LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE T
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GRECO Antonio – Presidente –
Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – rel. Consigliere –
Dott. CATALDI Michele – Consigliere –
Dott. LUCIOTTI Lucio – Consigliere –
Dott. LO SARDO Giuseppe – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 9330-2018 proposto da:
O.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEL CIRCO MASSIMO, 9, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO INNOCENTI, che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE, *****, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende, ope legis;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 61/3/2017 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE DELL’UMBRIA, depositata il 15/02/2017;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non partecipata del 19/10/2021 dal Consigliere Relatore Dott. ANTONIO FRANCESCO ESPOSITO.
RILEVATO
che:
A seguito di processo verbale di constatazione redatto dalla Guardia di Finanza di Perugia all’esito di verifica fiscale e correlate indagini bancarie, venivano notificati a O.G. tre avvisi di rettifica, relativi alle dichiarazioni IVA per gli anni 1988, 1989 e 1990.
La sentenza di accoglimento dei ricorsi (poi riuniti) proposti dal contribuente, emessa dalla CTP di Perugia, veniva riformata, nella contumacia dell’ O., dalla CTR dell’Umbria.
Avverso la cartella di pagamento emessa a seguito della mancata impugnazione della pronuncia della CTR, il contribuente proponeva ricorso dinanzi alla CTP di Perugia; proponeva altresì querela di falso in relazione alla sottoscrizione dell’avviso di ricevimento dell’atto di appello dell’Ufficio.
Conclusosi il giudizio di falso con sentenza del Tribunale di Perugia che accertava che l’avviso di ricevimento non era stato sottoscritto dall’ O., questi proponeva ricorso per revocazione avverso la sentenza della CTR dell’Umbria. La commissione tributaria regionale accoglieva il ricorso disponendo la rinnovazione della notifica dell’atto di appello.
La CTR dell’Umbria, con sentenza del 15 febbraio 2017, accoglieva l’appello dell’Ufficio. Premesso che l’ O. non si era costituito in giudizio nonostante avesse ricevuto regolare notifica dell’atto di appello al domicilio eletto presso il difensore Avv. M.M., rilevava la CTR che il contribuente non era riuscito a fornire la prova della natura non commerciale delle operazioni non fatturate, in quanto la documentazione esibita non era idonea a comprovare l’estraneità dei movimenti bancari alla sua attività d’impresa.
Avverso tale decisione il contribuente ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi.
L’Agenzia delle entrate resiste con controricorso.
Con ordinanza n. 7525/2019 questa Corte, considerato che il contribuente aveva depositato istanza con la quale manifestava l’intenzione di avvalersi della definizione agevolata della controversia D.L. n. 119 del 2018, ex art. 6, conv. dalla L. 17 dicembre 2018, n. 136, disponeva il rinvio della causa a nuovo ruolo.
Sulla proposta del relatore risulta regolarmente costituito il contraddittorio camerale.
CONSIDERATO
che:
Preliminarmente va rilevato che il contribuente ha depositato istanza con la quale manifestava l’intenzione di avvalersi della definizione agevolata della controversia D.L. n. 119 del 2018, ex art. 6, conv. dalla L. 17 dicembre 2018, n. 136. Con ordinanza n. 7525/2019 questa Corte disponeva il rinvio della causa a nuovo ruolo.
Il D.L. n. 119 del 2018, art. 6, comma 10, conv. dalla L. 17 dicembre 2018, n. 136 dispone: “Le controversie definibili non sono sospese, salvo che il contribuente faccia apposita richiesta al giudice, dichiarando di volersi avvalere delle disposizioni del presente articolo. In tal caso il processo è sospeso fino al 10 giugno 2019. Se entro tale data il contribuente deposita presso l’organo giurisdizionale innanzi al quale pende la controversia copia della domanda di definizione e del versamento degli importi dovuti o della prima rata, il processo resta sospeso fino al 31 dicembre 2020”.
Orbene, il contribuente, dopo aver proposto l’istanza con la quale manifestava l’intenzione di avvalersi della definizione agevolata della controversia, non ha provveduto a depositare copia della domanda di definizione e del versamento degli importi dovuti o della prima rata, di modo che non si è verificato l’effetto della sospensione del processo fino al 31 dicembre 2020, previsto dal menzionato D.L. n. 119 del 2018, art. 6, comma 10, conv. dalla L. 17 dicembre 2018, n. 136. Conseguentemente, non trova applicazione, nella specie, l’art. 6 cit., il comma 13, il quale prevede l’estinzione del processo in mancanza di istanza di trattazione presentata entro il 31 dicembre 2020 dalla parte interessata.
Con il primo motivo il ricorrente – denunciando violazione e falsa applicazione degli artt. 291 e 350 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, – lamenta che erroneamente la CTR aveva ritenuto ritualmente notificato l’atto di appello al domicilio eletto presso il difensore Avv. M.M., atteso che il suddetto difensore lo aveva assistito nel giudizio di falso ed in quello di revocazione, mentre risultava del tutto estraneo al procedimento definito con sentenza della CTP di Perugia, cui doveva farsi riferimento dopo la revocazione della decisione di appello.
Il motivo è infondato.
Non è controverso tra le parti che nel giudizio per revocazione della sentenza della CTR dell’Umbria – con la quale, in accoglimento del ricorso del contribuente, veniva disposta la rinnovazione della notifica dell’atto di appello, essendo stata accertata nel giudizio civile la falsità della sottoscrizione dell’avviso di ricevimento – l’ O. fosse rappresentato e difeso dall’Avv. M.M., domiciliatario; correttamente pertanto la rinnovazione della notifica dell’atto di appello disposta a seguito della revocazione è stata effettuata presso il difensore domiciliatario del contribuente, Avv. M.M..
Con il secondo motivo si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Sostiene il ricorrente che erroneamente la CTR aveva ritenuto che la documentazione prodotta dal contribuente non era idonea dimostrare la natura non commerciale delle operazioni recuperate a tassazione, e ciò sulla base di valutazioni già espresse nella sentenza oggetto di revocazione e nonostante la suddetta documentazione non fosse più presente nel fascicolo processuale.
La censura è inammissibile.
Con il motivo di ricorso il ricorrente prospetta in realtà, sotto lo schermo del vizio di violazione di legge, una diversa valutazione delle risultanze fattuali, il cui apprezzamento è riservato al giudice di merito. E difatti, “Con la proposizione del ricorso per cassazione, il ricorrente non può rimettere in discussione, contrapponendone uno difforme, l’apprezzamento in fatto dei giudici del merito, tratto dall’analisi degli elementi di valutazione disponibili ed in sé coerente, atteso che l’apprezzamento dei fatti e delle prove è sottratto al sindacato di legittimità, dal momento che, nell’ambito di quest’ultimo, non è conferito il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice di merito, cui resta riservato di individuare le fonti del proprio convincimento e, all’uopo, di valutare le prove, controllarne attendibilità e concludenza e scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione” (Cass. n. 9097 del 2017).
Quanto ai profili di censura con i quali si sostiene che la CTR avrebbe assunto la propria decisione fondandola su documentazione che non era presente nel fascicolo processuale, essi involgono la ricorrenza di un vizio revocatorio, che, ai sensi dell’art. 395 c.p.c., comma 1, n. 4, può essere fatto valere con la revocazione ordinaria e non con il ricorso per cassazione.
In conclusione, il ricorso deve essere rigettato.
Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso;
condanna il ricorrente al pagamento, in favore dell’Agenzia delle entrate, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4.100,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 19 ottobre 2021.
Depositato in Cancelleria il 18 gennaio 2022
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