Catasto, rendita catastale, attribuzione a seguito di procedura DOCFA, motivazione, contenuto

Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.1432 del 18/01/2022

Pubblicato il

In tema di classamento di immobili, l'attribuzione della rendita catastale mediante procedura cd. DOCFA si distingue dal riclassamento operato su iniziativa dell'ufficio ai sensi della L. n. 211 del 2004, art. 1, comma 335: nel primo caso, trattandosi di procedura collaborativa, l'obbligo di motivazione del relativo avviso è assolto con la mera indicazione dei dati oggettivi e della classe attribuita, quando gli elementi di fatto indicati dal contribuente non siano disattesi dall'Ufficio e l'eventuale differenza con la rendita proposta derivi da una diversa valutazione tecnica sul valore economico dei beni; nel secondo caso, invece, dovendosi incidere su valutazioni già verificate in termini di congruità al fine di mutare il classamento precedentemente attribuito, la motivazione è più approfondita, in quanto volta ad evidenziare gli elementi di discontinuità che legittimano la variazione sia per consentire il pieno esercizio del diritto di difesa del contribuente e sia per delimitare l'oggetto dell'eventuale contenzioso.

Condividi su FacebookCondividi su LinkedinCondividi su Twitter

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRECO Antonio – Presidente –

Dott. MOCCI Mauro – Consigliere –

Dott. CAPRIOLI Maura – rel. Consigliere –

Dott. LO SARDO Giuseppe – Consigliere –

Dott. DELLI PRISCOLI Lorenzo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 4990-2020 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, (C.F. *****), in persona Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende, ope legis;

– ricorrente –

contro

CENTRO AGROALIMENTARE ROMA (CAR) SCPA, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA SS. APOSTOLI, 66, presso lo studio dell’avvocato MAURIZIO LEO, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3916/2/2019 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE del LAZIO, depositata il 26/06/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non partecipata del 20/10/2021 dal Consigliere Relatore Dott. MAURA CAPRIOLI.

FATTO E DIRITTO

Considerato che:

Commissione Tributaria Provinciale di Roma accoglieva il ricorso della parte contribuente avverso l’avviso di accertamento relativo all’aumento – rispetto a quanto proposto dalla parte contribuente mediante DOCFA – della rendita catastale di una struttura articolata in 4 macro – aree adibite ad uffici, officine e servizi, per i quali era stata proposta nella DOCFA la categoria D/7, confermata dall’Ufficio;

La Commissione Tributaria Regionale del Lazio, come sentenza qui impugnata, respingeva l’appello dell’Agenzia delle entrate per non avere l’avviso di accertamento specificato le ragioni alla base dell’aumento della rendita catastale in quanto anche in sede di appello l’amministrazione finanziaria non fornisce alcun oggettivo elemento che giustifichi l’aumento della rendita catastale e la qualificazione nella categoria speciale.

Osservava che solo in sede contenzioso avrebbe rilevato che l’immobile si compone di diversi corpi di fabbrica, utilizzati come uffici, locali depositi e locali commerciali con caratteristiche riscontrabili in categoria D8 e pertanto non presenta caratteristiche singolari tali da giustificare l’attribuzione nella categoria E/3.

Sottolineava che le argomentazioni dedotte dall’Agenzia non era sufficienti a modificare la categoria trattandosi di un immobile che assolve ad una finalità pubblicistica che esclude l’attribuzione nella categoria D/8.

Avverso tale sentenza l’Ufficio propone ricorso per cassazione affidato a due motivi cui resiste con controricorso la contribuente.

Con il primo motivo si deduce la violazione e falsa applicazione della L. n. 241 del 1990, art. 3 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto gli avvisi di accertamento impugnati sarebbero sufficientemente motivati perché scaturiti a seguito di procedura DOCFA e inoltre la stima diretta è propria degli immobili di categoria speciale come quelli del caso di specie.

