Corte di Cassazione, sez. II Civile, Ordinanza n.1445 del 18/01/2022

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 6256/2016 proposto da:

O.G., O.E., O.P., OR.PA., nonché OR.GI., O.F., e O.A., rappresentati e difesi dall’Avvocato MARIO CIANCIO, (che ha poi dichiarato di rinunciare al mandato nei confronti degli ultimi tre) e dall’Avvocato EMANUELE SQUARCIA, per procura a margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

A.A., E L.A., B.P. E B.G., C.C., G.S., M.A. E CA.GE., MA.GI. E GR.DO., N.L., R.C. E CO.BR., S.L., V.G. E AN.FR., rappresentati e difesi dall’Avvocato DOMENICO GERARDI, per procura in calce al controricorso;

– controricorrenti –

nonché

D.A. e L.R.A.;

– intimati –

avverso la sentenza non definitiva n. 2032/2015 della CORTE D’APPELLO DI NAPOLI, depositata il 6/5/2015;

e sul ricorso 7020/2019 proposto da:

O.E., O.P., OR.PA., rappresentati e difesi dall’Avvocato MARIO CIANCIO e dall’Avvocato EMANUELE SQUARCIA per procura in calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

A.A. E L.A., B.P. E B.G., C.C., G.S., M.A. E CA.GE., GR.DO. (in proprio e quale avente causa di MA.GI.), G.G. e G.F., in proprio e quali aventi causa di N.L., deceduta il *****), R.C. E CO.BR., S.L., V.G. E AN.FR., rappresentati e difesi dall’Avvocato DOMENICO GERARDI per procura in calce al controricorso;

– controricorrenti –

nonché

OR.GI., O.F., O.A., D.A.

e L.R.A.;

– intimati –

avverso la sentenza definitiva n. 3986/2018 della CORTE D’APPELLO DI NAPOLI, depositata il 22/8/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non partecipata del 6/10/2021 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE DONGIACOMO.

FATTI DI CAUSA

1.1. A.A., L.A., B.P., B.G., C.C., G.S., M.A., Ca.Ge., Ma.Gi., Gr.Do., N.L., R.C., Co.Br., S.L., V.G. e An.Fr., nella qualità di condomini del complesso immobiliare in *****, con atto di citazione notificato il 12/7/2007, hanno convenuto in giudizio, innanzi al Tribunale di Napoli, O.G., quale proprietario del piano seminterrato.

1.2. Gli attori, dopo aver dedotto che: – il complesso immobiliare era stato costruito dalla Costruzioni ingg. G. e F.O. s.n.c., in forza di concessione amministrativa del 28/8/1968, che conteneva un preciso riferimento al rispetto della condizione che, ai sensi della L. n. 765 del 1967, art. 18, le aree di parcheggio fossero permanentemente destinate a tale uso tant’e’ che il progetto presentato dalla predetta società individuava, nel piano seminterrato del fabbricato, l’area destinata al parcheggio per i condomini; – tale seminterrato, avente un’estensione di 845 mq, all’esito dello scioglimento della società, era stato attribuito al convenuto, che lo aveva ceduto in locazione a terzi; – i conduttori di tale area l’avevano adibita a rimessaggio di autoveicoli di proprietà di terzi estranei al condominio, senza, tuttavia, impedire agli istanti, in quanto proprietari di unità immobiliari nel fabbricato, di esercitare il diritto di parcheggiare le auto di loro proprietà nella predetta area; hanno lamentato che, a partire dal mese di novembre del 2003, il conduttore del terraneo aveva imposto agli stessi, a differenza di quanto accadeva in precedenza, il pagamento di un canone per il parcheggio nella suddetta area.

1.3. Gli attori, quindi, sul presupposto di avere il diritto a che venissero ad essi riservate aree di grandezza proporzionale alle cubature delle singole unità abitative di loro proprietà, da utilizzare per il parcheggio dei propri autoveicoli, hanno chiesto che venisse accertato e dichiarato il loro diritto al parcheggio nel piano seminterrato del fabbricato e che il convenuto fosse, di conseguenza, condannato a rimettere l’area in questione nella disponibilità degli stessi, onde consentire loro l’utilizzazione della predetta area per il parcheggio delle proprie automobili, ed al risarcimento dei danni.

1.4. O.G. si è costituito in giudizio e, dopo aver eccepito la nullità della domanda sul rilievo che gli attori non avevano determinato in alcun modo la porzione dell’area sulla quale vantavano il diritto azionato, ha, tra l’altro, dedotto di aver in ogni caso maturato la proprietà piena ed assoluta del bene in questione, proponendo domanda riconvenzionale affinché fosse accertato che lo stesso aveva acquistato a titolo originario la piena proprietà dell’area in discussione in quanto era maturata a suo favore l’usucapione, sia ordinaria che abbreviata, in ragione del possesso ultraventennale del bene, ininterrotto e pacifico, del quale aveva ceduto a terzi solo la detenzione.

1.5. Chiamati in causa i figli dell’attore, e cioè Or.Gi., O.F., O.A., O.E., O.P. e Or.Pa., quali donatari della nuda proprietà del bene in questione (con atto del 24/5/2006), il tribunale, con sentenza del 2011, ha rigettato sia le domande proposte dagli attori, che la domanda riconvenzionale proposte dai convenuti.

2.1. A.A., L.A., B.P., B.G., C.C., G.S., M.A., Ca.Ge., Ma.Gi., Gr.Do., N.L., R.C., Co.Br., S.L., V.G. e An.Fr., hanno proposto appello avverso la decisione del tribunale chiedendo che, in riforma della sentenza impugnata, fossero accolte le domande degli stessi, compresa quella volta alla condanna della controparte a rimettere l’area in questione nella loro disponibilità ed al risarcimento del danno.

2.2. Gli appellati O.G., Or.Gi., O.F., O.A., O.E., O.P. e Or.Pa., hanno resistito al gravame proponendo, a loro volta, appello incidentale nella parte in cui la sentenza di primo grado non aveva accolto l’eccezione di nullità dell’atto di citazione in ragione della sua indeterminatezza e non aveva accolto la domanda riconvenzionale, da essi proposta, in quanto volta ad ottenere l’accertamento della intervenuta usucapione in loro favore della piena proprietà dell’area in questione.

2.3. Disposta l’integrazione del contraddittorio nei confronti di D.A. e L.R.A., la corte d’appello, con la sentenza non definitiva indicata epigrafe, ha accolto l’appello principale e rigettato l’appello incidentale, accertando, in riforma della decisione impugnata, la sussistenza, in capo agli appellanti principali, del diritto reale d’uso sull’area di cui al piano seminterrato del fabbricato, nei limiti di cui della L. n. 765 del 1967, art. 18, rimettendo la causa sul ruolo “al fine di acquisire”, a mezzo di una consulenza tecnica d’ufficio, “gli elementi tecnici necessari” “per determinare l’oggetto e l’estensione del diritto d’uso”.

2.4. La corte d’appello, in particolare, dopo aver premesso che: – l’effettivo oggetto della domanda proposta dagli attori era la richiesta di riconoscimento in loro favore del diritto reale d’uso senza contestare la sussistenza in capo agli appellati del diritto di proprietà dell’area in questione; – gli attori, pur essendosi limitati a chiedere che fosse accertato il loro diritto di natura reale al parcheggio delle autovetture nel seminterrato, hanno evidentemente perseguito l’intento che il riconoscimento di tale diritto doveva comportare anche la gratuità dell’utilizzo del parcheggio, avendo più volte messo in evidenza l’illegittimità della richiesta di pagamento ad essi formulata; ha osservato che: – della L. n. 1150 del 1942, art. 41 sexies, introdotto dalla L. n. 765 del 1967, art. 18, prescrive, per i fabbricati di nuova costruzione, la destinazione obbligatoria di appositi spazi a parcheggi in misura proporzionale alla cubatura totale dell’edificio; – il vincolo di destinazione richiamato dalla L. n. 765 del 1967, art. 18, non comporta l’obbligo di trasferire la proprietà dell’area destinata a parcheggio insieme alla costruzione (e del resto gli attori non hanno formulato alcuna domanda sul punto); – tale vincolo, tuttavia, che ha carattere pubblicistico, crea in capo all’acquirente dell’appartamento un diritto reale d’uso sull’area in questione; – il proprietario dell’area ha l’obbligo di non eliminare il vincolo esistente; – tale obbligo può essere violato sia con disposizioni che espressamente o comunque in modo univoco dispongano in contrasto con lo stesso, sia con pattuizioni che ne comportino un’elusione di tipo sostanziale, quale, ad esempio, quelle che, dietro l’apparenza di una immutata destinazione dell’area di parcheggio, ne lascino in realtà, la disponibilità a terzi, permettendone in tal modo, in fatto, un uso diverso; ed ha, quindi, ritenuto come, nel caso in esame, fosse evidente che la stipula da parte dell’ O. di un contratto di locazione a terzi dell’area in questione ad uso autorimessa concretizzava una violazione dell’obbligo di non eliminare il vincolo di natura pubblicistica di cui all’art. 41 sexies cit., la cui disposizione è stata del resto recepita nella concessione edilizia relativa al fabbricato in questione, esistente sull’area in questione in favore degli istanti, con la conseguenza che “in tal modo difatti il diritto reale di uso, riconosciuto ex lege a questi ultimi, viene ad essere snaturato e privato del suo contenuto essenziale”.

