LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE L
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. LEONE Margherita Maria – Presidente –
Dott. MARCHESE Gabriella – Consigliere –
Dott. CALAFIORE Daniela – rel. Consigliere –
Dott. BUFFA Francesco – Consigliere –
Dott. DE FELICE Alfonsina – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 17805-2020 proposto da:
CASSA NAZIONALE DI PREVIDENZA ED ASSISTENZA A FAVORE DEI RAGIONIERI E PERITI COMMERCIALI, in persona del procuratore speciale pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA ANTONIO BERTOLONI 44/46, presso lo studio dell’avvocato MATITA PERSIANI, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato GIOVANNI BERETTA;
– ricorrente –
contro
T.P., T.R., T.E.;
– intimati –
avverso la sentenza n. 94/2020 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE, depositata il 28/02/2020;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non partecipata del 16/11/2021 dal Consigliere Relatore Dott. DANIELA CALAFIORE.
RILEVATO
che:
il Tribunale del lavoro di Lucca accolse, compensando le spese del giudizio, il ricorso proposto dagli eredi di t.e., titolare di pensione erogata dalla Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza a favore dei Ragionieri e Periti Commerciali (da qui Cassa), con il quale era stata domandata la declaratoria di illegittimità del contributo di solidarietà applicato negli anni 2013-2016 e la condanna della Cassa alla restituzione degli importi trattenuti sulla pensione;
la Corte d’appello di Firenze, su appello in via principale della Cassa ed in via incidentale, quanto alla regolazione delle spese, degli eredi di t.e., rigettò l’impugnazione principale ed accolse quella incidentale;
avverso tale sentenza ricorre per cassazione la Cassa con otto motivi;
la Cassa ha depositato memoria, rinunciando al secondo motivo e chiedendo che la causa venga rimessa alle Sezioni Unite o alla pubblica udienza;
T.P., T.R. ed T.E. n. q. di eredi di T.L. e di F.A. non hanno svolto attività difensiva:
e’ stata comunicata alle parti la proposta del relatore unitamente al decreto di fissazione della presente adunanza.
CONSIDERATO
che:
con il primo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1 n. 4), la Cassa denuncia la nullità della sentenza impugnata per violazione dell’art. 436 c.p.c., comma 3, in relazione all’accoglimento dell’appello incidentale, relativo alla compensazione delle spese di primo grado nonostante non fosse mai stata notificata la memoria difensiva contenente l’appello incidentale, con la conseguente rilevabilità d’ufficio della nullità della pronuncia;
con il secondo motivo, si reitera la stessa questione ma, questa volta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3);
con il terzo motivo di ricorso, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, si deduce la nullità della sentenza impugnata per violazione dell’art. 112 c.p.c., per omessa pronuncia relativa alla eccezione di improcedibilità dell’impugnazione incidentale oggetto dei precedenti motivi;
con il quarto motivo, si denuncia lo stesso vizio di cui al motivo precedente, questa volta riferendolo alla previsione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3);
con il quinto motivo di ricorso, si deduce – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – la violazione e/o falsa applicazione del D.L. n. 201 del 2011, art. 24, comma 24, anche in relazione al Regolamento della previdenza del 2013, art. 13, con riferimento al rigetto del motivo d’appello con il quale la Cassa aveva insistito per la declaratoria di legittimità del contributo di solidarietà applicato nell’anno 2013 che, ad avviso della stessa Cassa, trovava fondamento non nell’esercizio del potere regolamentare ma nel D.L. n. 201 del 2011, art. 24, comma 24;
con il sesto motivo di ricorso, si denuncia la nullità della sentenza impugnata per violazione dell’art. 115 c.p.c., in ragione del fatto che la Corte territoriale aveva errato nell’esaminare il cedolino di pensione riferito all’anno 2013, allegato dall’originario ricorrente ed anche dalla Cassa, così come il Regolamento della Cassa, pervenendo alla erronea convinzione che il prelievo derivasse dall’applicazione del Regolamento e non dalla legge sopra citata;