Con il secondo motivo si deduce la violazione e falsa applicazione del D.L. n. 262 del 2006, art. 2, e del D.P.R. n. 1142 del 1949, art. 6, in base all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per aver riconosciuto corretto il censimento proposta dalla contribuente nella categoria E/3 malgrado le caratteristiche possedute dai beni in questione consentissero di inquadrarli nella categoria D/8.

Si sostiene che l’attività di qualificazione catastale ha il fine di giudicare le unità immobiliari sulla base delle caratteristiche oggettive del D.P.R. n. 1142 del 1949, art. 6, oltre al fatto che non sarebbe consentito applicare detta categoria in modo generalizzato a tutti gli immobili destinati ad assolvere esigenze pubbliche.

va esclusa preliminarmente la fondatezza dell’eccezione della controricorrente di inammissibilità del ricorso per difetto di specificità delle censure riportate nel ricorso, che, già per quanto sopra riferito, intercettano in maniera puntuale le argomentazioni svolte dai giudici di appello nell’impugnata sentenza. Sottoponendo al vaglio della Corte la questione di diritto di quale sia il contenuto minimo dell’avviso di rettifica della categoria catastale emesso nell’ambito di una procedura Docfa e quali siano le caratteristiche di un bene per essere inquadrato nella categoria speciale.

Va rigettata, sempre in via preliminare l’eccezione di inammissibilità del ricorso, formulata dalla parte contribuente nel suo controricorso, per avere il ricorrente solo formalmente dedotto una violazione di legge e dolendosi in realtà invece di un presunto difetto di motivazione della sentenza impugnata. La ricorrente infatti, nel rispetto dei dettami di Cass. SU n. 23745 del 2020 e dell’onere di specificità dei motivi sancito dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4), ha indicato le norma di legge di cui intendeva lamentare la violazione (L. n. 241 del 1990, art. 3), ne ha esaminato il contenuto precettivo anche alla luce della giurisprudenza di questa Corte (citando, fra le altre, Cass. n. 22847 del 2017 sulla struttura partecipativa della procedura DOCFA) e lo ha raffrontato con le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata (ad esempio laddove si afferma che la Commissione Tributaria Regionale rileva come l’Ufficio avrebbe illustrato solo in sede processuale le ragioni a sostegno della rettifica operata a fronte delle contestazioni di parte privata) espressamente richiamate al fine di dimostrare che queste ultime contrastano col precetto normativo e con quanto lamentato dall’Ufficio fin dalle controdeduzioni in primo grado.

Il primo motivo è fondato.

Giova ricordare che in tema di classamento di immobili, l’attribuzione della rendita catastale mediante procedura cd. DOCFA si distingue dal riclassamento operato su iniziativa dell’ufficio ai sensi della L. n. 211 del 2004, art. 1, comma 335: nel primo caso, trattandosi di procedura collaborativa, l’obbligo di motivazione del relativo avviso è assolto con la mera indicazione dei dati oggettivi e della classe attribuita, quando gli elementi di fatto indicati dal contribuente non siano disattesi dall’Ufficio e l’eventuale differenza con la rendita proposta derivi da una diversa valutazione tecnica sul valore economico dei beni; nel secondo caso, invece, dovendosi incidere su valutazioni già verificate in termini di congruità al fine di mutare il classamento precedentemente attribuito, la motivazione è più approfondita, in quanto volta ad evidenziare gli elementi di discontinuità che legittimano la variazione sia per consentire il pieno esercizio del diritto di difesa del contribuente e sia per delimitare l’oggetto dell’eventuale contenzioso (la Cassazione ha affermato l’enunciato principio in una fattispecie in cui l’accatastamento operato dall’Ufficio, diverso da quello proposto dal contribuente, teneva comunque conto della destinazione e delle caratteristiche dell’immobile, così come risultanti dall’elaborato DOCFA presentato: Cass. n. 31809 del 2018; Cass. n. 12777 del 2018; Cass. n. 30166 del 2019).

