Corte di Cassazione, sez. V Civile, Sentenza n.1416 del 18/01/2022

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. DE MASI Oronzo – Consigliere –

Dott. BALSAMO Milena – rel. Consigliere –

Dott. FASANO Anna Maria – Consigliere –

Dott. CIRESE Marina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 24571/2014 proposto da:

Società Agricola Antiche Terre Dei Conti Srl, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in Roma Via Dei Monti Parioli 48 presso lo studio dell’avvocato Marini Giuseppe che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato Amato Carlo;

– ricorrente –

contro

Agenzia Delle Entrate Direzione Provinciale Trevi;

– intimato –

e contro

Agenzia Delle Entrate, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in Roma Via Dei Portoghesi 12 presso l’Avvocatura Generale Dello Stato che lo rappresenta e difende;

– controricorrente incidentale –

contro

Società Agricola Antiche Terre Dei Conti Srl;

– intimato –

avverso la sentenza n. 404/2014 della COMM.TRIB.REG., VENETO, depositata il 05/03/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 07/10/2021 dal Consigliere Dott. BALSAMO MILENA;

lette le conclusioni scritte del P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Giacalone Giovanni, che ha chiesto che si dichiari il rigetto del ricorso principale e del ricorso incidentale.

ESPOSIZIOTE DEI FATTI DI CAUSA La società Agricola Antiche Terre dei Conti s.r.l. in persona del L.R. acquistò in data 23.02.2007 e 28.05.2008 alcuni terreni allo scopo – espresso negli atti notarili di trasferimento immobiliare – di costituire un unico compendio ai sensi del D.Lgs. n. 228 del 2001, art. 5 bis.

L’Agenzia delle entrate provvedeva a notificare due avvisi di liquidazione di maggiori imposta di registro, ipotecaria e catastale, ritenendo che la contribuente non presentasse all’atto degli acquisti i requisiti di legge per beneficiare delle agevolazioni di cui all’art. 5 bis cit., e che la persona dell’amministratore dell’ente non rivestisse la qualifica di imprenditore agricolo. La contribuente impugnava l’atto impositivo, la cui legittimità veniva riconosciuta dalla CTP.

Nelle more, l’Agenzia emetteva la cartella esattoriale per la riscossione dei due terzi delle maggiori imposte e sanzioni di cui agli avvisi di liquidazione prodromici, nonché ulteriori sanzioni per l’omesso versamento delle somme indicate in cartella.

Si opponeva alla cartella eccependo la omessa allegazione degli atti citati nonché la carenza della motivazione e l’illegittima comminazione delle sanzioni D.Lgs. n. 471 del 1997, ex art. 13.

La CTP respingeva il ricorso con sentenza che veniva confermata dalla CTR del Veneto, ritenendo inutile l’allegazione degli atti richiamati, in quanto si trattava della sentenza della CTP in cui era parte proprio la contribuente.

Avverso la sentenza indicata in epigrafe propone ricorso per cassazione la società contribuente, sulla base di quattro motivi, illustrati nelle memorie difensive.

Resiste con controricorso, proponendo ricorso incidentale, l’Agenzia delle Entrate.

La pubblica udienza del 7/10/2021 si teneva in camera di consiglio ai sensi del D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, art. 23, comma 8-bis, conv. con modif. dalla L. 18 dicembre 2020, n. 176, nonché del D.L. 23 luglio 2021, n. 105, art. 7 conv. con modif. dalla L. 16 settembre 2021, n. 126, mentre il Procuratore Generale depositava conclusioni motivate scritte nel senso del rigetto del ricorso.

ESPOSIZIONE DELLA AGIONI DI DIRITTO 2. Con la prima censura si lamenta la violazione del D.Lgs. n. 228 del 2001, art. 5 bis ex art. 360 c.p.c., n. 3), per avere la Regionale sostenuto che non era necessaria l’allegazione della sentenza della CTP che negava le agevolazioni ex art. 5 bis citato.

La contribuente ripropone in questa sede le censure dedotte avverso l’originario avviso di liquidazione sub iudice, assumendo l’infondatezza di quell’atto impositivo già opposto in quanto – contrariamente a quanto affermato dalla CTR-sostiene di possedere sia il requisito oggettivo – relativo al raggiungimento del livello minimo di redditività come definito dalla Delib. G.R. n. 3470 del 2004, art. a) – sia quello soggettivo; non reputando necessaria la qualifica di coltivatore diretto o di imprenditore agricolo in capo all’acquirente, bensì solo l’impegno di costituire un compendio unico.