2.5. La corte, quindi, ritenuta la fondatezza dell’appello principale, in quanto volto ad ottenere la declaratoria della sussistenza in capo agli appellanti del diritto reale d’uso sull’area di parcheggio in questione, nei limiti di cui alla predetta normativa, ha esaminato l’appello incidentale degli appellati con riferimento al rigetto, da parte del tribunale, della domanda riconvenzionale che gli stessi avevano formulato, volta ad ottenere il riconoscimento, in loro favore, dell’acquisto per usucapione del diritto di piena proprietà dell’area in discussione, a fronte del mancato esercizio da parte degli attori del diritto d’uso da essi vantato, protrattosi per vent’anni (o dieci anni, con riferimento alla usucapione abbreviata parimenti invocata): e ne ha ritenuto, invece, l’infondatezza.

2.6. La corte, sul punto, dopo aver rilevato che non è configurabile la possibilità di usucapire la libertà di un immobile dai pesi che gravino sullo stesso, essendo invece possibile solo la prescrizione estintiva per non uso dei diritti reali parziari in re aliena e che la domanda degli appellati poteva essere pertanto esaminata come volta ad ottenere la declaratoria di intervenuta prescrizione del diritto reale d’uso in questione, ha ritenuto: – a) innanzitutto, che, a fronte della sua natura reale, il diritto d’uso dell’area pertinente ad un fabbricato per parcheggio dell’auto si prescrive in venti anni dall’acquisto dell’unità immobiliare; – b) in secondo luogo, che, agli effetti dell’estinzione, dev’essere computato anche il tempo per il quale il diritto reale non è stato esercitato dai precedenti titolari; – c) infine, che la prova del mancato utilizzo incombe, a norma dell’art. 2697 c.c., su colui che intende darne conto al fine di avvantaggiarsene. La corte, tuttavia, ha rilevato che, in realtà, gli stessi convenuti hanno ammesso tale esercizio in quanto, a fronte della richiesta di prova testimoniale formulata dagli attori, volta puntualmente a dimostrare l’utilizzo dell’area in questione da ciascuno degli attori, hanno prestato acquiescenza, come emerge dalla memoria ex art. 183 c.p.c., comma 6, n. 3, depositata il 23/10/2008, su tutte le circostanze.

2.7. La corte, quindi, ha ritenuto che la domanda dei convenuti dovesse essere rigettata.

2.8. Peraltro, ha proseguito la corte, avendo gli attori proposto la domanda volta ad ottenere la rimessione dell’area in questione in loro favore, da un lato, ha escluso che tale domanda fosse indeterminata, facendo essa riferimento alle richiamate disposizioni, le quali prevedono precisi ed espliciti criteri per determinare l’oggetto e l’estensione del diritto d’uso, mentre, dall’altro, ha ritenuto che, per poter decidere compiutamente in ordine a tale domanda, la causa dovesse essere rimessa sul ruolo “al fine di acquisire”, a mezzo di una consulenza tecnica d’ufficio, “gli elementi tecnici necessari” “per determinare l’oggetto e l’estensione del diritto d’uso”.

3.1. O.G., Or.Gi., O.F., O.A., O.E., O.P. e Or.Pa., con ricorso notificato il 2/3/2016, hanno chiesto, per tre motivi, la cassazione della sentenza non definitiva della corte d’appello, dichiaratamente non notificata.

3.2. A.A., L.A., B.P., B.G., C.C., G.S., M.A., Ca.Ge., Ma.Gi., Gr.Do., N.L., R.C., Co.Br., S.L., V.G. e An.Fr., hanno resistito con controricorso notificato il 9/4/2016 nel quale hanno, tra l’altro, eccepito l’inammissibilità del ricorso per cassazione a seguito della riserva di impugnazione proposta con ricorso ex art. 177 c.p.c., depositato all’udienza del 28/5/2015.

3.3. D.A. e L.R.A. sono rimasti intimati.

3.4. L’avv. Mario Ciancio ha depositato nota, recante la data del 12/1/2017, nella quale ha dichiarato di aver rinunciato al mandato nei confronti di Or.Gi., O.F. e O.A..

3.5. O.E., O.P. e Or.Pa. hanno depositato, in data 12/1/2021, una memoria nella quale hanno, tra l’altro, comunicato l’avvenuto decesso di O.G. in data *****.

4.1. La corte d’appello, intanto, dopo aver disposto, con ordinanza del 6/5/2015, una consulenza tecnica d’ufficio che, “descritti compiutamente i luoghi di causa e redatte apposite ricostruzioni degli stessi, grafiche e fotografiche, determini le dimensioni degli spazi da adibirsi a parcheggio spettanti con riferimento a ciascuno degli appartamenti di proprietà degli attori in applicazione di quanto disposto dalla L. n. 765 del 1967, art. 18”, ha, con la sentenza definitiva indicata in epigrafe, accolto l’appello principale ed, in riforma della decisione impugnata, condannato gli appellati a porre l’area indicata dal consulente, pari a mq. 217, nella disponibilità degli istanti, nei rispetto di quanto previsto dalla L. n. 765 cit., art. 18.

4.2. La corte, in particolare, dopo aver dato atto, alla luce della risultanze della consulenza, che il fabbricato in questione era stato costruito in virtù della licenza edilizia n. *****, rilasciata dal Comune di Portici il 28/8/1968, e che, in forza della norma citata ed a fronte di un edificio di volume pari a mc. 15.950, la superficie destinata a parcheggio avrebbe dovuto essere pari quantomeno a 797 mq., ha rilevato, per un verso, che, se si considera la “tabella inserita nel progetto finalizzato alla menzionata licenza”, le aree destinate a parcheggio sarebbero state in realtà pari a 845 mq. e, quindi, superiori a quelle previste dalle legge, e, per altro verso, che, all’esito della verifica da parte del consulente circa lo stato attuale dei luoghi rispetto a quanto riportato in licenza, l’area delle rampe di accesso e manovra dei veicoli (436 mq.) e l’area destinata alla sosta degli stessi (292 mq.) avevano una superficie complessiva di 728 mq., con una riduzione, rispetto all’area originariamente prevista per la sosta, di 117 mq. (845728 mq) in ragione della sua parziale utilizzazione “quale area a servizio dei soprastanti negozi posti al piano terra”.

4.3. La corte, quindi, dopo aver ribadito il principio per cui, in tema di spazi destinati a parcheggio nei fabbricati di nuova costruzione e di cui della L. n. 1150 del 1942, art. 41 sexies, il riconoscimento giudiziale del diritto reale al loro uso da parte dell’acquirente può avere come oggetto soltanto le aree che siano state destinate allo scopo di cui si tratta nei provvedimenti abilitativi all’edificazione, senza possibilità di ubicazioni alternative, ha ritenuto che, in forza di tale principio, rileva unicamente l’area di complessivi mq. 728, “attualmente in uso quale parcheggio e corrispondente a parte delle aree indicate al fine di cui si tratta nella licenza edilizia”, e che, se si considera il volume complessivo degli undici appartamenti di proprietà degli appellanti, pari a mc. 4330, lo spazio parcheggio per ciascuno di essi, “comprensivo dell’area di sosta, di manovra e di accesso”, è stato condivisibilmente calcolato dal consulente, in applicazione della L. n. 765 cit., art. 18, in complessivi mq. 217. Ed infatti, ha osservato la corte, se è vero che il vincolo previsto dall’art. 41 sexies cit., è subordinato alla condizione che l’area destinata a parcheggio esista e non sia stata adibita ad un uso incompatibile con la sua destinazione, è altrettanto vero che, nel caso in esame, sebbene la zona dell’area originariamente destinata a parcheggio sia stata in parte trasformata, “lo spazio complessivamente adibito a parcheggio è ancora più che sufficiente a soddisfare le richieste attoree”, non avendo, per contro, rilievo la posizione degli altri condomini estranei alla lite, rispetto al quale, piuttosto, trova applicazione il principio per cui, in caso di indisponibilità degli spazi in questione, residua soltanto la possibilità di chiedere il risarcimento del danno conseguente alla stessa.