Con riguardo al caso di classamento di immobili con destinazione speciale (ad esempio opifici), l’attribuzione della rendita catastale realizzata in seguito alla cd. procedura DOCFA è determinata, R.D.L. n. 652 del 1939, ex art. 10, conv. in L. n. 1249 del 1939, con stima diretta per ogni singola unità e può avvenire tanto con procedimento diretto, ossia partendo dal reddito lordo ordinariamente ritraibile e detraendo le spese e le eventuali perdite, quanto con procedimento indiretto, ossia attraverso un calcolo fondato sul valore del capitale fondiario, costituito dal valore di mercato dell’immobile ovvero dal costo di ricostruzione, tenendo conto, in tale ultimo caso, del deprezzamento delle unità in ragione del loro stato attuale, del livello di obsolescenza e del ciclo di vita tecnico-funzionale (Cass. n. 7854 del 2020; Cass. n. 6554 del 2020);

Ciò posto nella specie la Commissione Tributaria Regionale non si è attenuta ai suddetti principi laddove ha ritenuto non sufficientemente motivato l’avviso di accertamento, per non avere l’atto impositivo specificato le ragioni alla base dell’aumento della rendita catastale senza considerare da un lato che, poiché la procedura DOCFA è fortemente collaborativa e partecipativa, l’obbligo di motivazione del relativo avviso è assolto con la mera indicazione dei dati fattuali oggettivi e della classe attribuita, quando, come nel caso di specie, gli elementi di fatto indicati dal contribuente non siano disattesi dall’Ufficio e la differenza con la rendita proposta derivi da una diversa valutazione tecnica sul valore economico dei beni e dall’altro che, trattandosi di immobili a destinazione speciale (nel caso di specie pluralità di corpi di fabbricata utilizzati come uffici, locali deposito o locali commerciali), mediante “stima diretta”, potendo l’Amministrazione legittimamente avvalersi della valutazione delle risultanze documentali in suo possesso, non potendosi pretendere, per immobili di suddette categorie speciali, l’individuazione di immobili realmente simili con i quali effettuare una comparazione effettivamente attendibile.

il secondo motivo è parimenti fondato.

Il D.L. 3 ottobre 2006, n. 262, art. 2, comma 40, e seguenti, convertito con modificazioni dalla L. 24 novembre 2006, n. 286, ha dettato norme in materia di classificazione degli immobili e, in particolare, delle unità immobiliari polifunzionali censite nelle categorie catastali del “Gruppo E”, con l’esclusione delle categorie E/7 ed E/8.

In ottemperanza al citato decreto, con Provvedimento del Direttore dell’Agenzia, emanato in data 2 gennaio 2007, sono state precisate le modalità tecniche attuative nonché le procedure relative agli adempimenti di parte e, per i casi di inadempienza, alle attività di competenza dell’Ufficio.

L’art. 2, comma 40, dispone che “nelle unità immobiliari censite nelle categorie catastali E/1, E12, E/3, E/4, E/5, E/6 ed E/9 non possono essere compresi immobili o porzioni di immobili destinati ad uso commerciale, industriale, ad ufficio privato ovvero ad usi diversi, qualora gli stessi presentino autonomia funzionale o reddituale”, il che instaura una vera e propria incompatibilità tra classificazione in categoria E, da un lato, e destinazione dell’immobile ad uso commerciale o industriale, dall’altro.

Il medesimo art. 2, comma 41, stabilisce che “Le unità immobiliari che per effetto del criterio stabilito nel comma 40, richiedono una revisione della qualificazione e quindi della rendita devono essere dichiarate in catasto da parte dei soggetti intestatari, entro nove mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto. In caso di inottemperanza, gli uffici provinciali dell’Agenda del territorio provvedono, con oneri a carico dell’interessato, agli adempimenti previsti dal regolamento di cui al D.M. Finanze 19 aprile 1994, n. 701”.

