LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE T
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GRECO Antonio – Presidente –
Dott. MOCCI Mauro – Consigliere –
Dott. CAPRIOLI Maura – rel. Consigliere –
Dott. LO SARDO Giuseppe – Consigliere –
Dott. DELLI PRISCOLI Lorenzo – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 7602-2020 proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE, (C.F. *****), in persona Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende, ope legis;
– ricorrente –
contro
OPEROSA SCARL, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DIONIGI N. 57, presso lo studio dell’avvocato LUCA PARMEGGIANI, rappresentata e difesa dall’avvocato STEFANO SERMENGHI;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1470/2/2019 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE dell’EMILIA ROMAGNA, depositata il 19/07/2019;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non partecipata del 20/10/2021 dal Consigliere Relatore Dott. MAURA CAPRIOLI.
FATTO E DIRITTO
Considerato che La CTR dell’Emilia Romagna, con sentenza n. 1470/2019 respingeva l’appello proposto dall’Ufficio avverso la decisione della CTP di Bologna che aveva accolto il ricorso proposto dalla società l’Operosa s.c.a.r.l. avverso la cartella di pagamento emessa dall’Agente di riscossione limitatamente alle sanzioni.
Il Giudice di appello rilevava che i primi giudici avevano correttamente ritenuto di disapplicare le sanzioni non solo per l’incertezza interpretativa della norma agevolativa in merito ai requisiti necessari per sospendere i pagamenti ma anche per l’incertezza sui versamenti effettuati.
Osservava al riguardo che si doveva tenere conto infatti delle numerose disposizioni emanate all’epoca e del momento di disagio e di catastrofe locale nonché che il contribuente aveva posto l’accento sulla tutela dell’affidamento e della buona fede.
Sottolineava che la società aveva dimostrato sia nell’incontro del 5.7.2013 con l’Amministrazione finanziaria, sia con la richiesta di autotutela del 5.8.2013 peraltro rimasta priva di riscontro sia a seguito della comunicazione del 27.6.2013 di essersi attivato e di voler pervenire ad una definizione bonaria della vertenza causata da un errore scusabile.
Evidenziava inoltre si poteva dare spazio al principio della buona fede e dell’affidamento invocato dal contribuente quale esimente in considerazione del fatto che l’Ufficio è tenuto a non richiedere due volte il pagamento degli stessi tributi, e che non vi era incertezza assoluta sul “quantum” dei versamenti effettuati dal contribuente.
Avverso tale sentenza l’Ufficio propone ricorso per cassazione affidato ad un unico motivo cui resiste con controricorso la contribuente.
Con un unico motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione del D.M. 9 aprile 2009, art. 1, comma 2, del D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 13, della L. n. 212 del 2000, art. 10, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere ritenuto la CTR non dovute le sanzioni in forza dei principi di buona fede, dell’affidamento, nonché del carattere scusabile dell’errore in cui era incorsa la contribuente e della sua intenzione di pervenire ad una definizione bonaria. Il motivo è fondato.
Giova ricordare che “in tema di legittimo affidamento del contribuente di fronte all’azione dell’Amministrazione finanziaria, ai sensi della L. n. 212 del 2000, art. 10, comma 1, costituisce situazione tutelabile quella caratterizzata: a) da un’apparente legittimità e coerenza dell’attività dell’Amministrazione finanziaria in senso favorevole al contribuente; b) dalla buona fede del contribuente, rilevabile dalla sua condotta, in quanto connotata dall’assenza di qualsiasi violazione del dovere di correttezza gravante sul medesimo; c) dall’eventuale esistenza di circostanze specifiche e rilevanti, idonee ad indicare la sussistenza dei due presupposti che precedono. La relativa tutela – pur tipizzata in talune più ricorrenti ipotesi (quali, ad esempio, la L. n. 212 cit., art. 10, comma 2), non è ancorata a schemi precostituiti ed al modello formale della validità/invalidità dell’atto, ma richiede una valutazione in concreto in relazione alla diversità delle fattispecie e delle situazioni”.
Giova poi rilevare, invero, che l’attenzione della Corte si è soffermata, con frequenza, sulla previsione di cui alla L. n. 212 del 2000, art. 10, comma 2, norma che esclude l’irrogazione delle sanzioni e degli interessi – ferma l’applicazione dell’imposta – qualora il contribuente si sia conformato ad indicazioni dell’Amministrazione finanziaria ovvero il suo comportamento derivi da errori, omissioni od errori dell’Amministrazione stessa.
