iva (sentenza 15 settembre 2016, Barlis 06 – Investimentos Imobiliàrios e Turisticos SA c. Autoridade Tribudria e Aduaneira, in C-516/14, poi seguita dalla giurisprudenza della Corte: v. Cass. n. 23384 del 06/10/2017 in motivazione), ha considerato che la normativa unionale prescrive l’obbligatorietà dell’indicazione dell’entità e della natura dei servizi forniti (Dir. n. 2006/112/CE, art. 226, punto 6), nonché della specificazione della data (art. 226, punto 7) in cui è effettuata o ultimata la prestazione di servizi; ciò al fine di consentire alle amministrazioni finanziarie di controllare l’assolvimento dell’imposta dovuta e, nel caso, la sussistenza del diritto alla detrazione dell’Iva.

Tale affermazione, specificata con il rilievo che l’Amministrazione finanziaria non può limitarsi all’esame della sola fattura, ma deve tener conto anche delle informazioni complementari fornite dal soggetto passivo, in linea con la Dir. n. 2006/112/CE, art. 219, che assimila a una fattura tutti i documenti o messaggi che modificano e fanno riferimento in modo specifico e inequivocabile alla fattura iniziale, è stata peraltro precisata dalla stessa Corte di Giustizia (v. sentenza 8 maggio 2013, Petroma Transports e altri, in C-271/12, punti da 34 a 36; principio poi ribadito dalla sentenza 9 settembre 20:21, GE Auto Service Leasing GmbH, in C-294/20, punto 57) che ha affermato che “le disposizioni della sesta Direttiva IVA non ostano a una normativa nazionale in base alla quale il diritto alla detrazione dell’IVA può essere negato ai soggetti passivi in possesso di fatture incomplete, persino qualora tali fatture siano integrate dalla produzione di elementi destinati a provare la reale esistenza, la natura e l’importo delle operazioni fatturate dopo che l’amministrazione tributaria ha adottato una decisione di diniego del diritto a detrazione”.

Ne deriva, pertanto, che, anche a voler ritenere ammissibile la successiva integrazione, incombe su colui che chiede la detrazione dell’Iva l’onere di dimostrare le condizioni per fruirne e, per conseguenza, di fornire elementi e prove, anche integrativi rispetto alle fatture, che l’Amministrazione ritenga necessari per valutare se si debba riconoscere, o no, la detrazione richiesta.

3.2. Orbene, occorre evidenziare che, nella vicenda in giudizio, la CTR, nel valutare carenti le fatture di una varietà di requisiti (“documenti privi della indicazione del luogo di svolgimento delle prestazioni, delle modalità di determinazione del corrispettivo, dei giorni di esecuzione delle prestazioni e della duplice registrazione”) ha ritenuto, in coerenza con i principi sopra esposti, le stesse generiche e prive di elementi fondamentali, tra cui, in particolare, la specificazione delle date di effettuazione delle prestazioni.

3.3. Il contribuente, per contro, ha sì contestato la decisività delle lamentate carenze formali deducendo di aver, comunque, prodotto documentazione integrativa idonea a fornire adeguate informazioni complementari, ma tale doglianza è inammissibilmente carente per autosufficienza.

Esclusa, sul punto, una valutazione meramente formalistica del richiamato principio (in coerenza, del resto, con i principi affermati dalla CEDU con la sentenza del 28 ottobre 2021, Succi), occorre rilevare che nessuna delle fatture in questione (neppure indicate nei loro esatti estremi, risultando solo, in calce al ricorso, un cumulativo e indistinto elenco di atti) o delle dichiarazioni sostitutive di notorietà è stata riprodotta nel ricorso.

Tali omissioni, inoltre, risultano tanto più significative a fronte della pluralità di fatture oggetto di contestazione e delle relative dichiarazioni, nonché dell’esplicito e specifico accertamento in fatto operato dal giudice d’appello, sì da precludere a questa Corte di valutare la congruità della documentazione fiscale e le successive integrazioni documentali e di ritenere assolto l’onere probatorio incombente sulla parte alla luce dei principi sopra esposti.

3.4. Quanto, in particolare, alla censura motivazionale va poi rilevato che secondo l’insegnamento delle Sezioni Unite (Sez. U, n. 8053 del 2014, Rv. 629831), il nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, introduce nell’ordinamento un vizio specifico che concerne l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia).

Ne deriva, più specificamente, che l’omesso esame di elementi istruttori (come nella specie) non integra di per sé vizio di omesso esame di un fatto decisivo, se il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, benché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie; la parte ricorrente, inoltre, è tenuta ad indicare – nel rigoroso rispetto delle previsioni di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e dell’art. art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4 – il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui ne risulti l’esistenza, il “come” e il “quando” (nel quadro processuale) tale fatto sia stato oggetto di discussione tra le parti, e la “decisività” del fatto stesso.

La doglianza non risponde a tali condizioni posto che, oltre ad esser carente in punto di autosufficienza, non vi è stato, in realtà, omesso esame avendo la CTR preso in esplicita considerazione le autocertificazioni, sì da ridurre l’ammontare della pretesa dell’Ufficio.

