Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.1435 del 18/01/2022

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRECO Antonio – Presidente –

Dott. MOCCI Mauro – Consigliere –

Dott. CAPRIOLI Maura – rel. Consigliere –

Dott. LO SARDO Giuseppe – Consigliere –

Dott. DELLI PRISCOLI Lorenzo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 8305-2020 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, (C.F. *****) in persona Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende, ope legis;

– ricorrente –

contro

Z.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA RUGGERO LEONCAVALLO 2, presso lo studio dell’avvocato MAURIZIO CENCI, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 4632/9/2019 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE del LAZIO, depositata il 25/07/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non partecipata del 20/10/2021 dal Consigliere Relatore Dott. MAURA CAPRIOLI.

FATTO E DIRITTO

Considerato che:

La CTR del Lazio, con la sentenza indicata in epigrafe, accoglieva l’appello proposto da Z.G. contro la sentenza di primo grado che aveva rigettato il ricorso del contribuente avverso la cartella di pagamento che, secondo la CTP, non era stata notificata ritualmente con le forme del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60.

Secondo la CTR l’agente postale aveva omesso di dare conto sulla medesima relata dell’attività di ricerca del destinatario -risultato trasferito in un luogo sconosciuto o dei soggetti abilitati alla ricerca dell’atto, nell’ambito del Comune dove è situato il domicilio fiscale del contribuente, per verificare che il suddetto trasferimento non si sia risolto in un mutamento di indirizzo nell’ambito dello stesso Comune, applicandosi i principi espressi da questa Corte in tema di c.d. irreperibilità relativa del destinatario secondo la disciplina di cui all’art. 140 c.p.c., richiamato dal D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, comma 3, (ora comma 4). L’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi, illustrati da memoria.

Si è costituito con controricorso il contribuente.

Con il primo motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Si critica la decisione nella parte in cui ha ritenuto non correttamente espletata la procedura dell’art. 60, per il mancato svolgimento dell’attività di ricerca.

Si sostiene che, malgrado non fosse stata indicata detta attività sulla relata, la stessa era stata di fatto compiuta dal messo e documentata attraverso la produzione in giudizio del certificato di residenza.

Con il secondo motivo si deduce l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione fra le parti in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Si lamenta che la CTR avrebbe omesso di valutare lo svolgimento dell’attività di verifica della residenza del contribuente attestata dalle interrogazioni anagrafiche nei riguardi del contribuente.

Giova premettere che in tema di ricorso per cassazione, ove sia dedotto il vizio di una relata di notifica, la trascrizione integrale della medesima si rende necessaria soltanto qualora sia strettamente funzionale alla comprensione del motivo, atteso che l’adempimento dei requisiti di contenuto-forma previsti dall’art. 366 c.p.c., non è fine a se stesso, ma è strumentale al dispiegamento della funzione che è propria di detti requisiti – cfr. Cass. n. 1150/2019 -.

Va poi aggiunto, nel merito, che questa Corte, affrontando il tema delle modalità che il messo notificatore o ufficiale giudiziario deve seguire per attivare in modo rituale il meccanismo notificatorio di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, comma 1, lett. e), in caso di irreperibilità assoluta, ha ritenuto che il messo notificatore, prima di procedere alla notifica, deve effettuare nel Comune del domicilio fiscale del contribuente le ricerche volte a verificare la sussistenza dei presupposti per operare la scelta, tra le due citate possibili opzioni, del procedimento notificatorio onde accertare che il mancato rinvenimento del destinatario dell’atto sia dovuto ad irreperibilità relativa ovvero ad irreperibilità assoluta in quanto nel Comune, già sede del domicilio fiscale, il contribuente non ha più né abitazione, né ufficio o azienda e, quindi, mancano dati ed elementi, oggettivamente idonei, per notificare altrimenti l’atto (Cass. n. 6911/2017, Cass. n. 4502/2017 -. Cass. n. 12509/2016 ha perciò ritenuto che il messo deve pervenire all’accertamento del trasferimento del destinatario in luogo sconosciuto dopo aver effettuato ricerche nel Comune dov’e’ situato il domicilio fiscale del contribuente, per verificare che il suddetto trasferimento non si sia risolto in un mero mutamento di indirizzo nell’ambito dello stesso Comune).

Con riferimento proprio alla previa acquisizione di notizie e/o al previo espletamento delle ricerche, va evidenziato che “nessuna norma prescrive quali attività devono esattamente essere a tal fine compiute né con quali espressioni verbali ed in quale contesto documentale deve essere espresso il risultato di tali ricerche, purché emerga chiaramente che le ricerche sono state effettuate, che sono attribuibili al messo notificatore e riferibili alla notifica in esame” – Cass. n. 2884/2017, Cass. n. 2877/2018 -).

Orbene, a tali principi si è ispirato il giudice di appello allorché ha ritenuto che, una volta acclarata l’irreperibilità del contribuente il messo avrebbe comunque dovuto compiere ulteriori ricerche nell’ambito del comune di domicilio fiscale per verificare se il suddetto trasferimento non si fosse risolto in un mutamento di indirizzo nell’ambito dello stesso Comune.

Non vi è alcun elemento dal quale risulta che tale adempimento sia stato eseguito dal messo non essendo a tal fine sufficiente la produzione del certificato di residenza che invero dimostrava che il contribuente risiedeva proprio nel luogo in cui era stata effettuata la notifica in *****.

Tale circostanza giustifica la ritenuta invalidità della notifica della cartella, eseguita senza il rispetto delle forme previste dal ricordato D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, comma 1, lett. e).

Con riguardo al secondo profilo di censura va ricordato che l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, occorre ribadire che, secondo noto e più consolidato indirizzo della giurisprudenza di questa Corte, nel nuovo regime dà luogo a vizio della motivazione sindacabile in cassazione l’omesso esame di un “fatto storico”, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia).

Tale fatto storico deve essere indicato dalla parte – nel rigoroso rispetto delle previsioni di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e all’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, – insieme con il dato, testuale o extratestuale, da cui ne risulti l’esistenza, il come e il quando (nel quadro processuale) tale fatto sia stato oggetto di discussione tra le parti, dovendosi anche evidenziare la decisività del fatto stesso (Cass. Sez. U. 07/04/2014, n. 8053; Cass. 22/09/2014, n. 19881).

Ciò posto con il motivo non si censura l’omesso esame di un fatto storico, determinato e decisivo, già introdotto nel contraddittorio, ma si pretende sostanzialmente di rivisitare il giudizio di merito che il giudice a quo ha espresso in ordine al documento prodotto in giudizio ed alla sua idoneità a rappresentare il fatto dello svolgimento dell’attività di ricerca desumibile dal certificato di residenza.

Il motivo pertanto è inammissibile non essendo inquadrabile nel paradigma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Alla stregua delle considerazioni sopra esposte il ricorso va rigettato.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo secondo i criteri di legge vigenti.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese di legittimità che si liquidano in complessive Euro 2300,00 oltre accessori di legge ed al 15% per spese generali.

Così deciso in Roma, il 20 ottobre 2021.

Depositato in Cancelleria il 18 gennaio 2022

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