Il prevalente orientamento, con una valutazione che tende ad accomunare entrambi dell’art. 10 cit., i commi 1 e 2, afferma che “la tutela dell’affidamento incolpevole del contribuente, sancita dalla L. n. 212 del 2000, art. 10, commi 1 e 2, costituisce espressione di un principio generale dell’ordinamento tributario, che trova origine nei principi affermati dagli artt. 3,23,53 e 97 Cost., ed, in materia di tributi armonizzati, in quelli dell’ordinamento dell’Unione Europea, sicché deve ritenersi che la situazione di incertezza interpretativa, ingenerata da risoluzioni dell’Amministrazione finanziaria, anche se non influisce sulla debenza dell’imposta, deve essere valutata ai fini dell’esclusione dell’applicazione delle sanzioni” (Cass. n. 370 del 09/01/2019, con ampi riferimenti alla giurisprudenza Europea in materia di tributi armonizzati; sempre con riferimento all’esclusione delle sole sanzioni, si vedano ancora Cass. n. 10499 del 03/05/2018; Cass. n. 12635 del 08/02/2017; Cass. n. 5934 del 25/03/2015; Cass. n. 16692 del 03/07/2013; Cass. n. 21070 del 13/10/2011; Cass. n. 19479 del 10/09/2009).
Occorre tuttavia sottolineare – come rileva la citata Decisione n. 17576 del 2002, che il principio della tutela del legittimo affidamento non è confinato alla previsione e alle conseguenze delineate dal comma 2, poiché “i casi di tutela espressamente enunciati dal cit. art. 10, comma 2, riguardanti situazioni meramente esemplificative e legate a ipotesi ritenute maggiormente frequenti, non limitano la portata generale della regola, idonea a disciplinare una serie indeterminata di casi concreti” (negli stessi termini espliciti v. anche Cass. n. 21513 del 06/10/2006; Cass. n. 537 del 14/01/2015).
La situazione tutelabile, quindi, è quella caratterizzata “a) da un’apparente legittimità e coerenza dell’attività dell’Amministrazione finanziaria, in senso favorevole al contribuente; b) dalla buona fede del contribuente, rilevabile dalla sua condotta, in quanto connotata dall’assenza di qualsiasi violazione del dovere di correttezza gravante sul medesimo; c) dall’eventuale esistenza di circostanze specifiche e rilevanti, idonee a indicare la sussistenza dei due presupposti che precedono”, condizioni che, in sé, sono suscettibili di ricorrere non solo nelle ipotesi – attinenti all’area della irrogazione delle sanzioni e della richiesta di interessi – previste dall’art. 10, comma 2.
La portata generale del principio affermato dal cit. art. 10, comma 1, comporta, dunque, la necessità di correlarne l’applicazione alle caratteristiche proprie della specifica fattispecie, dovendosi aver riguardo agli obbiettivi cui mirava la corretta attuazione dell’atto, del procedimento o dello svolgersi del rapporto impositivo. In tema di legittimo affidamento del contribuente di fronte all’azione dell’Amministrazione finanziaria, ai sensi della L. n. 212 del 2000, art. 10, commi 1 e 2, dello Statuto del contribuente, costituisce situazione tutelabile quella caratterizzata: a) da un’apparente legittimità e coerenza dell’attività dell’Amministrazione finanziaria, in senso favorevole al contribuente; b) dalla buona fede del contribuente, rilevabile dalla sua condotta, in quanto connotata dall’assenza di qualsiasi violazione del dovere di correttezza gravante sul medesimo; c) dall’eventuale esistenza di circostanze specifiche e rilevanti, idonee a indicare la sussistenza dei due presupposti che precedono (Cass. 14 gennaio 2015, n. 537). Infatti, i casi di tutela espressamente enunciati dalla citata L. n. 212 del 2000, art. 10, comma 2, (attinenti all’area della irrogazione di sanzioni e della richiesta di interessi), riguardanti situazioni meramente esemplificative e legate a ipotesi ritenute maggiormente frequenti, non limitano la portata generale della regola, idonea a disciplinare una serie indeterminata di casi concreti.
Nel caso di specie, tuttavia, non appare conforme alla giurisprudenza richiamata la decisione della Commissione tributaria regionale che ha escluso l’applicazione della sanzione sulla base della proliferazione delle disposizioni emanate all’epoca del terremoto e al momento del disagio collettivo nonché alla condotta del contribuente il quale si era attivato per porre rimedio all’errore scusabile in cui era incorso, attraverso una definizione bonaria della vertenza.