con il settimo motivo di ricorso, si denuncia la violazione e o falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c., nei sensi sopra indicati ma, questa volta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4;
con l’ottavo motivo si deduce la violazione e o falsa applicazione della L. n. 335 del 1995, art. 3, comma 12, come novellato dalla L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 763, nonché del D.Lgs. n. 509 del 1994, art. 2, in combinato disposto con il Regolamento di disciplina previdenziale della Cassa, art. 13, per avere la Corte di merito, in adesione ai numerosi precedenti di questa Corte, ritenuto l’illegittimità del Regolamento di disciplina previdenziale della Cassa nella parte in cui istituiva il contributo di solidarietà a carico dei pensionati senza considerare che la Suprema Corte si è pronunciata in relazione al contributo di solidarietà adottato dalla CNPR per il periodo 2004-2008 mentre nella fattispecie veniva in rilievo quello previsto dal Regolamento vigente per il triennio 2014/2016, art. 13, di legittima applicazione sia del D.Lgs. n. 509 del 1994, art. 2, sia della L. n. 335 del 1995, art. 3, comma 12, come modificato e autenticamente interpretato dalle disposizioni di cui in rubrica;
con la memoria depositata ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., la ricorrente ha affermato di insistere nei primi sette motivi di ricorso e, soprattutto nel quinto, sesto e settimo motivo, aventi ad oggetto la questione della legittimità del contributo di solidarietà applicato dalla Cassa nell’anno 2013 in virtù di quanto disposto dal D.L. n. 201 del 2011, art. 24, comma 24; inoltre, ha dichiarato di rinunciare all’ottavo motivo:
i primi quattro motivi di ricorso, sebbene variamente prospettata, attengono all’unica questione relativa all’accoglimento dell’appello incidentale proposto dagli eredi di T.E.L. nonostante, a detta della ricorrente, la memoria contenente l’appello incidentale non fosse mai stato notificato;
i motivi, palesemente connessi, vanno trattati congiuntamente e sono inammissibili per carenza di interesse ad impugnare;
la ricorrente nell’illustrazione del primo motivo (pagina 18 del ricorso) ha riportato la comunicazione successiva alla sentenza, pure allegata al ricorso, con la quale gli odierni intimati hanno manifestato la loro volontà di rinunciare al capo di sentenza ora in rilievo e ciò al fine di evitare un possibile ricorso per cassazione da parte della Cassa; la ricorrente ha pure affermato di aver preso atto della rinuncia, riservandosi comunque di proporre ricorso per cassazione anche in relazione agli altri capi della sentenza della Corte d’appello;
si tratta di un atto di evidente efficacia abdicativa in ordine all’effetto sostanziale della decisione di merito che preclude il potere delle parti di chiedere al giudice una nuova decisione sulla stessa controversia trattandosi di un atto che non può che essere interpretato come rinuncia anche al giudicato, in quanto estesa alla sentenza già emessa ed alle sue conseguenze;
l’espressa dichiarazione di volontà di rinunciare agli effetti della sentenza favorevole fa venir meno, ai sensi dell’art. 100 c.p.c., l’attualità dell’interesse ad impugnare da parte della odierna ricorrente il capo della sentenza relativo all’accoglimento dell’appello incidentale;
del resto, la stessa ricorrente sostiene l’interesse a ricorrere per cassazione, in ordine ai primi quattro motivi, facendo riferimento agli altri capi della sentenza impugnata che pure l’avevano vista soccombente;
i successivi motivi quattro, cinque e sei sono accomunati dall’essere tutti riferiti alla prospettazione che nell’anno 2013 la Cassa non aveva applicato il contributo di solidarietà previsto dal Regolamento di previdenza, art. 13, approvato con D.L. 17 dicembre 2013, pubblicato sulla G.U. del 22.2.2014 ma quello imposto dal D.L. n. 201 del 2011, art. 24;
tale circostanza escluderebbe che possa farsi riferimento ai precedenti di questa Corte di cassazione che hanno fondato il proprio convincimento sulla illegittimità del contributo di solidarietà in ragione della non configurabilità di un simile potere in capo alla Cassa;
