LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –
Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – Consigliere –
Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –
Dott. D’AQUINO Filippo – Consigliere –
Dott. FRACANZANI Marcello M. – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 13458/2013 R.G. proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, via dei Portoghesi 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che la rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
S.F., con l’avv. Alessandra Stasi, nel domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Adelmo Manna, in Roma, alla via Flaminia, n. 322;
– controricorrente –
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale per la SCI Puglia, sez. staccata di Foggia, n. 227/26/2012, depositata il 27 novembre 2012.
Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 26 ottobre 2021 dal Cons. Marcello Fracanzani;
letta la requisitoria scritta del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. Roberto Mucci, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso, per quanto di ragione, salva la verifica dei fascicoli dei gradi di merito;
nessuno comparso per le parti, non essendosi presentata istanza di discussione.
FATTI DI CAUSA
A seguito di verifica fiscale svolta sui conti correnti intestati al contribuente e a sua moglie, l’Ufficio adottava due avvisi di accertamento per gli anni d’imposta 2005 e 2006 ai fini Irpef, Iva e Irap emessi ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, commi 1, 2 e 7 e del D.P.R. n. 633 del 1973, art. 51, comma 2.
Il contribuente instaurava la procedura di accertamento con adesione al cui esito l’Amministrazione finanziaria riteneva giustificati tutti i prelevamenti e una parte dei versamenti, questi ultimi in relazione ad una donazione ricevuta dalla madre per effetto di un testamento olografo. Conseguentemente, per l’anno 2005 l’Ufficio emetteva un provvedimento di autotutela, ritenendo accertate entrate per la somma di Euro 201.357,00 a titolo di redditi da lavoro autonomo.
Parimenti, per l’anno 2006 l’Amministrazione finanziaria, ritenendo fondate una parte delle eccezioni svolte dal contribuente, rideterminava in autotutela parziale i redditi nella minor misura di Euro 455.767,00.
Insorgeva con ricorso il contribuente che, impugnando entrambi gli avvisi, ometteva di dare atto delle parziali autotutele disposte dall’Ufficio, svolgendo pertanto censure di merito sull’intera (e originaria) ripresa a tassazione.
L’Ufficio, costituitosi, eccepiva la cessazione parziale della materia del contendere e contestava nel merito le censure avversarie.
Replicava il contribuente nelle memorie illustrative eccependo, tra l’altro, l’intervenuta decadenza dell’Ufficio dal potere di accertamento in relazione all’anno d’imposta 2005, essendo l’atto impositivo pervenutogli solo in data 11.01.2011.
La commissione tributaria provinciale accoglieva i ricorsi, previa loro riunione, ritenendo che il contribuente avesse fornito ampia prova dei versamenti, tutti ricondotti a lasciti della madre e al ritrovamento di una cassaforte occultata, ivi disponendo la compensazione delle spese.
Il contribuente proponeva ricorso in appello avverso detto ultimo capo della sentenza, cui resisteva l’Ufficio che promuoveva appello incidentale per la riforma nel merito della decisione.
La Commissione tributaria regionale accoglieva l’appello principale rigettando quello incidentale promosso dall’Ufficio sul presupposto dell’intervenuta decadenza dal potere di accertamento in relazione all’anno 2005. Pur richiamando il principio della scissione dei termini di notifica per il notificante ed il notificato, la CTR negava la sua applicabilità giacché l’avviso di accertamento era stato trasmesso, in data 17.12.2010, dall’Ufficio unicamente al Sindaco e non anche al messo comunale, che lo aveva notificato solo in data 11.01.2011, con conseguente responsabilità dell’ente locale nei confronti dell’Amministrazione finanziaria.
Rigettava poi l’appello incidentale dell’Amministrazione in relazione al merito. Con riguardo all’anno d’imposta 2006, in particolare, riteneva che il contribuente avesse assolto all’onere probatorio di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, eccezion fatta che per la modica cifra di Euro 200,00.
Insorge con ricorso avanti a questa Corte l’Avvocatura generale dello Stato che svolge due motivi, cui replica il contribuente con controricorso.