4.4. La corte, pertanto, una volta accertata la sussistenza in capo agli appellanti del diritto reale d’uso sull’area in questione, ha accolto la domanda proposta dagli attori ed ha, per l’effetto, condannato gli appellati a rimettere l’area in questione, pari a 217 mq., nella disponibilità degli istanti, nel rispetto, quindi, di quanto previsto dalla L. n. 765 cit., art. 18.

5.1. O.E., O.P. e Or.Pa., con ricorso notificato in data 25/2/2019, hanno chiesto, per tre motivi, la cassazione della sentenza definitiva.

5.2. Hanno resistito con controricorso A.A. e L.A., B.P. e B.G., C.C., G.S., M.A. E Ca.Ge., Gr.Do. (in proprio e quale avente causa di Ma.Gi.), G.G. e G.F., in proprio e quali aventi causa di N.L., deceduta il *****, R.C. e Co.Br., S.L., V.G. e An.Fr..

5.3. D.A. e L.R.A. sono rimasti intimati, al pari di Or.Gi., O.F. e O.A..

5.4. O.E., O.P. e Or.Pa., con riguardo tanto al ricorso n. 6256/2016, quanto al ricorso n. 7020/2019, hanno depositato memorie, chiedendo, peraltro, con nota del 24/9/2021, la loro trattazione congiunta.

5.5. I controricorrenti rispetto all’uno e all’altro ricorso hanno depositato memoria.

RAGIONI DELLA DECISIONE

6.1. I ricorsi devono essere riuniti.

6.2. Il ricorso avverso la sentenza non definitiva è senz’altro ammissibile.

6.3. I controricorrenti, invero, nel dedurre la violazione dell’art. 361 c.p.c., hanno eccepito che i ricorrenti avrebbero formulato riserva di impugnazione della sentenza non definitiva, rappresentando, al riguardo, che, a seguito della pubblicazione di tale sentenza, gli appellati avevano depositato ricorso ai sensi dell’art. 177 c.p.c., diretto alla revoca o alla modifica dell’ordinanza collegiale depositata il 6/5/2015, nel quale avrebbero esposto “riserva di impugnazione della citata sentenza non definitiva”.

6.4. La riserva di impugnazione, per spiegare il proprio duplice effetto, e cioè di consentire contemporaneamente l’impugnazione della sentenza non definitiva e di quella definitiva e di precludere alla parte, dopo la riserva, di proporre l’impugnazione immediate’, dev’essere formulata in maniera chiara ed univoca, costituendo manifestazione della volontà di rinunciare all’impugnazione immediata (Cass. n. 6194 del 1996). In particolare, l’impugnazione immediata di una sentenza non definitiva è preclusa soltanto dalla dichiarazione della parte soccombente che, sia pure senza l’uso di formule sacramentali, denoti in maniera chiara ed univoca l’intenzione di differirne la proposizione dopo la pronuncia di quella definitiva (Cass. n. 6467 del 1982).

6.5. Nel caso in esame, con il ricorso ai sensi dell’art. 177 c.p.c., presentato per la revoca o la modifica dell’ordinanza in data 6/5/2015, con cui la corte d’appello aveva ammesso la consulenza tecnica d’ufficio, ai fini della determinazione delle dimensioni degli spazi da adibirsi a parcheggio spettanti ai condomini, gli appellati hanno, in realtà, dedotto (a pagina 3, nella parte dedicata alle premesse) che avverso la sentenza non definitiva n. 2032/2015 “e’ in corso di stesura apposito gravame, ritenendo questa difesa essere la stessa affetta da gravi vizi quali, tra gli altri che ci si riserva di far valere nelle competenti sedi, la mancata integrazione del contraddittorio nei confronti di tutti i condomini ed il mancato accoglimento dell’eccezione di prescrizione”; ed hanno, poi, scritto (a pagina 7, prima della formulazione della richiesta conclusiva) che la richiesta di revoca è proposta “con ogni più ampia salvezza per il proponendo gravame avverso la sentenza non definitiva di questa Corte n. 2032/2015)”. Nella dichiarazione operata dagli appellati, contenuta nel contesto della richiesta di revoca dell’ordinanza della corte territoriale coeva alla sentenza non definitiva, che avverso la sentenza non definitiva è in corso di stesura apposito gravame, nel quale la parte si riserva di far valere le pertinenti censure, e nella precisazione, colà sviluppata, che tale richiesta di revoca dell’ordinanza è formulata con ogni salvezza della proponenda impugnazione, non e’, dunque, configurabile una riserva di impugnazione per cassazione differita, agli effetti indicati. Pertanto, quella dichiarazione e quella precisazione non precludono l’impugnazione immediata per cassazione contro la sentenza non definitiva della Corte d’appello di Napoli n. 2032/2015.

7. Con il primo motivo del ricorso n. 6256/2016, i ricorrenti, lamentando la violazione o la falsa applicazione degli artt. 102 e 354 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, e la nullità della sentenza impugnata ai sensi dell’art. 383 c.p.c., comma 3, hanno censurato la sentenza non definitiva nella parte in cui la corte d’appello ha omesso di considerare che gli attori, nella qualità di acquirenti delle singole unità immobiliari site nel fabbricato, avevano espressamente chiesto che fosse accertato e dichiarato il loro diritto di parcheggio nel piano seminterrato ai sensi della L. n. 765 del 1967, art. 18, così riconoscendo che tale diritto, pur trovando la sua fonte in una disposizione di legge, si costituisce con l’atto di acquisto di un appartamento in un fabbricato realizzato in costanza di applicazione della predetta norma, al quale è sinallagmaticamente collegato, e che il venditore, una volta che all’acquirente dell’appartamento venga riconosciuto il diritto reale d’uso dell’area parcheggio, ha, a sua volta, il diritto a vedersi riconosciuto, anche d’ufficio e pur in mancanza di una specifica domanda, un’integrazione del prezzo quando, come nel caso in esame, tale diritto di uso non sia stato previsto dall’atto di trasferimento dell’appartamento. Il provvedimento giudiziario diretto a modificare il rapporto contrattuale, così come regolato con la stipula del contratto di compravendita, non poteva essere, tuttavia, assunto, hanno proseguito i ricorrenti, “senza l’integrazione del contraddittorio nei confronti di tutti i danti causa dei singoli attori”, vertendosi in tema di litisconsorzio necessario in quanto diretto ad incidere sul contenuto, ivi compreso il cd. riequilibrio contrattuale, degli intercorsi contratti. La corte d’appello, pertanto, hanno concluso i ricorrenti, ha omesso di considerare che, a norma dell’art. 354 c.p.c., il giudice d’appello deve rimettere la causa al primo giudice allorché sia accertato che nel giudizio di primo grado doveva essere integrato il contraddittorio.

8. Con il secondo motivo del ricorso n. 6256/2016, i ricorrenti, lamentando la violazione e la falsa applicazione degli artt. 1026,1014 e 2944 c.c., nonché dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, hanno censurato la sentenza non definitiva impugnata nella parte in cui la corte d’appello, rigettando l’appello incidentale proposto dagli stessi, ha omesso di riconoscere l’intervenuta prescrizione del diritto di uso dell’area parcheggio vantata dagli attori sul rilievo che gli appellati, cui spettava il relativo onere, non avevano dimostrato il mancato utilizzo dell’area da parte degli attori, avendo piuttosto riconosciuto, con l’acquiescenza desumibile dalla memoria depositata in data 23/10/2008, l’utilizzo dell’area in questione da parte di ciascuno di essi, senza, tuttavia, considerare che: – innanzitutto, che tale godimento non è avvenuto quale esercizio del diritto reale d’uso vantato dagli attori, essendo stato piuttosto esercitato fino al 2003 per mera tolleranza del gestore dell’autorimessa locatagli, in violazione del predetto diritto di uso, da O.G. quale assegnatario della stessa con atto del 31/12/1985; – in secondo luogo, che il decorso del termine di prescrizione non poteva essere considerato interrotto con la presunta acquiescenza che i convenuti avrebbero formulato con le indicate note ai sensi dell’art. 183 c.p.c., comma 6, n. 3, posto che, come si evince dalla completa e corretta lettura di tale memoria, i convenuti, hanno chiaramente affermato di aver pacificamente ed indisturbatamente posseduto l’immobile per oltre vent’anni, limitandosi a riconoscere che il godimento dell’area da parte degli attori era stato effettuato non già nell’esercizio del diritto d’uso vantato ma a diverso titolo, e cioè in ragione dei rapporti direttamente intercorsi tra gli stessi e il gestore del garage, e senza compiere alcun atto di interversione del possesso.

