Corte di Cassazione, sez. V Civile, Sentenza n.1417 del 18/01/2022

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina Anna Piera – rel. Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

Dott. D’AQUINO Filippo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 14317/2015 R.G. proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, alla via Portoghesi, n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato che la rappresenta e difende come per legge;

– ricorrente –

contro

BURKERT CONTROMATIC ITALIANA S.P.A., in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa, giusta procura a margine del controricorso, dagli avv.ti Gianfranco Di Garbo, Giuliana Polacco e Guido Brocchieri, ed elettivamente domiciliata presso lo studio dell’avv. Guido Brocchieri, in Roma, Viale di Villa Massimo, n. 57;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 466/30/15 della Commissione tributaria regionale della Lombardia depositata il 12 febbraio 2015;

udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 23 novembre 2021 dal Consigliere Pasqualina Anna Piera Condello;

lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, Dott. Troncone Fulvio, che ha chiesto il rigetto del ricorso.

FATTI DI CAUSA

1. All’esito di una verifica fiscale, l’Agenzia delle entrate notificava alla Burkert Contromatic Italiana s.p.a. avviso di accertamento, per l’anno 2007, con cui recuperava a tassazione maggiori imposte ai fini Ires e Irap, sul rilievo che “i valori di costo derivanti dalle transazioni intrattenute dalla contribuente con la casa madre” (di diritto svizzero) fossero superiori al valore normale di quelli di mercato, ai sensi dell’art. 110, comma 7, del t.u.i.r..

2. La società impugnava l’atto impositivo, eccependo che l’analisi condotta dall’Ufficio era stata superficiale, sia perché era stata esaminata documentazione contabile riguardante anni d’imposta diversi da quello oggetto di verifica (2007), sia perché l’Ufficio, nel confermare che il metodo del Transactional Net Margin Method (TNMM) fosse quello più affidabile, al fine di verificare se il margine ottenuto dalla società fosse rispondente al valore di libera concorrenza, aveva effettuato una analisi di comparabilità (volta ad individuare il margine di remunerazione netto ottenuto da soggetti terzi indipendenti in transazioni simili), identificando solo tre comparables (ossia una società finlandese, una società cecoslovacca ed una società spagnola). Lamentava, quindi, la violazione dell’art. 110, comma 7, del t.u.i.r., evidenziando che i risultati del Transactional Net Margin Method (TNMM) – che si basava su una comparazione tra il profitto/margine netto conseguito da operatori indipendenti in transazioni comparabili, applicato anche dall’Ufficio – non erano in linea con il principio di libera concorrenza (arm’s lenght principle); sottolineava che aveva preso in considerazione un campione iniziale di 560 società, basandosi sulla comparabilità dei prodotti e sulle funzioni svolte, sino ad arrivare ad individuare 29 società comparabili, dimostrando di avere realizzato un margine operativo del 10,26 per cento e collocandosi al di sopra dell’intervallo interquartile di riferimento.

L’ufficio, al contrario, replicava che l’analisi dei prezzi di trasferimento praticati nelle operazioni infragruppo, effettuata con il metodo reddituale del Transactional Net Margin, aveva fatto emergere una media dei Return On Sales (R.O.S.) – indice dato dal rapporto tra il risultato operativo e la somma dei ricavi delle vendite e delle prestazioni, nonché dei ricavi (rendimento sulle vendite) – pari al 13,35 per cento, con conseguente accertata maggiore redditività della società e recupero a tassazione dei costi infragruppo eccedenti il valore normale.

3. La Commissione tributaria provinciale accoglieva il ricorso, rilevando che la scelta delle società operata dall’Ufficio per la predisposizione di una analisi di benchmark, allo scopo di individuare il relativo range di valore di mercato, era del tutto diversa da quella svolta dalla società. Osservavano, in particolare, che l’analisi di benchmark effettuata dalla contribuente, ed allegata al ricorso, aveva come obiettivo quello di identificare società indipendenti operanti sul territorio nazionale impegnate in attività comparabili a quella della stessa contribuente, ossia di società commerciali che acquistavano prodotti da terzi fornitori e li rivendevano sul mercato nazionale a terzi clienti; questa comparazione aveva indicato una redditività media del 4,85 per cento contro quella accertata dall’Ufficio del 10,26 per cento. Escludeva, inoltre, che l’Ufficio avesse fornito prove evidenti ed inconfutabili della metodologia applicata nell’accertamento.