Le parti hanno depositato memorie in vista dell’udienza pubblica del 20.11.2019, all’esito della quale questo Collegio rinviava a nuovo ruolo ai fini dell’acquisizione dei fascicoli dei gradi di merito e in relazione all’eccezione di inammissibilità svolta dalla difesa del contribuente.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Vengono proposti due motivi di ricorso.
In via preliminare occorre scrutinare l’eccezione di inammissibilità svolta dalla difesa del contribuente. Afferma che il procuratore di parte privata che l’appellante principale, dopo aver promosso il giudizio di appello, aveva omesso di depositare il relativo ricorso anche avanti la Commissione tributaria provinciale, così eludendo il dettato del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53, comma 2. Siffatta omissione, rimasta inottemperata anche da parte dell’Amministrazione appellata, appellante incidentale, avrebbe determinato l’inammissibilità dell’appello principale che si riverberava a sua volta sull’appello incidentale dell’Erario. Donde la nullità della sentenza di secondo grado e l’inammissibilità del ricorso per cassazione promosso dall’Avvocatura dello Stato.
L’eccezione è fondata.
In un’analoga vertenza ma a presupposti invertiti, in cui cioè il contribuente censurava la decisione della CTR per avere dichiarato l’appello inammissibile, questa Corte stabiliva che “La censura è manifestamente infondata alla luce dei principi consolidatisi nella giurisprudenza di questa Corte (v. Cass. n. 5347 del 2015, n. 22639 del 2014; n. 12861 del 2014; n. 15432 del 2015; n. 3442 del 2016; n. ri 1635 e 2276 del 2017; n. 24289 del 2018) la quale ha ribadito che “in tema di contenzioso tributario, qualora il ricorso in appello non sia notificato a mezzo di ufficiale giudiziario, il deposito in copia presso la segreteria della commissione che ha emesso la sentenza impugnata, in quanto prescritto dal D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 53, comma 2, seconda parte, a pena d’inammissibilità dell’appello, deve aver luogo entro il termine perentorio di trenta giorni, indicato dalla prima parte della medesima disposizione, attraverso il richiamo all’art. 22, comma 1, per il deposito del ricorso presso la segreteria della commissione “ad quem”, trattandosi di attività finalizzata al perfezionamento del gravame e che tale inammissibilità è rilevabile d’ufficio”. Si e’, in particolare, avuto modo di chiarire che la ratio della disposizione non è “oscura”, ma è stata identificata dalla Corte costituzionale e da questa Corte nella finalità di rendere nota alla C.T.P. l’impugnazione della sentenza ed impedire, così il rilascio della copia esecutiva di una sentenza di primo grado impugnata. In particolare, come rilevato dalla Corte costituzionale con le pronunce n. 321 del 2009, n. 43 del 2010, n. 141 del 2011: a) la disposizione ha l’apprezzabile scopo di informare tempestivamente la segreteria del giudice di primo grado dell’appello notificato senza il tramite dell’ufficiale giudiziario e, quindi, di impedire l’erronea attestazione del passaggio in giudicato della sentenza della Commissione tributaria provinciale (sentenza n. 321 del 2009); b) tale finalità non è soddisfatta dall’obbligo, posto a carico della segreteria del giudice di appello dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53, comma 3, di richiedere alla segreteria presso il giudice di primo grado la trasmissione del fascicolo processuale con la copia autentica della sentenza impugnata “subito dopo il deposito del ricorso in appello”, perché la suddetta richiesta viene avanzata dalla segreteria del giudice di appello solo “dopo” la costituzione in giudizio dell’appellante e, pertanto, non consente alla segreteria del giudice di primo grado di avere tempestiva notizia della proposizione dell’appello, considerando anche il tempo necessario a che essa pervenga alla segreteria della Commissione tributaria provinciale e, di conseguenza, tale richiesta non è idonea ad evitare il rischio di una erronea attestazione del passaggio in giudicato della sentenza di primo grado, limitandosi essa a consentire al giudice di secondo grado di ottenere la disponibilità del fascicolo in tempo utile per la trattazione della causa in appello; c) l’applicabilità della disposizione censurata ai soli casi in cui l’appello non venga