9. Con il terzo motivo del ricorso n. 6256/2016, i ricorrenti, lamentando la violazione e la falsa applicazione della L. n. 765 del 1967, art. 18 e art. 872 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, hanno censurato la sentenza non definitiva impugnata nella parte in cui la corte d’appello, dopo aver rigettato l’eccezione d’inammissibilità dell’appello per indeterminatezza dello stesso, ha riconosciuto in capo agli appellanti il diritto reale d’uso senza aver accertato che, nella realizzazione del complesso immobiliare, era stato effettivamente rispettato quanto previsto nella concessione edilizia rilasciata il 28/8/1968 ed, in particolare, se l’area destinata a parcheggio fosse realmente quella prevista nella predetta concessione. Solo dopo aver verificato che l’area adibita a parcheggio e concessa in locazione a terzi era quella che per concessione edilizia era da destinare a parcheggio auto dei condomini, la corte d’appello avrebbe potuto riconoscere su tali aree il diritto di parcheggio previsto dall’art. 18 cit.. La corte d’appello, invece, hanno proseguito i ricorrenti, lì dove ha accertato la sussistenza in capo agli appellanti del diritto reale d’uso del piano seminterrato, nei limiti di cui all’art. 18 cit., non ha precisato a quali aree del piano seminterrato intendeva fare riferimento, rinviando così a quelle da adibire a parcheggio in virtù della licenza edilizia, senza, però, tener conto, come accertato dal consulente tecnico d’ufficio, della loro inesistenza o parziale realizzazione, a nulla rilevando l’esistenza di altre aree di parcheggio realizzate in luogo diverso rispetto a quello in cui erano destinate nella concessione edilizia. La corte d’appello, inoltre, hanno aggiunto i ricorrenti, lì dove ha riconosciuto il diritto reale d’uso vantato dagli attori, non ha statuito nulla, come invece avrebbe dovuto fare anche d’ufficio, in merito al diritto conseguentemente spettante agli appellati al relativo compenso, nella misura da concordarsi tra le parti o determinata dal giudice mediante apposita stima, in quanto al riconoscimento dell’acquisto ex lege del diritto reale d’uso corrisponde una notevole limitazione del diritto di proprietà dell’area, venditore o terzo che sia, che non può non trovare un corrispettivo.

10. Con il primo motivo del ricorso n. 7020/2019, i ricorrenti, lamentando la violazione e la falsa applicazione della L. n. 1150 del 1942, art. 41 sexies, come modificato dalla L. n. 765 del 1967, art. 18, nonché dell’art. 872 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, hanno censurato la sentenza definitiva nella parte in cui la corte d’appello, pur avendo accertato che l’area destinata nella licenza edilizia a parcheggio ai sensi della L. n. 765 del 1967, art. 18, era stata solo parzialmente realizzata, ha comunque condannato gli appellati a porre l’area medesima, pari a 217 mq., nella disponibilità gratuita degli istanti, senza, tuttavia, considerare che la superficie destinata a parcheggio, come individuata nella licenza rilasciata al costruttore, non può essere modificata consensualmente dalle parti e che il giudice ordinario non ha il potere di attribuire agli acquirenti delle singole unità immobiliari il diritto di impiegare a parcheggio uno spazio anche solo in parte diverso rispetto a quello a tal fine riservato nel provvedimento abilitativo. Pertanto, hanno aggiunto i ricorrenti, essendo emerso che, relativamente all’area da destinare al soddisfacimento di quanto prescritto dalla L. n. 765 cit., art. 18, quanto previsto in licenza non era stato integralmente rispettato poiché le relative aree sono state solo in parte destinate alle finalità di cui alla citata disposizione, la corte d’appello non poteva accertare e dichiarare la sussistenza del diritto reale d’uso in capo agli appellanti non essendo tale diritto, in realtà, mai sorto. Il riconoscimento giudiziale di tale diritto, infatti, è consentito solo se, in sede di realizzazione del fabbricato, tale spazio, che deve essere preventivamente individuato nel provvedimento abilitativo alla costruzione, sia stato integralmente destinato per l’utilizzo a parcheggio conformemente a quanto assentito. Se, invece, l’effettiva realizzazione di tale spazio sia solo parziale, e cioè riguardi solo in parte le aree a ciò deputate, come individuate nella licenza edilizia, il diritto reale d’uso deve considerarsi come mai sorto in capo all’acquirente dell’immobile facente pare del fabbricato, difettando, in tal caso, il parametro in base al quale, a norma della L. n. 765 cit., art. 18, poter determinare la consistenza dello stesso, e cioè un metro quadrato per ogni venti metri cubi dell’intera costruzione.

11. Con il secondo motivo del ricorso n. 7020/2019, i ricorrenti, lamentando la violazione e la falsa applicazione della L. n. 1150 del 1942, art. 41 sexies, come modificato dalla L. n. 765 del 1967, art. 18, nonché dell’art. 1374 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, hanno censurato la sentenza definitiva nella parte in cui la corte d’appello, dopo aver riconosciuto il diritto d’uso rivendicato dagli attori e condannato gli appellati a porre l’area di mq. 217 nella disponibilità degli stessi, non ha, tuttavia, riconosciuto agli appellati il diritto all’ottenimento del cd. riequilibrio contrattuale. In effetti, hanno osservato i ricorrenti, nelle ipotesi in cui sia giudizialmente riconosciuta la sussistenza del diritto d’uso nascente dalla L. n. 765 cit., art. 18, al venditore spetta, in ragione del maggior valore assunto dall’unità immobiliare e del correlativo depauperamento subito dal bene per effetto del riconoscimento del vincolo legale di destinazione, un’integrazione del prezzo di vendita anche in difetto di un’esplicita domanda da parte dell’avente diritto.

12. Con il terzo motivo del ricorso n. 7020/2019, i ricorrenti, lamentando l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, hanno censurato la sentenza definitiva nella parte in cui la corte d’appello ha del tutto omesso di pronunciarsi, come richiesto nel corso del giudizio, sul riconoscimento del diritto degli appellati al riequilibrio contrattuale per effetto del riconoscimento in capo agli attori del diritto all’uso sulla aree destinate a parcheggio come individuate nella stessa sentenza impugnata.

13.1. Il primo motivo del ricorso n. 6256/2016, al pari del secondo e del terzo del ricorso n. 70920/2019, sono infondati.

13.2. Intanto, va ribadito il principio per cui, in tema di litisconsorzio necessario, la parte che denunci per cassazione la violazione dell’art. 354 c.p.c., in relazione all’art. 102 c.p.c., ha l’onere di indicare, nel ricorso, nominativamente le persone che debbono partecipare al giudizio ai fini dell’integrità del contraddittorio, nonché di documentare i titoli che attribuiscano ai soggetti pretermessi la qualità di litisconsorti, ricadendo sul ricorrente il dubbio in ordine a queste circostanze, tale da non consentire alla Suprema Corte di ravvisare la fondatezza o meno della dedotta violazione (Cass. n. 10168 del 2018; conf., Cass. n. 6822 del 2013). Nel caso di specie, al contrario, i ricorrenti non hanno indicato, in ricorso, né i nominativi dei presunti litisconsorti pretermessi, né i titoli di acquisto che indicherebbero la loro qualità di danti causa dei singoli condomini che hanno agito in giudizio, che, a loro stesso dire, avrebbe fondato la necessità della loro partecipazione al giudizio di merito.

13.3. Manca, dunque, in questa sede la compiuta rappresentazione in ricorso, con il conseguente difetto di specificità della censura formulata sul punto, dei presupposti per poter ravvisare il (denunciato) difetto di integrità del contraddittorio, che può essere, del resto, denunciato in sede di legittimità solo alla condizione che gli elementi che rivelano la necessità del contraddittorio emergano, con ogni evidenza, senza la necessità di svolgimento di ulteriori attività istruttorie, dagli atti già ritualmente acquisiti nel giudizio di merito, (Cass. n. 3024 del 2012), dei quali il ricorrente ha l’onere di riprodurre il contenuto quanto meno nella misura necessaria per consentire alla Corte, senza procedere ad una verifica diretta degli stessi, di valutare già dal ricorso l’ammissibilità o meno della censura.