Il Provvedimento del Direttore dell’Agenzia del territorio del 2 gennaio 2007, all’art. 1, comma 1, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 9 gennaio 2007, n. 6, stabilisce che “gli immobili o loro porzioni destinati ad uso commerciale, industriale, ad ufficio privato, ovvero ad usi diversi, ricompresi nell’ambito di unità immobiliari già iscritte nelle categorie catastali E/1, E/2, E/4, E/3, E/6, ed E/9, ovvero oggetto di dichiarazione di variazione o di nuova costruzione, sono censiti in catasto come unità immobiliari autonome in altra appropriata categoria di un diverso gruppo, qualora gli stessi presentino autonomia funzionale e reddituale”.

L’art., comma 2, definisce anche la locuzione “usi diversi”, stabilendo che si intende, per essi, ogni altra utilizzazione, anche se diversa da quella commerciale, industriale ed ufficio privato”… non strettamente strumentale all’esercizio della destinazione funzionale dell’unità immobiliare principale, censita in una categoria del gruppo E”.

Con circolare 13 aprile 2007, n. 4, l’Agenzia del Territorio ha fornito delle direttive per il classamento nelle categorie del gruppo E. Secondo l’Ufficio, relativamente alle tipologie di immobile da censire nel gruppo E è necessario fare riferimento al D.P.R. n. 1142 del 1949, art. 8, comma 2, secondo cui: “Parimenti non si classificano le unità immobiliari che, per la singolarità delle loro caratteristiche, non siano raggruppabili in classi, quali stagioni per servizi di trasporto terresti e di navigazione interna, marittimi ed aerei, fortificazioni, fari, fabbricati destinati all’esercizio pubblico del culto, costruzioni mortuarie e simili”. In particolare, in relazione alla categoria E/3 si fa riferimento a “Costruzioni e fabbricati per speciali esigenze pubbliche”.

La circolare, in relazione agli immobili ospitanti gli impianti per erogazione di carburante, ricorda come sia il Dipartimento del Territorio del Ministero delle Finanze, sia l’Agenzia del Territorio, con la circolare n. 4 del 2006, hanno già emanato direttive mirate a delimitare ciascuna unità immobiliare “allorché nei compendi immobiliari ospitanti i citati impianti di erogazione siano presenti destinazioni complementari, come autofficine, ristoranti, bar. Nelle citate direttive sono state ritenute corrette le modalità di accatastamento volte all’individuazione, nell’ambito di detti compendi, di ciascuna componente produttiva e delle rispettive porzioni immobiliari dotate di autonomia funzionale e reddituale.”

Questa Corte ha precisato che: “In tema di classamento, ai sensi del D.L. n. 262 del 2006, art. 2, comma 40, convertito, con modificazioni, nella L. n. 286 del 2006, nelle unità immobiliari censite nelle categorie catastali E/1, E/2, E13, E/4, E/ 5, E/6 ed E/9 non possono essere compresi immobili o porzioni di immobili destinati ad uso commerciale, industriale, ad ufficio privato ovvero ad usi diversi, qualora gli stessi presentino autonomia funzionale e reddituale e, cioè, alla luce del combinato disposto del R.D.L. n. 652 del 1939, art. 5, e del D.P.R. n. 1142 del 1949, art. 40, immobili per se stessi utili o atti a produrre un reddito proprio, anche se utilizzati per finalità istituzionali dell’ente titolare” (Cass. n. 20026 del 2015).

La rilevanza che la legge attribuisce al tipo di destinazione d’uso dell’immobile vale anche in ambito di un Centro agroalimentare in relazione al quale non può risultare dirimente il criterio della destinazione a servizio pubblico, dovendosi invece fare applicazione del diverso criterio di funzione o attività, così da escludersi la categoria in questione in presenza di autonomia funzionale e reddituale rinveniente dall’impiego dell’area per scopi imprenditoriali di natura commerciale, industriale, d’ufficio privato e simili.

