LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –
Dott. MERCOLINO Guido – rel. Consigliere –
Dott. VELLA Paola – Consigliere –
Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –
Dott. FRAULINI Paolo – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 12313/2015 R.G. proposto da:
S.A.C.E. S.P.A., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, con domicilio legale in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;
– ricorrente –
contro
FALLIMENTO DELLA ***** S.R.L., in persona del curatore Avv. L.E., rappresentato e difeso dall’Avv. Piero Fornaciari, con domicilio in Roma, piazza Cavour, presso la Cancelleria civile della Corte di Cassazione;
– controricorrente –
avverso il decreto del Tribunale di Reggio Emilia n. 1791/15 del 10 aprile 2015.
Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 27 ottobre 2021 dal Consigliere Dott. Guido Mercolino.
FATTI DI CAUSA
1. Con decreto del 10 aprile 2015, il Tribunale di Bologna ha rigettato l’opposizione proposta dalla S.A.C.E. S.p.a. avverso lo stato passivo del fallimento della ***** S.r.l., avente ad oggetto l’insinuazione tardiva di un credito di Euro 200.844,40, a titolo di rivalsa della somma pagata a seguito dello inadempimento da parte della società fallita di un mutuo concessole dalla Banca Popolare dell’Emilia Romagna per il finanziamento di un progetto di investimento ed internazionalizzazione e garantito dall’opponente ai sensi del D.L. 14 marzo 2005, n. 35, art. 11-quinquies, convertito con modificazioni dalla L. 14 maggio 2005, n. 80.
A fondamento della decisione, il Tribunale ha escluso che il credito azionato costituisca un’autonoma obbligazione ex lege, sorta per effetto della revoca del beneficio, osservando che dal testo della garanzia e dal tenore letterale del D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 123, art. 7, emerge incontestabilmente la prestazione da parte della SACE di una garanzia in favore della Banca per l’adempimento del debito da parte dell’impresa mutuataria, e qualificando tale garanzia come un’ordinaria fideiussione, con la conseguente applicabilità degli istituti della surroga e del regresso. Premesso inoltre che, prima dell’effettuazione del pagamento da parte della SACE, la Banca ha ottenuto l’ammissione al passivo dell’intero credito, ha ritenuto applicabile del R.D. 16 marzo 1942, n. 267, art. 61, che in caso di adempimento parziale nel corso della procedura consente al creditore di insinuare al passivo l’intero credito fino al totale pagamento; precisato che, in quanto volta a disciplinare diritti disponibili, tale disposizione è derogabile dalle parti interessate, ed aggiunto che nell’ambito del fallimento il pagamento integrale dev’essere valutato ex latere creditoris, ha rilevato che nella specie non è stato provato che la Banca abbia spontaneamente ridotto la propria collocazione al passivo, mentre è stato dimostrato che la stessa non è stata ancora integralmente soddisfatta, concludendo pertanto che la rivalsa della SACE non può trovare collocazione nello stato passivo.
2. Avverso il predetto decreto la SACE ha proposto ricorso per cassazione, articolato in quattro motivi, illustrati anche con memoria. Il curatore del fallimento ha resistito con controricorso, anch’esso illustrato con memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo d’impugnazione, la ricorrente denuncia la violazione del D.Lgs. n. 123 del 1998, art. 1 e art. 9, commi 4 e 5, censurando il decreto impugnato nella parte in cui ha escluso che la revoca del beneficio determini il sorgere di un’obbligazione ex lege nei confronti del beneficiario, ed ha ritenuto pertanto ammissibili la surroga e il regresso. Sostiene infatti che il credito azionato è diverso da quello già ammesso al passivo, trovando la propria fonte non già nel contratto di mutuo e nell’obbligazione di garanzia, ma nella revoca del beneficio, essendo vantato direttamente nei confronti della società fallita ed avendo natura privilegiata. Aggiunge che la revoca comporta il venir meno della surroga nei diritti della banca, provocando l’annullamento dell’intera operazione, con effetto retroattivo, con il conseguente venir meno del credito ammesso al passivo e la necessità di procedere alla cancellazione della relativa posta, al fine di evitare una duplicazione del passivo. Afferma inoltre l’irrilevanza del mancato richiamo del D.Lgs. n. 123 del 1998, da parte del contratto di mutuo e dell’atto di concessione della garanzia, ponendo in risalto il nesso esistente tra il finanziamento pubblico e l’attività produttiva del beneficiario, ed insistendo pertanto sull’applicabilità della disciplina in materia di intervento di sostegno pubblico alle imprese.