13.4. D’altra parte, il vincolo di destinazione impresso agli spazi per parcheggio dalla L. n. 1150 del 1942, art. 41 sexies, secondo il testo introdotto dalla L. n. 765 del 1967, art. 18, si traduce (con norma imperativa che non può subire deroghe mediante atti privati di disposizione degli stessi spazi, le cui clausole difformi sono perciò sostituite di diritto dalla relativa previsione) in una limitazione legale della proprietà, che può essere fatta valere, con l’assolutezza tipica dei diritti reali, nei confronti dei terzi che ne contestino l’esistenza e l’efficacia, con la conseguenza che coloro i quali abbiano acquistato le singole unità immobiliari dall’originario costruttore-venditore il quale, eludendo il vincolo, abbia riservato a sé la proprietà di detti spazi, ben possono agire per il riconoscimento del loro diritto reale d’uso direttamente (e soltanto) nei confronti dei terzi ai quali l’originario costruttore abbia alienato le medesime aree destinate a parcheggio (Cass. n. 5755 del 2004; Cass. SU n. 3363 del 1989), senza che, in tale giudizio, s’imponga la presenza del costruttore-venditore in ragione del suo diritto personale a conseguire dagli attori l’integrazione del prezzo di acquisto in conseguenza del richiesto riconoscimento del diritto d’uso sugli spazi vincolati a parcheggio poiché tale diritto al conguaglio deriva dai singoli contratti di acquisto, le cui clausole difformi sono sostituite di diritto dalla norma imperativa (Cass. n. 14731 del 2000).

13.5. In effetti, quand’anche tale obbligo potesse riconoscersi d’ufficio, andrebbe, tuttavia, precisato che tale effetto non potrebbe farsi derivare, al pari di quello della nascita della limitazione legale della proprietà corrispondente al diritto d’uso sulle aree a parcheggio riconosciuto ai proprietari delle singole unità immobiliari dell’edificio, dalla stessa norma imperativa introdotta dall’art. 41 sexies cit., bensì dagli atti di autonomia privata costituiti dai contratti conclusi da ciascuno degli acquirenti delle unità immobiliari con l’originario costruttore-venditore, quale ulteriore effetto che, ai sensi dell’art. 1374 c.c., da essi deriva secondo l’equità, sicché la relativa statuizione, dovendo essere necessariamente essere fondata sul contratto, non potrebbe che essere adottata in presenza ed a favore del soggetto interessato a conseguire l’integrazione del prezzo, vale a dire, appunto, il costruttore-venditore (e non i successive acquirenti dallo stesso dell’area assoggettata a vincolo), senza, peraltro, che tale impossibilità, derivante dalla natura personale del diritto dell’originario costruttore-venditore, impedisca il riconoscimento del diritto d’uso sugli spazi vincolati a parcheggio, in assenza dell’originario costruttore-venditore, nei confronti dei terzi acquirenti delle aree destinate a parcheggio trattandosi di diritto che deriva direttamente dal contenuto imperativo della norma e che, per la sua assolutezza, è esercitabile erga omnes (Cass. n. 14731 del 2000, in motiv.).

13.6. Nel caso in esame, l’azione per il riconoscimento del diritto d’uso sull’area destinata a parcheggio per i condomini è stata promossa non nei confronti della società che aveva costruito il complesso immobiliare e che aveva proceduto alla alienazione delle singole unità immobiliari, ma nei confronti del terzo, e cioè l’ex socio della società, divenuto assegnatario, in esito allo scioglimento della società, del piano seminterrato ove trovasi l’area destinata a parcheggio, il quale, con la locazione dell’area ad altro soggetto, aveva di fatto impedito agli istanti di esercitare il diritto di parcheggiare. E poiché il terzo convenuto nel giudizio per il riconoscimento del diritto d’uso sull’area pertinenziale, avendo acquistato la proprietà del seminterrato dalla società che l’aveva costruito, è estraneo al contratto intercorso tra quest’ultima e gli acquirenti delle unità abitative poste nell’edificio condominiale, non rilevano, nel presente giudizio, né il problema della sostituzione di diritto delle clausole difformi dalla norma imperativa né quello, conseguente, dell’integrazione dell’oggetto della controprestazione per ripristinare l’equilibrio del sinallagma funzionale del contratto. A fronte dell’estraneità del terzo alla relazione sinallagmatica tra prestazioni all’interno della originaria convenzione negoziale, e non facendo parte dell’oggetto della controversia il profilo della integrazione di detta fattispecie negoziale mediante sostituzione ope legis di clausola affetta da nullità, essendo la materia del contendere invece incentrata su un’ipotesi di sopravvenuto impedimento dell’esercizio del diritto d’uso da parte del terzo, non si pone un problema di litisconsorzio necessario e d’integrazione del contraddittorio nei confronti “di tutti i danti causa dei singoli attori”, come, invece, hanno preteso i ricorrenti.

13.7. I convenuti, del resto, nelle indicate qualità (e cioè come proprietari del seminterrato per effetto, dapprima, della sua assegnazione, con atto in data 31/12/1985, al socio O.G. da parte della società costruttrice dell’edificio e venditrice dei relativo appartamenti, e poi della donazione dello stesso, con riserva di usufrutto, in favore dei suoi figli Or.Gi., O.F., O.A., O.E., O.P. e Or.Pa.), non hanno, come inequivocamente ritenuto dalla corte d’appello, alcun diritto al riequilibrio contrattuale che gli stessi, senza, peraltro, aver proposto sul punto alcuna domanda nel corso del giudizio, pretendono. In effetti, com’e’ stato più volte affermato da questa Corte, della L. n. 1150 del 1942, art. 41 sexies, nel testo in vigore ratione temporis (Cass. n. 2236 del 2016, in motiv., per la quale la disposizione di cui della L. n. 246 del 2005, art. 12, comma 9, che ha modificato della L. n. 1150 del 1942, art. 41 sexies, nel senso di prevedere che gli spazi per parcheggio possono essere trasferiti in modo autonomo rispetto alle altre unità immobiliari, trovi applicazione soltanto per il futuro, vale a dire per le sole costruzioni non realizzate o per quelle per le quali, al momento della sua entrata in vigore, non erano ancora state stipulate le vendite delle singole unità immobiliari; Cass. n. 17755 del 2015; Cass. n. 4264 del 2006), introdotto dalla L. n. 765 del 1967, art. 18, dispone che, nelle nuove costruzioni ed anche nelle aree di pertinenza delle costruzioni stesse, devono essere riservati appositi spazi per parcheggi in misura non inferiore ad un metro quadrato per ogni venti metri cubi di costruzione. Si tratta di una norma imperativa ed inderogabile, in correlazione degli interessi pubblicistici da essa perseguiti, che opera non soltanto nel rapporto fra il costruttore o proprietario di edificio e l’autorità competente in materia urbanistica, ma anche nei rapporti privatistici inerenti a detti spazi, nel senso di imporre la loro destinazione ad uso diretto delle persone che stabilmente occupano le costruzioni o ad esse abitualmente accedono (Cass. n. 1196 del 1996; Cass. n. 13857 del 2001). Ciò comporta che, ove il costruttore di un edificio proceda alla vendita separata delle singole unità abitative rispetto alle relative aree accessorie, la violazione o l’elusione del predetto vincolo pubblicistico di destinazione a parcheggio delle aree predette, determina la nullità delle relative clausole contrattuali e la loro sostituzione con la disciplina legale, cui consegue la costituzione del diritto reale di uso a parcheggio a vantaggio delle predette unità abitative (Cass. SU n. 6600 del 1984; Cass. n. 9631 del 1996; Cass. n. 2036 del 1997; Cass. n. 10248 del 1997; Cass. n. 973 del 1999; Cass. n. 8262 del 2002; Cass. n. 6329 del 2003; Cass. n. 10148 del 2004; Cass. n. 15509 del 2011). Tale tutela, peraltro, presuppone la sussistenza della situazione giuridica per la quale è stata predisposta l’avvenuta riserva, all’atto della realizzazione dell’edificio, d’uno spazio, ad esso interno od esterno, idoneo ad essere utilizzato a scopo di parcheggio, e la successiva stipulazione di atti di compravendita delle singole porzioni immobiliari dell’edificio stesso con espressa esclusione o mancata menzione del contestuale trasferimento della proprietà o del diritto reale d’uso sulle pertinenziali porzioni del detto spazio riservato: atti suscettibili d’essere in parte qua dichiarati nulli e sostituiti od integrati ex lege onde porre termine alla scissione determinata tra bene principale ed accessorio in violazione delle disposizioni de quibus (Cass. n. 6329 del 2003, in motiv.). Il contratto traslativo della proprietà di un appartamento in condominio che non preveda anche il contestuale trasferimento del posto-auto va, dunque, integrato ope legis, ai sensi dell’art. 1374 c.c., con il riconoscimento di un diritto reale di uso su quello spazio in favore del condomino ma, al tempo stesso, del diritto dell’alienante ad una integrazione del prezzo, nel caso, come incontestatamente è quello in esame, in cui esso sia stato determinato solo sulla base del valore dell’appartamento, con la conseguente necessità di determinare, in funzione integrativa del prezzo di vendita, la quota parte spettante alla parte venditrice, avendo riguardo al valore di mercato dell’area utilizzabile per il posto auto.