la sentenza impugnata ha negato, in fatto, che il contributo in concreto applicato alla pensione di T.L. nel 2013 fosse stato motivato con la previsione del citato art. 24, giacché nei cedolini era stata indicata la sola dizione “contributo di solidarietà” senza ulteriori precisazioni né riferimenti normativi utili ad escludere che la ragione del prelievo non fosse la previsione del Regolamento della Cassa, art. 13;
a fronte di tale specifico accertamento in fatto la ricorrente ha denunciato il vizio di violazione del D.L. n. 201 del 2011, art. 24, nonché quello di violazione dell’art. 115 c.p.c., giacché ritiene che la sentenza impugnata avrebbe dovuto rendersi conto già dal contenuto del citato art. 24, come dalla disamina degli statini della pensione che nell’anno 2013 il contributo era stato dell’1% e non del 5%, segno evidente della correttezza dell’imposizione in quanto prevista direttamente dalla legge;
i vizi denunciati, poiché si tratta di incrinare un tipico accertamento in fatto posto in essere dal giudice di merito, non sono idonei a determinare la cassazione della sentenza essendo tale tipo di accertamento non sindacabile dal giudice di legittimità se non nei limiti previsti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), se viene omessa la valutazione di un fatto storico principale o secondario che abbia formato oggetto di discussione tra le parti e che sia decisivo per condurre ad un esito diverso da quello criticato;
invero, la finalità della ricorrente è evidentemente quella di sovvertire l’accertamento in fatto posto in essere dalla sentenza impugnata nella verifica documentale del titolo della ritenuta e, dunque, tale oggetto esula da quello coperto dal vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3; esso non tocca la motivazione adottata dal giudice di merito nell’apprezzamento dei fatti e degli atti sottoposti al proprio giudizio ma ricomprende tanto il vizio di violazione di legge, ossia l’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una previsione normativa, implicante un problema interpretativo della stessa, quanto quello di falsa applicazione della legge, consistente nella sussunzione della fattispecie concreta in una qualificazione giuridica che non le si addice, perché la fattispecie astratta da essa prevista non è idonea a regolarla, oppure nel trarre dalla norma, in relazione alla fattispecie concreta, conseguenze giuridiche che ne contraddicono la pur corretta interpretazione (Cass. n. 23851 del 25/09/2019;);
ugualmente inidoneo ad incrinare l’accertamento nel merito è il richiamo alla violazione dell’art. 115 c.p.c., posto che, come è noto per dedurre la violazione dell’art. 115 c.p.c., occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio), mentre è inammissibile la diversa doglianza che egli, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività valutativa consentita dall’art. 116 c.p.c. (Cass. Sez. U -, Sentenza n. 20867 del 30/09/2020);
l’ottavo motivo, relativo alla violazione e falsa applicazione della L. n. 335 del 1995, art. 3, comma 12, come novellato dalla L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 763, nonché dal D.Lgs. n. 509 del 1994, art. 2, con riferimento al contributo di solidarietà, ha formato oggetto di rinuncia da parte della Cassa;
il motivo non deve essere esaminato in applicazione del principio secondo il quale la rinuncia ad uno o più motivi di ricorso, che rende superflua una decisione in ordine alla fondatezza o meno di tali censure, è efficace anche in mancanza della sottoscrizione della parte o del rilascio di uno specifico mandato al difensore, in quanto, implicando una valutazione tecnica in ordine alle più Opportune modalità di esercizio della facoltà d’impugnazione e non comportando la disposizione del diritto in contesa, è rimessa alla discrezionalità del difensore stesso, e resta, quindi, sottratta alla disciplina di cui all’art. 390 c.p.c., per la rinuncia al ricorso (Cass. n. 414 del 13/01/2021; Cass. n. 22269 del 2016);
in definitiva, il ricorso va rigettato;
non si deve provvedere sulle spese del presente giudizio in assenza di attività difensiva da parte degli intimati.
PQM
La Corte rigetta il ricorso.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 16 novembre 2021.
Depositato in Cancelleria il 18 gennaio 2022