4. Veniva interposto appello dall’Agenzia delle entrate, che lamentava l’omessa o insufficiente motivazione su fatti decisivi e la violazione dell’art. 110, comma 7, del t.u.i.r. e D.P.R. n. 917 del 1986, art. 9, comma 3, poiché dalla motivazione della sentenza non era dato ravvisare i motivi di diritto giustificanti l’accoglimento del ricorso. Precisava che aveva ritenuto affidabile, tra i vari metodi previsti dalle linee guida OCSE, quello del Transactional Net Margin in quanto fondato sui margini di remunerazione netti, selezionando quale Tested Party la BC-IT e quale Profit Level Indicator il cd. Return On Sales, rilevando come i rischi strategici fossero quasi tutti in capo alla controllante svizzera BC-AG, mentre quelli legati alla funzione distributiva, all’insolvenza dei clienti, al danneggiamento dei prodotti ed obsolescenza degli stessi fossero esclusivamente in capo alla BC-IT e pertanto aveva individuato società operanti nel territorio nazionale ed Europeo che svolgessero attività di commercializzazione il più simile possibile a quelle poste in essere dalla BC-IT. Poiché l’analisi dei dati desunti dal bilancio della contribuente evidenziava un margine di profitto netto effettivo pari al 10,26 per cento, dunque inferiore rispetto a quello rilevato per i comparables, aveva ritenuto che i valori dei costi derivanti dalle transazioni intrattenute dalla BC-IT con la casa madre svizzera fossero superiori al valore normale ed aveva quindi recuperato costi indeducibili, ai sensi dell’art. 110, comma 7, del t.u.i.r..

4. La Commissione tributaria regionale rigettava l’impugnazione. Riteneva che non sussistesse alcuna “omessa e/o gravemente insufficiente motivazione attorno a fatti decisivi e controversi” da parte dei giudici di primo grado e tanto meno una violazione del disposto di cui all’art. 110, comma 7, del t.u.i.r. Affermava: “I primi giudici si sono infatti chiaramente espressi in motivazione in relazione alla analisi di benchmark effettuata “allo scopo di individuare le società comparabili alla ricorrente ed il relativo range interquartile di valore di mercato” ed eseguita dall’Ufficio sulla base di confronti di solo tre società, spagnola, cecoslovacca e finlandese, fondatamente concludendo che “l’Ufficio non abbia fornito prove evidenti ed inconfutabili della metodologia applicata nell’accertamento””.

5. Per la cassazione della suddetta decisione ricorre l’Agenzia delle entrate, con un unico motivo.

La società Burckert Contromatic Italiana S.p.a. resiste mediante controricorso, ulteriormente illustrato con memoria ex art. 378 c.p.c..

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con l’unico motivo di ricorso la difesa erariale censura la decisione gravata per “violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36. Vizio di motivazione apparente, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4”.

Sostiene che nell’atto di appello aveva evidenziato la lacunosità della sentenza di primo grado, per non avere la C.T.P. esplicitato il percorso logico-giuridico in base al quale era pervenuta al giudizio di validità dell’analisi di benchmark effettuata dalla società contribuente ed al conseguente giudizio di inattendibilità della metodologia seguita dall’Ufficio. Soggiunge che si è in presenza di una evidente ipotesi di motivazione per relationem, poiché la C.T.R. si limita ad utilizzare formule vaghe e generiche, affermando che la sentenza della C.T.P. è “chiara” e “fondata”, senza far emergere alcuna ragione utile a comprendere perché le censure mosse dall’Ufficio alla sentenza di primo grado fossero infondate e perché fosse stata condivisa la motivazione fornita dal giudice di primo grado.

2. In controricorso la contribuente ha preliminarmente rilevato la formazione del giudicato interno favorevole sui capi della sentenza in ordine ai quali l’Ufficio finanziario ha prestato acquiescenza. Ha, inoltre, eccepito l’inammissibilità del ricorso per violazione del principio di autosufficienza (art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6), in ragione della mancata indicazione degli atti e documenti posti a base del ricorso, con la specificazione della loro collocazione, oltre che per difetto di specificità (art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4), poiché la tecnica espositiva del motivo di ricorso rende il gravame non intellegibile ed esauriente.

2.1. I diversi profili di inammissibilità del ricorso, dedotti dalla controricorrente, vanno disattesi.

2.2. Con riguardo alla carenza del requisito di autosufficienza del ricorso, occorre rammentare che la ricorrente non è tenuta, in ragione dell’indisponibilità del fascicolo di parte, che resta acquisito, D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 25, comma 2, al fascicolo d’ufficio del processo svoltosi davanti alla Commissione tributaria, ad un nuovo onere di produzione documentale (cfr. Cass., sez. U, 3/11/2011, n. 22726), risultando all’uopo sufficiente la richiesta di trasmissione, ex art. 369 c.p.c., comma 3, del fascicolo alla segreteria della C.T.R..