13.8. In tal senso, del resto, si è espressa la giurisprudenza di questa Corte la quale – dopo aver evidenziato che l’integrazione del contenuto del contratto, ai sensi dell’art. 1419 c.c., comma 2, riguarda esclusivamente la clausola che, riservando al venditore la priorità esclusiva dell’area o di parte dell’area destinata a parcheggio, la sottragga alla sua destinazione, e che, per effetto di tale meccanismo, la clausola contrattuale viene automaticamente sostituita di diritto con la norma imperativa che sancisce il proporzionale trasferimento del diritto d’uso a favore dell’acquirente di unità immobiliari comprese nell’edificio – ha rilevato come il diritto dell’alienante al corrispettivo del diritto d’uso sull’area serve ad integrare l’originario prezzo della compravendita e dev’essere determinato in base al prezzo di mercato, presumendosi che, in difetto di pattuizione tra le parti, il prezzo normalmente praticato dall’alienante, cui occorre riferirsi ai sensi dell’art. 1474 c.c., comma 1, corrisponda, appunto, a quello di mercato (Cass. n. 5160 del 2006, in motiv.). La sostituzione automatica della clausola che riservi al venditore la proprietà esclusiva dell’area destinata a parcheggio ai sensi della L. n. 1150 del 1942, art. 41 sexies, come introdotto della L. n. 765 del 1967, art. 18, con la norma imperativa che sancisce il proporzionale trasferimento del diritto d’uso a favore dell’acquirente di unità immobiliari comprese nell’edificio, attribuisce, quindi, al venditore (ma solo a lui), ad integrazione dell’originario prezzo della compravendita, il diritto al corrispettivo del diritto d’uso sull’area medesima, il quale, in difetto di pattuizione tra le parti, va determinato in base al prezzo di mercato, presumendosene la coincidenza con il prezzo normalmente praticato dall’alienante, cui occorre in tal caso riferirsi ex art. 1474 c.c., comma 1 (cfr. Cass. n. 16411 del 2017; Cass. n. 18691 del 2007, per cui, in tema di spazi riservati a parcheggio nelle nuove costruzioni ai sensi della L. n. 765 del 1967, art. 18, qualora operi, per legge, a favore degli acquirenti delle singole unità abitative il diritto d’uso del parcheggio in contrasto con la volontà contrattuale, il diritto all’integrazione del prezzo, che ha la funzione di riequilibrare il sinallagma funzionale del contratto, spetta al venditore originario ma non al terzo eventuale successivo acquirente dell’area, che è estraneo al contratto intercorso fra venditore ed acquirenti; Cass. n. 13143 del 2003). In effetti, qualora operi, per legge, a favore degli acquirenti delle singole unità abitative il diritto d’uso del parcheggio, e questo diritto d’uso sia in contrasto con la volontà contrattuale, il diritto all’integrazione del prezzo, che ha la funzione di riequilibrare il sinallagma funzionale del contratto, spetta al venditore originario ma non al terzo eventuale successivo acquirente dell’area, che, come l’originario convenuto (ed, a fortiori, i suoi aventi causa) è rimasto formalmente estraneo al contratto intercorso fra venditore ed acquirenti (Cass. n. 13143 del 2003; Cass. n. 18691 del 2007).

13.9. D’altra parte, l’integrazione del contenuto del contratto, di cui all’art. 1419 c.c., comma 2, riguarda, come detto, esclusivamente la clausola che, riservando al venditore la proprietà esclusiva dell’area destinata a parcheggio (o di una sua parte), la sottragga alla sua destinazione, che è quella di assicurarne ai condomini l’uso, con la conseguenza che, in ragione di tale meccanismo, la suddetta clausola viene automaticamente sostituita di diritto con la norma imperativa che sancisce il proporzionale trasferimento del diritto d’uso a favore dell’acquirente di unità immobiliari comprese nell’edificio. Il diritto dell’alienante al corrispettivo del diritto d’uso sull’area non sorge, invece, dalla menzionata norma imperativa, costituendo effetto dell’atto di autonomia privata concluso dall’acquirente delle singole unità immobiliari con il costruttore-venditore e serve ad integrare l’originario prezzo della compravendita, ordinariamente riferentesi solo alle singole unità immobiliari menzionate nel contratto: tale diritto, pertanto, non nasce automaticamente richiedendosi, piuttosto, che, secondo il principio dispositivo, costituisca oggetto di apposita domanda (Cass. n. 2265 del 2019; Cass. n. 5160 del 2006) che, però, nel caso in esame, non risulta in alcun modo proposta.

14.1. Il secondo motivo del ricorso n. 6256/2016 è infondato.

14.2. La corte d’appello, invero, ha ritenuto l’infondatezza della domanda riconvenzionale veicolata con l’appello incidentale e vertente sul dedotto mancato esercizio da parte degli attori, protrattosi per oltre venti anni, del diritto d’uso da essi vantato, rilevando, per un verso, che la prova del mancato utilizzo incombe su colui che intende darne conto al fine di avvantaggiarsene e, per altro verso, che i convenuti, sui quali incombeva il relativo onere, hanno, in realtà, ammesso tale esercizio poiché, a fronte della richiesta di prova testimoniale formulata dagli attori, volta a dimostrare l’utilizzo dell’area in questione da ciascuno degli attori, hanno prestato acquiescenza su tutte le circostanze.

14.3. Ora, il diritto attribuito ex lege ai proprietari delle singole unità immobiliari sugli spazi di parcheggio, dei quali il venditore si sia riservato la proprietà, è di natura reale e, non rientrando tra i diritti indisponibili, può estinguersi per non uso soltanto con il decorso di venti anni in base al combinato disposto degli artt. 1014 e 1026 c.c., fermo restando in ogni caso il vincolo di destinazione, che ha carattere pubblicistico e permanente (Cass. n. 23669 del 2016). Il diritto all’uso dell’area pertinente ad un fabbricato per parcheggio dell’auto, in particolare, si prescrive dopo vent’anni dall’acquisto dell’unità immobiliare (Cass. n. 2265 del 2019, in motiv; Cass. n. 1214 del 2012; Cass. n. 16053 del 2002; Cass. n. 14731 del 2000; Cass. n. 12736 del 1997). Peraltro, in tema di prescrizione del diritto reale d’uso, la ripartizione dell’onere della prova dev’essere risolta applicando il generale principio secondo cui, trattandosi di un’eccezione in senso proprio, la prova dei fatti su cui l’eccezione si fonda deve essere data da chi l’ha proposta, con la dimostrazione che il titolare del diritto d’uso non l’ha esercitato per almeno un ventennio (Cass. n. 6647 del 1991; Cass. n. 2789 del 2017; Cass. n. 7562 del 2019).

14.4. Ritiene la Corte che sentenza impugnata non sì è discostata da tali principi: né si pone un problema di violazione o falsa applicazione dell’art. 2944 c.c.. La corte d’appello, invero, esaminando la richiesta di prova testimoniale formulata dagli attori e l’acquiescenza espressa su tutte le circostanze oggetto della richiesta di prova avversaria da parte dei convenuti nella memoria di cui all’art. 183 c.p.c., comma 6, n. 3 (fornendo della stessa un’interpretazione che i ricorrenti non hanno in alcun modo censurato: ed e’, invece, noto, come riaffermato da Cass. n. 16057 del 2016, che, in tema d’interpretazione degli atti processuali, la parte che censuri il significato attribuito dal giudice di merito ha l’onere, nella specie rimasto inadempiuto, di dedurre la specifica violazione dei criteri di ermeneutica contrattuale di cui agli artt. 1362 c.c. e segg., la cui portata è generale, o il vizio di motivazione sulla loro applicazione, indicando altresì nel ricorso, a pena d’inammissibilità, il testo dell’atto oggetto di erronea interpretazione e le considerazioni del giudice in contrasto con i criteri ermeneutici invocati), depositata in data 23/10/2008, ha dato correttamente rilievo assorbente alla circostanza che i convenuti, così facendo, avevano ammesso l’esercizio del diritto reale d’uso da parte degli attori evidenziando, appunto, che, a fronte della richiesta di prova testimoniale formulata da questi ultimi, volta puntualmente a dimostrare l’utilizzo dei posti macchina nel seminterrato da parte di ciascuno di essi, gli appellati avevano prestato acquiescenza su tutte le circostanze oggetto dei capitoli di prova.