3. La seconda censura deduce violazione del D.Lgs. n. 99 del 2004, art. 7 ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3), reiterando le critiche già sviluppate con il primo motivo.

4. Il terzo motivo prospetta la violazione del D.M. n. 321 del 1999, artt. 1 e 6 in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3), nonché la nullità della sentenza in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4), per avere la CTR ritenuto irrilevante la data di notifica degli avvisi di liquidazione; mentre la CTP aveva affermato chiaramente che mancava la data di notifica degli atti presupposti nella cartella.

5.Con il quarto mezzo si lamenta la violazione dell’art. 2697 c.c. nonché della L. n. 212 del 2000, artt. 7 e 17, ex art. 360 c.p.c., n. 3), – nullità della sentenza in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4); per avere il decidente affermato l’irrilevanza dell’allegazione della sentenza della CTP alla luce della quale la cartella esattoriale era stata emessa per la riscossione parziale delle somme riconosciute dovute dal giudice di primo grado.

6. Con l’ultimo mezzo si lamenta la violazione del D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 13 e nullità della sentenza ex art. 360 c.p.c., n. 4), per avere la CTR affermato nella motivazione che le ulteriori sanzioni contenute nella cartella non avevano un presupposto giuridico, per confermare, invece, nel dispositivo, la sentenza di primo grado.

Sostiene al riguardo l’esistenza di un irrimediabile contrasto tra motivazione e dispositivo e l’inapplicabilità delle sanzioni di cui al cit. art. 13 che non farebbe riferimento alla fattispecie della riscossione parziale delle somme dovute.

7.Con ricorso incidentale, l’Agenzia delle Entrate lamenta la violazione degli artt. 156 e 132 c.p.c., nonché del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, ex art. 360 c.p.c., n. 4), sostenendo che laddove si dovesse ritenere che in motivazione la CTR abbia accolto la doglianza relativa alle ulteriori sanzioni applicate ai sensi del cit. art. 13, la relativa motivazione deve essere cassata, atteso l’error in procedendo rappresentato dalla assoluta carenza di motivazione.

8. Con il secondo motivo di ricorso incidentale si lamenta la violazione del D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 13 nonché del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 56, del D.Lgs. n. 347 del 1990, art. 13 e del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 68, ex art. 360 c.p.c., n. 3), per avere la CTR escluso nella motivazione l’applicabilità dell’art. 13 cit..

9.1 primi tre motivi del ricorso principale, da trattare congiuntamente data l’intima connessione, sono inammissibili, non attingendo la pronuncia di secondo grado, bensì riproponendo le questioni dedotte con l’impugnazione del prodromico avviso di accertamento; questioni, peraltro, che per lo più non sono state oggetto di discussione nel giudizio di merito relativo alla impugnazione della cartella. La contribuente poteva solo dedurre l’esistenza di vizi propri della cartella esattoriale, la quale era stata pacificamente preceduta dalla notifica di specifici avvisi di liquidazione – la cui data di notifica appare del tutto irrilevante tenuto conto che la cartella esattoriale è scaturita dalla sentenza della commissione tributaria – e, quindi, anche in questa sede, va ribadito il principio secondo cui ognuno degli atti autonomamente impugnabili può essere impugnato solo per vizi propri, D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 19 con conseguente impossibilità di richiedere a codesta Corte di verificare se la pretesa contenuta negli atti impositivi presupposti fosse o meno fondata.

10.La quarta censura è inammissibile per difetto di autosufficienza, riproponendo la questione della carenza motivazionale della cartella per l’omessa allegazione della sentenza della CTP, dalla quale scaturiva la cartella opposta, benché la decisione impugnata dia atto che la sentenza della CTP risulta citata nella cartella esattoriale e conosciuta al contribuente.

Ne consegue che correttamente il giudice di appello ha confermato, sul punto, la legittimità dell’operato dell’amministrazione finanziaria; né la parte contribuente ha mai contestato la riconducibilità della sentenza ora richiamata agli avvisi di liquidazione originari. Senza contare che, tra questi avvisi e la cartella, è da prendere in considerazione che l’iscrizione a ruolo è avvenuta, non direttamente sulla base degli avvisi di liquidazione, bensì a seguito della conferma degli stessi da parte del giudice di prime cure.