Ciò non esonera, tuttavia, la parte dal diverso onere previsto, a pena d’inammissibilità, dal menzionato art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, che richiede, “la specifica indicazione degli atti processuali e dei documenti sui quali il ricorso si fonda”, con l’indicazione dei dati necessari all’individuazione della loro collocazione quanto al momento della loro produzione nei gradi di merito (in tal senso, Cass., n. 22726 del 2011, cit.; Cass., sez. 5, 15/07/2015, n. 14784; Cass., sez. 5, 22/10/2010, n. 21686; Cass., sez. 5, 12/01/2010, n. 303).

Nel caso di specie, l’Amministrazione ricorrente non si è limitata a dichiarare, nella parte espositiva del ricorso, che “gli atti ed i documenti richiamati nel ricorso sono contenuti nel fascicolo d’ufficio del quale si è presentata istanza di trasmissione ex art. 369 c.p.c.”, ma ha pure fornito puntuali indicazioni necessarie ai fini della relativa individuazione, con precisazione anche dell’esatta collocazione nel fascicolo d’ufficio o in quello di parte e se essi siano stati rispettivamente acquisiti o prodotti anche in sede di giudizio di legittimità. Ciò consente di ritenere soddisfatto il requisito di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, in conformità ai principi enunciati da Cass., sez. U, 27/12/2019, n. 34469 e da Cass., sez. U, 19/04/2016, n. 7701.

2.2. Quanto all’altro profilo di inammissibilità, in tema di ricorso per cassazione, il principio di specificità di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4 richiede per ogni motivo l’indicazione della rubrica, la puntuale esposizione delle ragioni per cui è proposto, nonché l’illustrazione degli argomenti posti a sostegno della sentenza impugnata e l’analitica precisazione delle considerazioni che, in relazione al motivo, come espressamente indicato nella rubrica, giustificano la cassazione della pronunzia (Cass., sez. L, 18/08/2020, n. 17224).

Nella specie, la ricorrente ha assolto tale onere, poiché il ricorso, richiamando la motivazione della sentenza di primo grado ed i motivi articolati nel giudizio di appello, contiene in sé tutti gli elementi per porre questa Corte in grado di provvedere al diretto controllo della sufficienza della motivazione della decisione.

2.3. In difetto di tempestiva impugnazione e stante il richiamo operato dalla ricorrente ai soli capi della sentenza impugnata afferenti il dedotto difetto di motivazione della sentenza di primo grado e la violazione dell’art. 110, comma 7, del t.u.i.r. e art. 9, comma 3, dello stesso decreto, deve darsi atto che l’oggetto del presente giudizio di legittimità è limitato esclusivamente a tali statuizioni.

3. Il motivo di ricorso è fondato nei limiti che di seguito si espongono.

3.1. Il motivo è da disattendere con riguardo alla censura diretta a contestare la esistenza stessa della motivazione, in quanto la motivazione per relationem non è una motivazione inesistente.

La sentenza d’appello può essere motivata per relationem, purché il giudice del gravame dia conto, sia pur sinteticamente, delle ragioni della conferma in relazione ai motivi di impugnazione ovvero della identità delle questioni prospettate in appello rispetto a quelle già esaminate in primo grado, sicché dalla lettura della parte motiva di entrambe le sentenze possa ricavarsi un percorso argomentativo esaustivo e coerente, mentre va cassata la decisione con cui i giudici di secondo grado si siano limitati ad aderire alla pronunzia di primo grado in modo acritico senza alcuna valutazione di infondatezza dei motivi di gravame (Cass., sez. L, 5/11/2018, n. 28139; Cass., sez. 6L, 11/09/2018, n. 21978; Cass., sez. 2, 23/09/2019, n. 18754).

3.2. Occorre rammentare, con riguardo alla motivazione per relationem in cui la relatio cui ha fatto ricorso il giudice d’appello concerne la motivazione della sentenza di primo grado, che questa Corte (Cass., sez. U, n. 5612 del 1998) ha affermato che “adempie all’obbligo di motivazione il giudice del gravame che si richiami per relationem alla sentenza impugnata di cui condivida le argomentazioni logico – giuridiche, purché dia conto di aver valutato criticamente sia il provvedimento censurato che le censure proposte”.

3.3. Come è stato poi ulteriormente chiarito dalle Sezioni Unite (Cass., sez. U, 20/03/2017, n. 7074), in tema di ricorso per cassazione, ove la sentenza di appello sia motivata per relationem alla pronuncia di primo grado, al fine ritenere assolto l’onere ex art. 366 c.p.c., n. 6, occorre che la censura identifichi il tenore della motivazione del primo giudice specificamente condivisa dal giudice di appello, nonché le critiche ad essa mosse con l’atto di gravame, che è necessario individuare per evidenziare che, con la resa motivazione, il giudice di secondo grado ha, in realtà, eluso i suoi doveri motivazionali.

3.4. Nella fattispecie è rinvenibile questa specifica indicazione dei punti della motivazione di primo grado che sono stati censurati con l’atto di appello.