Sotto questo profilo, dunque, la censura è inammissibile anche perché si risolve in una contestazione sulla sufficienza e adeguatezza della motivazione, non più consentita ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, ratione temporis applicabile.

4. L’unico motivo del ricorso incidentale denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 6, comma 9 bis, art. 5, comma 6, art. 9, commi 1 e 3, per aver la CTR – con riguardo al rilievo di indeterminatezza delle fatture per mancanza delle condizioni di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 21 – ritenuto la violazione meramente formale, e non punibile, ancorché, in forza delle suddette violazioni, la CTR avesse ritenuto indetraibili e indeducibili i costi delle suddette fatture.

4.1. Il motivo – esclusa l’eccepita inammissibilità vertendosi su questione in diritto ed avendo l’Ufficio congruamente evidenziato quanto affermato dalla CTR – è fondato.

4.2. Va dato atto, preliminarmente, che la distinzione tra violazioni sostanziali, formali e meramente formali, già oggetto di reiterati interventi di questa Corte (v. da ultimo Cass. n. 16450 del 10/06/2021; Cass. n. 28938 del 17/12/2020), è ancorata alle seguenti caratteristiche:

– le violazioni sono sostanziali se incidono sulla base imponibile o sull’imposta o sul versamento;

– le violazioni sono formali se pregiudicano l’esercizio delle azioni di controllo pur non incidendo sulla base imponibile, sull’imposta o sul versamento;

– le violazioni sono meramente formali se non influiscono sulla determinazione della base imponibile, dell’imposta e sul versamento del tributo, né arrecano pregiudizio all’esercizio delle azioni di controllo.

Si è poi precisato, ai fini della concreta distinzione tra diverse ipotesi, che tra violazioni formali e violazioni meramente formali la valutazione “deve essere eseguita alla stregua dell’idoneità ex ante della condotta a recare il detto pregiudizio all’esercizio delle azioni di controllo, previo inquadramento della condotta stessa nel paradigma normativo di riferimento” (Cass. n. 28938/2020 cit.) e, dunque, deve essere operato un giudizio in astratto che pone in relazione il bene giuridico tutelato alla fattispecie giuridica cui va ricondotta la specifica trasgressione.

Viceversa, per distinguere tra violazioni formali e sostanziali “e’ necessario accertare in concreto se la condotta abbia cagionato un danno erariale, incidendo sulla determinazione della base imponibile, dell’imposta o del versamento del tributo” (Cass. n. 16450/2021 cit.).

4.3. E’ opportuno precisare, sul punto, alla luce delle conclusioni rese dal Procuratore generale, che non sussiste una distonia o contrasto tra la L. n. 212 del 2000, art. 10, comma 3, e il D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 6, comma 5-bis.

Come già sottolineato da questa Corte, infatti, seppure la prima definizione di violazione formale risalga alla L. n. 212 del 2000, art. 10, comma 3, che l’ha qualificata come “… mera violazione formale senza alcun debito d’imposta”, proprio la portata eccessivamente ampia della norma, capace d’includere nel proprio ambito anche violazioni idonee ad ostacolare o addirittura ad impedire l’esercizio delle attività di controllo del fisco, ha indotto il legislatore a precisarne la portata, profittando dello stesso statuto dei diritti del contribuente, art. 16, che gli consentiva di emanare disposizioni correttive, operazione compiuta con il D.Lgs. n. 32 del 2001 (che, nel secondo periodo della premessa, richiama esplicitamente l’art. 16 cit.) (v. Cass. n. 14767 del 15/07/2015 in motivazione).

Il citato D.Lgs. n. 32, art. 7, comma 1, lett. a), ha, quindi, precisato e circoscritto la portata della norma dello statuto del contribuente là dove, introducendo il D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 6, comma 5-bis, ha stabilito che l’esclusione della punibilità sia limitata alle violazioni che non arrecano pregiudizio all’esercizio dell’attività di controllo e non incidono sulla determinazione della base imponibile, dell’imposta e sul versamento del tributo.

Ne deriva, dunque, l’unicità e l’univocità della disciplina per la individuazione delle violazioni meramente formali in quelle carenti di entrambi i requisiti (lesione alle azioni di controllo; non influenza sulla determinazione dell’imponibile).

4.4. Orbene, nella vicenda in giudizio, la CTR – come sopra evidenziato – ha ritenuto che la carenza dei requisiti di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 21, fosse tale da fondare l’indeducibilità dei costi e l’indetraibilità dell’Iva, sicché incideva sulla stessa determinazione dell’imponibile.

Ne deriva che la suddetta carenza non poteva integrare, come invece ritenuto dalla CTR, una violazione meramente formale.

5. In conclusione, rigettato il ricorso principale ed accolto quello incidentale, la sentenza va cassata con rinvio, anche per le spese, alla CTR competente in diversa composizione.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso principale; accoglie il ricorso incidentale; cassa la sentenza impugnata in relazione al ricorso accolto e rinvia, anche per le spese, alla CTR dell’Emilia Romagna in diversa composizione.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente principale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 9 novembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 5 gennaio 2022

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