14.5. I ricorrenti, dal canto loro, non condividendo, evidentemente, la conclusione cui la sentenza impugnata è pervenuta, hanno, in sostanza, chiesto a questa Corte di ritenere che, al contrario, l’acquiescenza ai capitoli di prova dedotti dagli attori – volte a dimostrare (come si evince dal testo degli stessi così come riprodotto in ricorso, p. 15, e nel controricorso, p. 20 e 21) che i proprietari delle unità immobiliari avevano sempre parcheggiato la propria autovettura nel seminterrato del fabbricato e che, quando gli attori ricevevano un ospite, lasciavano a questo la possibilità di parcheggiare portando via la loro autovettura senza corrispondere nulla al conduttore dell’ O. esercente l’attività di garagista – non potrebbe formare alcun riconoscimento di un possesso degli attori conforme al diritto da essi vantato perché, in realtà, il godimento dell’area sarebbe stato da loro esercitato (fino al 2003) per mera tolleranza del gestore dell’autorimessa: senza tener, tuttavia, conto del fatto che l’indagine diretta a stabilire se, nell’acquiescenza alle circostanze oggetto della altrui richiesta di prova testimoniai, possa trarsi la prova del riconoscimento dell’esercizio del diritto reale d’uso dell’area di parcheggio da parte degli attori, rientra nei poteri del giudice di merito, il cui accertamento non è sindacabile in sede di legittimità quando è sorretto, come nella specie, da una motivazione non apparente né illogica e non sia censurato per omesso esame di fatti decisivi. D’altra parte, applicando un principio affermato in materia d’interpretazione degli atti negoziali ma senz’altro estensibile anche all’interpretazione degli atti processuali, deve ritenersi che, per sottrarsi al sindacato di legittimità, l’interpretazione data dal giudice di merito non deve essere l’unica interpretazione possibile o la migliore in astratto ma solo una delle possibili, e plausibili, interpretazioni, sicché, quando di una clausola contrattuale o del testo di un atto processuale, sono possibili due o più interpretazioni, non è consentito, alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito, dolersi in sede di legittimità del fatto che fosse stata privilegiata l’altra (cfr. Cass. 27136 del 2017; Cass. n. 6125 del 2014).

14.6. I ricorrenti, per il resto, lì dove hanno contestato di aver prestato acquiescenza ai fatti dedotti dagli attori quali capitoli di prova, ad onta di quanto ritenuto sul punto dalla corte d’appello, hanno finito, in sostanza, per lamentare la valutazione, asseritamente erronea, che la corte d’appello ha fatto delle prove raccolte in giudizio, a partire, appunto, dalla (loro) mancata contestazione in ordine all’affermato possesso, fino al novembre del 2003, dei posti auto da parte degli attori, incorrendo, così, nell’equivoco di ritenere che la violazione o la falsa applicazione di norme di legge processuale dipendano o siano ad ogni modo dimostrate dall’erronea valutazione del materiale istruttorio. La valutazione delle prove raccolte, invece, anche se si tratta della prova conseguente alla mancata contestazione da parte del convenuto (costituito) dei fatti costitutivi (compresi i fatti-diritto) allegati dall’attore (Cass. SU n. 2951 del 2016), costituisce un’attività riservata in via esclusiva all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito, le cui conclusioni in ordine alla ricostruzione della vicenda fattuale non sono sindacabili in cassazione se non per il vizio (nel caso in esame neppure invocato come tale) consistito, come stabilito dall’art. 360 c.p.c., n. 5, nell’avere del tutto omesso, in sede di accertamento della fattispecie concreta, l’esame di uno o più fatti storici, principali o secondari, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbiano costituito oggetto di discussione tra le parti e abbiano carattere decisivo, vale a dire che, se esaminati, avrebbero determinato un esito diverso della controversia. In effetti, il compito di questa Corte non è quello di condividere o non condividere la ricostruzione dei fatti contenuta nella decisione impugnata né quello di procedere ad una rilettura degli elementi di fatto posti fondamento della decisione, al fine di sovrapporre la propria valutazione delle prove a quella compiuta dal giudici di merito (Cass. n. 3267 del 2008).

15.1. Il terzo motivo del ricorso n. 6256/2016 ed il primo motivo del ricorso n. 7020/2019 sono del pari infondati.

15.2. La corte d’appello, in effetti, con la sentenza non definitiva, ha evidenziato: a) che la normativa urbanistica dettata dalla L. n. 1150 del 1942, art. 41 sexies, nel testo applicabile ratione temporis, prescriveva la destinazione obbligatoria di appositi spazi a parcheggi, e ciò in misura proporzionale alla cubatura totale dell’edificio; b) che tale disposizione è stata recepita nella concessione edilizia relativa al fabbricato di cui si tratta; c) che la stipula da parte dell’ O. di un contratto di locazione a terzi dell’area di cui trattasi ad uso autorimessa, concretizza un’ipotesi di violazione dell’obbligo di non eliminare il vincolo di natura pubblicistica di cui al richiamato art. 41 sexies, esistente sull’area in questione a favore degli istanti. La stessa corte, poi, con la sentenza definitiva, ha accertato come l’area di complessivi mq. 728, “attualmente in uso quale parcheggio” corrisponde so/o “a parte delle aree indicate al fine di cui si tratta nella licenza edilizia”, ritenendo, tuttavia, che, se si considera il volume complessivo degli undici appartamenti di proprietà degli appellanti, pari a mc. 4330, lo spazio parcheggio per ciascuno di essi, “comprensivo dell’area di sosta, di manovra e di accesso”, è stato condivisibilmente calcolato dal consulente tecnico d’ufficio, in applicazione della L. n. 765 cit., art. 18, in complessivi mq. 217. Ed infatti, ha osservato la corte, se è vero che il vincolo previsto dall’art. 41 sexies cit., è subordinato alla condizione che l’area destinata a parcheggio esista e non sia stata adibita ad un uso incompatibile con la sua destinazione, è altrettanto vero che, nel caso in esame, sebbene la zona dell’area originariamente destinata a parcheggio sia stata in parte trasformata, “lo spazio complessivamente adibito a parcheggio è ancora più che sufficiente a soddisfare le richieste attoree”, non avendo, per contro, rilievo la posizione degli altri condomini estranei alla lite, rispetto al quale, piuttosto, trova applicazione il principio per cui, in caso di indisponibilità degli spazi in questione, residua soltanto la possibilità di chiedere il risarcimento del danno conseguente alla stessa. Risulta, pertanto, evidente che la corte territoriale ha accertato, in fatto, non solo che la destinazione obbligatoria di appositi spazi parcheggi in base alla prescrizione di legge era stata recepita dalla licenza edilizia, che l’ha individuata nel piano seminterrato del fabbricato, ma anche che tale area è stata, sia pure solo in parte, a tale scopo effettivamente destinata.

15.3. Ora, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, in tema di spazi destinati a parcheggio nei fabbricati di nuova costruzione e di cui della L. n. 1150 del 1942, art. 41 sexies, l’effettiva esistenza di tali spazi è condizione per il riconoscimento giudiziale del diritto reale al loro uso da parte degli acquirenti delle singole unità immobiliari del fabbricato, ai quali altrimenti compete soltanto la possibilità di chiedere il risarcimento del danno conseguente all’indisponibilità degli spazi stessi. Tale riconoscimento, peraltro, può avere come oggetto soltanto le aree che siano state destinate allo scopo di cui si tratta nei provvedimenti abilitativi all’edificazione, senza possibilità di ubicazioni alternative (Cass. n. 3393 del 2009, la quale, in applicazione del principio esposto, ha cassato la sentenza della corte di merito che aveva dichiarato che la destinazione a parcheggio incideva sul cortile di proprietà dei costruttori, prescindendo dall’accertamento relativo alla reale destinazione a parcheggio del cortile in questione, da parte sia dei costruttori dello stabile sia della P.A., in sede di rilascio della concessione edilizia, eventualmente in sanatoria). In effetti, in tema di spazi riservati a parcheggio nei fabbricati di nuova costruzione, il vincolo previsto al riguardo della L. n. 1150 del 1942, art. 41 sexies, introdotto dalla L. n. 765 del 1967, art. 18, è subordinato alla condizione che l’area scoperta esista e non sia stata adibita ad un uso incompatibile con la sua destinazione, con la conseguenza che, al contrario, ove lo spazio, pur previsto nel progetto autorizzato, non sia stato riservato a parcheggio in corso di costruzione e sia stato, invece, utilizzato per realizzarvi manufatti od opere di altra natura, non può farsi ricorso alla tutela ripristinatoria di un rapporto giuridico mai sorto ma, eventualmente a quella risarcitoria, atteso che il contratto di trasferimento delle unità immobiliari non ha avuto ad oggetto alcuna porzione dello stesso ed il riconoscimento giudiziale del diritto reale d’uso degli spazi destinati a parcheggi può avere ad oggetto soltanto le aree che siano destinate allo scopo di cui si tratta nei provvedimenti abilitativi all’edificazione (Cass. n. 13210 del 2017).