notificato per il tramite dell’ufficiale giudiziario trova adeguata giustificazione nel fatto che, nei casi in cui la notificazione sia, invece, effettuata mediante ufficiale giudiziario, la tempestiva notizia della proposizione dell’appello è fornita alla segreteria del giudice di primo grado dallo stesso ufficiale giudiziario, ai sensi dell’art. 123 disp. att. c.p.c. (applicabile al processo tributario in virtù del generale richiamo alle norme del codice di procedura civile, effettuato dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 1, comma 2), secondo cui “l’ufficiale giudiziario che ha notificato un atto d’impugnazione deve darne immediatamente avviso scritto al cancelliere del giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata”; d) il rischio del rilascio di erronee attestazioni di passaggio in giudicato delle sentenze delle Commissioni tributarie provinciali non è affatto escluso o ridotto dalla possibilità di revocare successivamente l’erronea attestazione del passaggio in giudicato della sentenza; e) l’inammissibilità dell’appello per mancata o tardiva costituzione in giudizio dell’appellante (ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53, comma 2, primo periodo, e art. 22, commi 1, 2 e 3) può sempre essere dimostrata dall’interessato quando richieda l’attestazione del passaggio in giudicato della sentenza di primo grado per la quale sia stato effettuato il deposito di cui alla disposizione censurata; f) là dove l’appellante abbia scelto di notificare il ricorso in appello non avvalendosi dell’ufficiale giudiziario, l’unico deterrente per indurre l’appellante a fornire tempestivamente alla segreteria del giudice di primo grado la documentata notizia della proposizione dell’appello stesso è rappresentato dalla sanzione della inammissibilità prevista dalla norma; g) l’adempimento del deposito non comporta, per la parte, particolari difficoltà e, dunque, non rende estremamente difficile l’esercizio del suo diritto di difesa (Cass. n. 15432 del 2015). La legittimità costituzionale di tale norma è stata, da ultimo, ribadita dalla Corte costituzionale nella pronuncia n. 121 del 2016 mentre questa Corte (n. 1635/2017 cit.) ha puntualizzato che il deposito di copia dell’atto di appello presso la segreteria della commissione che ha emesso la sentenza impugnata, quale requisito di ammissibilità del gravame non notificato a mezzo di ufficiale postale, è stato eliminato dal D.Lgs. n. 175 del 2014, art. 36, con efficacia non retroattiva, compatibile con l’art. 6 della CEDU, che non garantisce il diritto a beneficiare di norme procedurali sopravvenute, a cui lo Stato può legittimamente applicare il principio tempus regit actum” (Cfr. Cass., V, 7099/2019).
Acclarata dunque l’inammissibilità dell’appello principale, si tratta di capire ora le sorti dell’appello incidentale.
Preso atto della sua tempestività (sentenza depositata il 26 gennaio 2012, appello del 29 giugno 2012, entro il termine lungo semestrale), si rileva che non sia stata depositata copia dell’appello incidentale presso la CTP, in ossequio al D.Lgs. n. 546 del 1992, precitato art. 53, comma 2.
Premesso che la violazione del deposito ex art. 53 cit. è rilevabile d’ufficio, previa verifica degli atti processuali (Cass. V, n. 6169/2011, con plurime sentenze, questa Corte ha ricordato come l’onere processuale prescritto dalla richiamata norma si applichi anche al ricorso incidentale per una fondamentale ragione di parità delle parti, sicché il suo mancato deposito presso il giudice di primo grado ne provoca l’inammissibilità.
In questo senso, con ampia motivazione, l’orientamento è costante da Cass. V, n. 4679/2012, per n. 15432/2015, fino a n. 16909 e n. 17722 del 2017.
Gli appelli principale ed incidentale sono quindi inammissibili e la sentenza dev’essere cassata, mentre le spese possono essere compensate, in ragione della reciproca causa di inammissibilità.
Rilevato che risulta soccombente parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato per essere amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, non si applica il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater.
P.Q.M.
Decidendo sul ricorso, cassa la sentenza impugnata e compensa integralmente le spese del giudizio fra le parti.
Così deciso in Roma, il 26 ottobre 2021.
Depositato in Cancelleria il 18 gennaio 2022