Dallo stralcio dell’atto di appello ritrascritto in ricorso si evince che l’Agenzia delle entrate ha evidenziato che, nel corso della istruttoria finalizzata a verificare la conformità al valore normale dei prezzi di trasferimento praticati nelle operazioni infragruppo dalla contribuente, era stato rilevato l’inadempimento di quest’ultima rispetto agli oneri di comunicazione e di documentazione D.L. 31 maggio 2010, n. 78, ex art. 26 avendo la società dichiarato di possedere la documentazione circa il regime dei prezzi di trasferimento soltanto per gli anni 2008, 2009 e 2010, ma non per l’anno 2007 oggetto di controllo, tanto che aveva prodotto soltanto uno studio sui prezzi di trasferimento relativo agli anni dal 2008 al 2010, che si presentava lacunoso in merito ai criteri di individuazione dei soggetti comparabili e di quelli utilizzati per pervenire alla definizione dei profitti nell’ambito del metodo del margine netto della transazione.

Dalla stessa lettura della motivazione della sentenza di appello si apprende, altresì, che l’Agenzia delle entrate, con l’atto di appello, nel contestare la omessa o insufficiente motivazione della sentenza di primo grado, lamentando che dalla stessa non fosse dato ravvisare “i motivi di diritto giustificanti l’accoglimento del ricorso”, ha fatto rilevare che aveva applicato, al fine di determinare una gamma di margini in una libera transazione, il metodo reddituale della Transactional Net Margin, ritenuto più affidabile, selezionando quale “parte testata” la società contribuente, perché avente un profilo funzionale più semplice da confrontare con potenziali comparabili, ed utilizzando quali indicatori di livello di profitto il cd. Return On Sale, dato dal rapporto tra risultato operativo e la somma dei ricavi delle vendite e delle prestazioni, nonché degli altri ricavi e proventi.

Si inferisce pure dalla sentenza che dall’analisi dei dati di bilancio della contribuente l’Amministrazione finanziaria aveva riscontrato un margine di profitto netto (ROS) effettivo pari al 10,26 per cento e dunque inferiore di più di tre punti rispetto a quello rilevato per comparables indipendenti, circostanza che aveva indotto a ritenere che i valori dei costi derivanti dalle transazioni intrattenute dalla contribuente con la casa madre svizzera fossero superiori al valore normale di quelli di mercato.

A fronte di questa specifica contestazione, la C.T.R., richiamando la sentenza oggetto di impugnazione, si è limitata ad affermare che i primi giudici, pronunciandosi in relazione alla analisi di benchmark, “allo scopo di individuare le società comparabili alla ricorrente ed il relativo range interquartile di valore di mercato”, eseguita dall’Ufficio sulla base di confronto con tre società, avevano concluso che l’Amministrazione non avesse offerto prove inconfutabili della metodologia applicata nell’accertamento. Non ha, tuttavia, chiarito in modo adeguato né le ragioni per cui intendesse aderire alla decisione della C.T.P. e, quindi, i motivi per cui il metodo utilizzato dall’Ufficio non potesse considerarsi attendibile, né ancora perché dovesse essere preferito quello utilizzato dalla società contribuente, ed ha tralasciato di prendere in esame i rilievi puntuali mossi dall’Ufficio finanziario che aveva indicato in modo chiaro ed esaustivo la metodologia in concreto applicata e le risultanze della verifica. In tal modo, omettendo di spiegare se la valutazione effettuata dall’Amministrazione finanziaria si discosti dai criteri che devono guidare l’analisi delle transazioni infragruppo volta ad accertare se sia stato rispettato, da parte della società contribuente, il prezzo di libera concorrenza mediante la comparazione con transazioni similari poste in essere da società terze indipendenti.

La condivisione della tesi difensiva della contribuente risulta, dunque, sfornita di adeguate argomentazioni e la lettura complessiva della sentenza, comprensiva anche della premessa in fatto e delle difese svolte dalle parti nelle varie fasi del processo, non testimonia l’effettuazione di una autonoma valutazione da parte del giudice di appello perché non consente di comprendere l’apprezzamento svolto in merito all’analisi dei prezzi di trasferimento condotta dall’Ufficio.

Si tratta quindi di una mera motivazione per relationem che si risolve in una acritica adesione alle motivazioni del primo giudice a fronte di una contestazione puntuale che è stata ribadita anche nel ricorso per cassazione e che traspare chiaramente anche dalla stessa sentenza di secondo grado.

La sentenza va, pertanto, cassata.

5. Conclusivamente, in accoglimento del ricorso, la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio alla competente Commissione tributaria regionale, in diversa composizione, perché provveda a nuovo esame della controversia, nonché alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

PQM

La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, in diversa compensazione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 23 novembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 18 gennaio 2022

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