15.4. Peraltro, in tema di disciplina legale delle aree destinate a parcheggio, affinché la tutela ripristinatoria sia esclusa dalla mancata insorgenza del vincolo pertinenziale, è necessario che l’area riservata in progetto sia stata sin dall’origine edificata in modo incompatibile con la programmata destinazione a parcheggio, non essendo sufficiente che il costruttore abbia negato contrattualmente tale destinazione o abbia edificato l’area in modo compatibile col vincolo. In effetti, ove lo spazio da adibire a parcheggio, pur previsto nel progetto autorizzato, non sia stato riservato a tal fine in corso di costruzione e sia stato impiegato per realizzarvi manufatti od opere di altra natura (diversamente dall’ipotesi in cui allo spazio realizzato conformemente al progetto sia stata data una diversa destinazione in sede di vendita) se possono ravvisarsi a carico del costruttore responsabilità di natura amministrativa ed eventualmente penale, non possono, per contro, individuarsi responsabilità d’ordine privatistico né oneri di ripristino dello status quo ante. Infatti, in tal caso (che non è quello in cui il costruttore abbia negato contrattualmente la destinazione a parcheggio, ma quello in cui siffatta deviazione dall’uso assentito amministrativamente sia stata materiale, come nel caso in cui la costruzione dei seminterrati sia stata omessa o effettuata in modo da essere radicalmente incompatibile con l’uso destinato amministrativamente per l’avvenuta costruzione in sua vece di un appartamento abitabile o di altri locali aventi conformazione strutturale tale da non poter essere assoggettati al vincolo), il bene soggetto ex lege al vincolo pertinenziale (il parcheggio) non è mai venuto ad esistenza e il contratto di trasferimento delle unità immobiliari non ha avuto ad oggetto alcun porzione di esso né può farsi ricorso alla tutela ripristinatoria di un rapporto giuridico mai venuto ad esistenza ma semmai solo ad una tutela risarcitoria, in ragione dell’ampio campo applicativo proprio degli artt. 871 e 872 c.c., in favore degli acquirenti delle singole unità immobiliari (Cass. n. 17813 del 2014). Naturalmente, per poter verificare siffatta situazione, è indispensabile che sia compiuta una puntuale verifica della condizione materiale del bene, cioè dell’esecuzione delle opere riguardanti esattamente la parte riservata in progetto a parcheggio, onde verificare se si tratti di area sin dall’origine edificata in modo incompatibile con la destinazione programmata, con la realizzazione di un manufatto di altra natura.

15.5. Nel caso in esame, la corte d’appello ha fatto concreta e corretta applicazione di tali principi avendo accertato, a mezzo di una consulenza tecnica d’ufficio (che “descritti compiutamente i luoghi di causa e redatte apposite ricostruzioni degli stessi, grafiche e fotografiche”, ha incontestatamente determinato “le dimensioni degli spazi da adibirsi a parcheggio spettanti con riferimento a ciascuno degli appartamenti di proprietà degli attori in applicazione di quanto disposto dalla L. n. 765 del 1967, art. 18”), la reale destinazione a parcheggio del seminterrato in questione tanto in sede di rilascio della licenza edilizia, quanto in sede di effettiva realizzazione dell’edificio.

15.6. Ne’, del resto, può rilevare il fatto che l’area prevista nella concessione edilizia da adibire a parcheggio sia stata, in fatto, solo in parte destinata a tale scopo. Questa Corte, invero, ha già avuto modo di affermare (cfr. Cass. n. 1214 del 2012) che, in tema di aree destinate a parcheggio, la norma della L. n. 1150 del 1942, art. 41 sexies, introdotta dalla L. n. 765 del 1967, art. 18, si limita a prescrivere, per i fabbricati di nuova costruzione, la destinazione obbligatoria di appositi spazi a parcheggi in misura proporzionale alla cubatura totale dell’edificio, determinando, mediante tale vincolo di carattere pubblicistico, un diritto reale d’uso sugli spazi predetti a favore di tutti i condomini dell’edificio, e che, però, ove l’azione per il riconoscimento del diritto reale d’uso sia stata proposta da uno solo (o, può aggiungersi, da alcuni) dei condomini (ma non da tutti i titolari del diritto d’uso), il giudice di merito può individuare un preciso spazio fisico per la sosta dei veicoli di proprietà del condomino o dei condomini istanti, senza che di tale decisione possa dolersi il costruttore del complesso immobiliare (o, come nel caso in esame, chi abbia acquistato dallo stesso) giacché la sua situazione giuridica ne esce avvantaggiata: questi, invero, anziché soggiacere all’utilizzo di qualunque parte dell’area vincolata, subisce l’occupazione del più limitato spazio a tal fine determinato in sentenza, rimanendo, per contro, la restante area, ancorché in astratto vincolata ai diritti d’uso degli altri condomini (che non sono litisconsorti necessari, venendo in rilievo solo i diritti di chi ha agito in giudizio: Cass. n. 22889 del 2007; Cass. n. 10999 del 2001), nella sua libera disponibilità.

15.7. Questa Corte, del resto, ha anche affermato che gli spazi destinati a parcheggio, previsti per le nuove costruzioni dalla L. n. 765 del 1967, art. 18, sono, in forza di un vincolo di destinazione di natura pubblicistica, riservati all’uso diretto delle persone che stabilmente occupano le singole unità immobiliari e costituiscono parti comuni dell’edificio ai sensi dell’art. 1117 c.c., quando appartengono in comunione ai singoli condomini ovvero oggetto di un diritto reale d’uso spettante a ciascun condomino, quando proprietari siano terzi o alcuni soltanto dei condomini e che, ove l’originario proprietario-costruttore abbia ceduto a ciascun acquirente la comproprietà in comune con gli altri delle aree destinate a parcheggio, il successivo acquisto di un’unità immobiliare e della quota di comproprietà delle parti comuni, attribuisce all’acquirente la qualità di condomino su tutte le stesse e quindi anche il paritetico diritto d’usufruire dell’area di parcheggio, a nulla rilevando – ed è questo il punto – l’eventuale insufficienza di questa rispetto alle complessive esigenze del condominio, la quale può dar luogo a un diritto al risarcimento del danno nei confronti del costruttore ed è regolata dalle norme sull’uso della cosa comune nei rapporti tra condomini (Cass. n. 982 del 2000).

15.8. Nello stesso modo, il fatto che l’area indicata quale parcheggio nella licenza edilizia sia stata solo in parte a tal fine destinata in sede di effettiva realizzazione dell’edificio, non impedisce ai condomini di agire in giudizio per ottenere la tutela ripristinatoria del vincolo di destinazione sull’area vincolata tutte le volte in cui sia accertato, in fatto, che la stessa, nella sua estensione effettiva, garantisca a ciascuno dei condomini che hanno agito l’uso dell’area realizzata nella misura prevista dalla legge (com’e’ accaduto nel caso in esame, in cui la corte d’appello ha accertato che, sebbene la zona dell’area originariamente destinata a parcheggio era stata in parte trasformata, in ragione della sua parziale utilizzazione “quale area a servizio dei soprastanti negozi posti al piano terra”, “lo spazio complessivamente adibito a parcheggio è ancora più che sufficiente a soddisfare le richieste attoree”), rimanendo le aree eccedenti nella libera disponibilità del costruttore-venditore (o di chi le abbia successivamente acquistate) ovvero assoggettate alle pretese reali dei residui condomini, nei limiti della capienza, salvo, in difetto, il diritto al risarcimento dei danni nei confronti del costruttore-venditore inadempiente.

16. I ricorsi devono essere, quindi, rigettati.

17. Le spese di lite seguono la soccombenza ed, in ragione dei distinti giudizi svolti fino alla riunione dei ricorsi, sono partitamente liquidate in dispositivo.

18. La Corte dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, della sussistenza, tanto con riguardo al ricorso avverso la sentenza non definitiva, quanto con riferimento al ricorso proposto nei confronti della sentenza definitiva, dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei rispettivi ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

PQM

La Corte, riuniti i ricorsi indicati in epigrafe, così provvede: rigetta i ricorsi; condanna i ricorrenti a rimborsare ai controricorrenti le spese di lite, che liquida in Euro 5.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, per ciò che riguarda il ricorso avverso la sentenza non definitiva, ed in Euro 5.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, per ciò che riguarda il ricorso avverso la sentenza definitiva, oltre accessori di legge e spese generali nella misura del 15%; dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, della sussistenza, tanto con riguardo al ricorso avverso la sentenza non definitiva, quanto con riferimento al ricorso proposto nei confronti della sentenza definitiva, dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei rispettivi ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 6 ottobre 2021.

Depositato in Cancelleria il 18 gennaio 2022

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