Quanto alla attività commerciale, va precisato che: “Il provvedimento di attribuzione della rendita catastale di un immobile è un atto tributario che inerisce al bene che ne costituisce l’oggetto, secondo una prospettiva di tipo “reale”, riferita alle caratteristiche oggettive (costruttive e tipologiche in genere), che costituiscono il nucleo sostanziale della c.d. “destinazione ordinaria”, sicché il fine di lucro perseguito dal proprietario merita di essere preso in considerazione, in quanto espressamente previsto come criterio di classificazione per numerose categorie, ma in termini oggettivati, nel senso che se ne ricerchi la sussistenza desumendola dalle caratteristiche strutturali senza arrestarsi all’attività che un determinato momento viene svolta, potendo quest’ultimo costituire un criterio mera mente complementare ma non alternativo o esclusivo ai fini del classamento” (Cass. n. 22166 del 2020; 2021 n. 14555).

In particolare, questa Corte, con riferimento alla questione dei presupposti di attribuzione della categoria catastale E alle aree portuali demaniali, coperte e scoperte, attribuite in regime di concessione ad operatori commerciali specializzati, e da questi ultimi adibite ad attività e servizi a vario titolo riconducibili al trasporto marittimo, ha ritenuto che, ai fini del classamento di un immobile in categoria E, come previsto dal D.L. n. 262 del 2006, art. 2, comma 40, conv. in L. n. 286 del 2006, è necessario che lo stesso presenti caratteristiche tipologiche funzionali tali da renderlo estraneo ad ogni uso commerciale o industriale, concludendo che le aree portuali non sono classificabili in detta categoria se in concreto destinate a tali finalità (Cass. n. 10674 del 2019).

Il medesimo principio è stato espresso anche con riferimento ad una discarica pubblica oggetto di sfruttamento economico per la gestione di rifiuti solidi urbani e la captazione di biogas, la quale: “in quanto connotata da autonomia funzionale e reddituale, costituisce un’unità immobiliare urbana soggetta ad accatastamento e rientra nella categoria D/7 – non in quella residuale E, concernente gli immobili a particolare destinazione pubblica – in quanto svolge attività industriale secondo parametri economico – imprenditoriali, senza che assuma rilevanza l’eventuale destinazione dell’immobile anche ad attività di pubblico interesse” (Cass. n. 12741 del 2018).

Gli enunciati principi, riguardanti gli immobili aventi destinazione speciale, possono certamente trovare applicazione in relazione ad immobili adibiti ad un Centro agroalimentare, per i quali rileva, ai fini dell’applicazione della categoria catastale, se in concreto sia svolta attività industriale secondo parametri economico – imprenditoriali, senza che assuma rilevanza l’eventuale destinazione degli immobili anche ad attività di pubblico interesse.

La Commissione Tributaria Regionale non si è fatta carico di verificare la concreta destinazione degli immobili oggetto di accertamento, come descritti, e soprattutto non ha fatto buon governo dei principi sopra espressi, in quanto ha dedotto l’applicazione della categoria E/3 semplicemente dalla natura di pubblico interesse dell’attività di mercato ortofrutticolo, con ciò escludendo automaticamente il carattere commerciale dell’attività. L’eventuale destinazione degli immobili anche ad attività di pubblico interesse non può ritenersi dirimente nell’assegnazione della categoria E/3, dal momento che è necessario anche verificare se il relativo servizio sia in concreto esercitato secondo modalità economiche e remunerative tipiche dell’impresa commerciale.

Il ricorso va accolto e la decisione va pertanto cassata alla CTR del Lazio per un nuovo esame e per la liquidazione delle spese di questa fase.

PQM

La Corte accoglie il ricorso; cassa la decisione impugnata e rinvia alla CTR del Lazio, in diversa composizione anche per la liquidazione delle spese di legittimità.

Così deciso in Roma, il 20 ottobre 2021.

Depositato in Cancelleria il 18 gennaio 2022

©2024 misterlex.it - [email protected] - Privacy - P.I. 02029690472