9. Vanno, infine, trattati congiuntamente il quinto motivo del ricorso principale ed i due motivi di quello incidentale, tutti relativi alla discrasia esistente tra il dispositivo di totale conferma della sentenza di primo grado e la parte finale della motivazione, relativa alle sanzioni D.Lgs. n. 471 del 1997, ex art. 13 rispetto alle quali la CTR ha affermato: “sulle ulteriori sanzioni, non si trova presupposto per la richiesta, in quanto i richiami effettuati dall’ufficio non sono di per sé sufficienti a sostenerne l’applicabilità”.

In via preliminare, si osserva che la parte vittoriosa non può proporre impugnazione incidentale, che presuppone la soccombenza, ma può chiedere al giudice del gravame di fornire, fermo restando il dispositivo, una soluzione giuridicamente più corretta, risollevando, in caso di appello, le medesime questioni ex art. 346 c.p.c., ovvero, innanzi alla Corte di cassazione, sollecitando il potere di correzione della motivazione ex art. 384 c.p.c. (Cass. n. 16171/2015). Rileva il Collegio che sicuramente è fondato l’ultimo motivo del ricorso principale, emergendo in maniera palese il contrasto tra motivazione e dispositivo laddove, mentre nella motivazione, la regionale afferma che l’applicazione delle ulteriori sanzioni non trova presupposto per la richiesta in quanto i richiami effettuati dall’ufficio non sono di per sé sufficienti a sostenerne l’applicabilità, nel dispositivo si conferma integralmente la sentenza di primo grado che aveva confermato l’applicabilità delle sanzioni.

Contrasto che non consentendo di individuare con certezza la statuizione del giudice attraverso una valutazione di prevalenza di una delle contrastanti affermazioni contenute nella decisione non può essere eliminato con il rimedio della correzione degli errori materiali, determinando invece la nullità della pronuncia ai sensi dell’art. 156 c.p.c., comma 2, (Cass. n. 21618 del 22/08/2019; n. 26074/2018; n. 5939/2018 n. 29490/2008).

Tuttavia una volta accolto il motivo in oggetto, con la relativa cassazione in parte qua della decisione di appello (il che implica anche l’assorbimento del motivo di ricorso incidentale che verteva appunto sulla correttezza della decisione di adottata dal giudice di appello, e che risulta interessata dalla cassazione), si impone una nuova statuizione in punto di sanzioni, reputando il Collegio che sia possibile pervenire ad una decisione nel merito, non apparendo necessari ulteriori accertamenti. Affinché la Corte di cassazione possa procedere alla correzione della motivazione della sentenza impugnata, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., u.c., è necessario che la sostituzione della motivazione sia solo in diritto e non comporti indagini o valutazioni di fatto, e che essa non importi violazione del principio dispositivo, ossia non pronunci su eccezioni non sollevate dalle parti e non rilevabili d’ufficio (Cass. n. 20806 del 06/09/2017) Ebbene, questa Corte ritiene di condividere l’opinione consolidata della giurisprudenza di legittimità secondo la quale “In tema di violazioni amministrative tributarie, il D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 13 ha una portata generale, applicandosi come espressamente indicato nel comma 2, ad “ogni ipotesi di mancato pagamento di un tributo o di una frazione nel termine previsto”. Pertanto tale sanzione è applicabile anche nell’ipotesi di mancato o tardivo versamento dei tributi mentre deve escludersi che possa determinarsi un’ipotesi di cumulo di sanzioni ove sia stata richiesta anche l’indennità di mora e gli interessi in concorso con la sanzione, ai sensi del D.Lgs. n. 504 del 1995, art. 3, comma 4 trattandosi di imposizioni di pagamento assolutamente infungibili rispetto alle pretese sanzionatorie perché giustificate da natura e funzione esclusivamente e rispettivamente risarcitoria e reintegrativa (Cass. 2010/18140; n. 2014/4793).

Ne deriva il rigetto del ricorso principale, assorbito quello incidentale.

Le spese seguono la soccombenza.

PQM

Rigetta il ricorso principale, assorbito quello proposto in via incidentale; condanna la ricorrente alla refusione delle spese di lite sostenute dall’amministrazione finanziaria che liquida in Euro 5.000,00, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, sussiste l’obbligo della parte impugnante in via principale non vittoriosa di versare una somma pari al contributo unificato già versato all’atto della proposizione dell’impugnazione, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della quinta sezione civile della Corte di cassazione, il 7 ottobre 2021.

Depositato in Cancelleria il 18 gennaio 2022

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