Tali circostanze, di per sé, non sono sufficienti per ritenere sussistente l’affidamento della società in relazione non rinvenendosi nel caso di specie indicazioni erronee e contraddittorie da parte dell’Amministrazione finanziaria. Nella fattispecie in esame, invece, non è invocata alcuna incertezza sulla portata e sull’ambito delle norme, ma viene espressa solo una incertezza della parte e non oggettiva, data la chiarezza della del D.M. 9 aprile 2009, art. 1, comma 2, che non richiedeva una particolare interpretazione essendo sufficiente una mera ricognizione della collocazione geografica della sede. Al riguardo si evidenzia che solo le obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione delle disposizioni esimono dall’irrogazione delle sanzioni. Pertanto, la buona fede del contribuente non si può fondare su un’incertezza che non è obiettiva sulla portata della norma da applicare, ma è essenzialmente ed esclusivamente della parte. L’Amministrazione, in ogni caso, esclude la sussistenza delle condizioni per l’applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 10, non essendovi stato alcun comportamento negligente dell’Amministrazione che abbia ingenerato un errore scusabile sottolineando che l’omesso versamento dell’imposta rappresenta una violazione sostanziale da sanzionare D.Lgs. n. 471 del 1997, ex art. 13. (Cass. 2015 n. 23755).
Non risulta ricorrere pertanto, la “buona fede del contribuente, rilevabile dalla sua condotta, in quanto connotata dall’assenza di qualsiasi violazione del dovere di correttezza gravante sul medesimo”, che è uno dei requisiti necessari ai fini dell’applicabilità di tale disposizione (Cass. n. 23309/2011; n. 537/2015; v. anche Cass. n. 29579/2018; n. 13482/2019).
L’esimente della buona fede rileva infatti solo se l’errore sia inevitabile, occorrendo che l’ignoranza dei presupposti dell’illecito sia incolpevole, cioè non superabile con l’uso della normale diligenza (Cass. n. 27890 del 31/10/2018; n. 5105 del 28/02/2017; n. 16422/2016; n. 537/2015).
Solo per completezza può peraltro rilevarsi come l’applicazione delle predette disposizioni esonerative dalla sanzione in caso di errore scusabile sulla portate e sul campo di applicazione della norma tributaria presuppongono, come già affermato da questa corte, una condizione di dubbio non evitabile sul contenuto, sull’oggetto e sui destinatari della norma stessa, ovverosia l’insicurezza ed equivocità del risultato conseguito attraverso il procedimento d’interpretazione normativa, riferibile non già ad un generico contribuente, o a quei contribuenti che per la loro perizia professionale siano capaci di interpretazione normativa qualificata (studiosi, professionisti legali, operatori giuridici di elevato livello professionale), e tanto meno all’Ufficio finanziario, ma al giudice, unico soggetto dell’ordinamento cui è attribuito il potere-dovere di accertare la ragionevolezza di una determinata interpretazione (cfr. Cass. n. 3245 e n. 4522 del 2013; Cass. n. 18718/2018; n. 4047/2019).
Più precisamente, come si è già avuto modo di accennare, per i giudici della Corte, con la locuzione “incertezza normativa oggettiva” nel panorama del diritto tributario, si suole intendere l’impossibilità di definire con certezza ed in maniera univoca, al termine di un procedimento interpretativo corretto sotto il profilo metodologico, la norma giuridica nel cui ambito il caso di specie è sussumibile. Preme sottolineare che tale profilo deve essere tenuto ben distinto dalla soggettiva ignoranza incolpevole del diritto (il cui accertamento compete esclusivamente al giudice, non potendo essere demandato all’Amministrazione), come si rileva dal D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 6, il quale opera un distinguo tra le due ipotesi, pur ricollegandovi i medesimi effetti.
In conclusione, il ricorso deve essere accolto; non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, sussistono i presupposti per la decisione nel merito ex art. 384 c.p.c., mediante il rigetto del ricorso originario della contribuente relativamente alla non debenza delle sanzioni.
In considerazione conto dell’andamento del processo, sussistono i presupposti per la compensazione delle spese del giudizio di merito.
Per il principio della soccombenza, le spese del presente giudizio vanno poste a carico della contribuente e liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso originario della contribuente relativamente alla non debenza delle sanzioni.
– compensa le spese del giudizio di merito;
– condanna la società alla refusione delle spese di legittimità che si liquidano in complessive Euro 4.100,00 oltre spese prenotate a debito.
Così deciso in Roma, il 20 ottobre 2021.
Depositato in Cancelleria il 18 gennaio 2022