2. Con il secondo motivo, la ricorrente deduce la violazione della L. Fall., artt. 61 e 62, censurando il decreto impugnato nella parte in cui ha ritenuto applicabili tali disposizioni, senza considerare che il credito azionato non sorge da un atto del fallito successivo alla dichiarazione di fallimento, ma da un provvedimento amministrativo che attribuisce rilevanza giuridica a comportamenti del fallito anteriori al fallimento. Premesso che la revoca del beneficio non incide sulla sussistenza del contratto di mutuo al quale accede la garanzia, sostiene che il privilegio che assiste i crediti per le restituzioni degli interventi di sostegno pubblico previsti dal D.Lgs. n. 123 del 1998, prevale su ogni altro titolo di prelazione da qualsiasi causa derivante, fatta eccezione per il privilegio per le spese di giustizia e quelli previsti dall’art. 2751-bis c.c., e fatti salvi i diritti preesistenti di terzi.
3. Con il terzo motivo, la ricorrente lamenta la violazione del D.Lgs. n. 123 del 1998, art. 9, commi 4 e 5, e dell’art. 1936 c.c., ribadendo che la revoca del beneficio comporta la nascita di un’obbligazione ex lege che sostituisce sia quella contrattuale da essa assunta nei confronti della banca sia quella del beneficiario, con il conseguente venir meno della surroga e l’inapplicabilità delle norme sulla fideiussione.
4. Con il quarto motivo, la ricorrente denuncia la violazione del D.Lgs. n. 123 del 1998, artt. 1 e 7, osservando che, nell’escludere la riconducibilità della garanzia da essa prestata alla categoria degl’interventi di sostegno pubblico alle imprese, il decreto impugnato non ha tenuto conto delle sue finalità istituzionali, consistenti anche nel rilascio di garanzie per il rischio di mancata restituzione di finanziamenti concessi a supporto del processo di internazionalizzazione delle imprese italiane. Afferma pertanto che, relativamente alla quota garantita, il credito derivante dal mutuo deve considerarsi privilegiato ai sensi del D.Lgs. n. 123 del 1998, art. 9, fin dalla data di stipulazione del contratto, non assumendo alcun rilievo, a tal fine, la surroga nella posizione della banca mutuante, la quale determina soltanto una modificazione soggettiva del credito garantito. Precisa che, in quanto erogato in forma di garanzia, e non già in denaro, il contributo pubblico viene in rilievo soltanto nel momento in cui, a seguito del pagamento dell’indennizzo in favore della banca e della surroga nei diritti della stessa, il credito di firma si trasforma in un credito di cassa, con il conseguente diritto al recupero dello importo pagato. Premesso inoltre che la finalità dell’operazione consiste nella incentivazione dell’attività delle piccole e medie imprese, attraverso la prestazione di una garanzia che consente alle stesse di accedere ad un finanziamento bancario senza necessità di fornire le consuete garanzie reali o personali, afferma che nel caso in cui il beneficiario non riesca a far fronte alla restituzione, essa ricorrente è tenuta ad adempiere l’obbligazione di garanzia nei confronti della banca. Sostiene infine che, nel ricollegare la revoca del beneficio alla mancata restituzione del finanziamento, il Tribunale non ha tenuto conto degli obblighi assunti dalla beneficiaria, la quale, non essendo in grado di dimostrare la corretta utilizzazione dei fondi ricevuti, si era astenuta dall’impugnare il provvedimento.
5. I predetti motivi, da esaminarsi congiuntamente, in quanto riflettenti profili diversi della medesima questione, sono fondati.
Non può infatti condividersi la sentenza impugnata, nella parte in cui ha qualificato la fattispecie come un’ordinaria fideiussione, individuandone il fondamento nella garanzia prestata dalla SACE a favore della Banca Popolare dell’Emilia Romagna per il mutuo concesso alla *****, ed escludendo pertanto la configurabilità del credito azionato dalla ricorrente come un’obbligazione ex lege, insorgente dalla revoca del beneficio accordato alla società fallita, anziché come un’ipotesi di surroga o di regresso del fideiussore, assoggettata alla disciplina dettata dalla L. Fall., art. 61, comma 2.
In tema di finanziamenti pubblici alle imprese, e con specifico riferimento al privilegio previsto del D.Lgs. n.. 123 del 1998, art. 9, comma 5, in favore dei crediti restitutori nascenti da interventi di sostegno per lo sviluppo delle attività produttive disciplinati dal medesimo decreto, questa Corte ha infatti affermato che la ratio della prelazione è costituita dalla peculiare natura del credito, proveniente da fondi pubblici, la quale impone d’individuarne il presupposto nel procedimento di erogazione del contributo, rispetto al quale la revoca opera non già come momento genetico del privilegio, ma come condizione affinché la SACE possa agire per il recupero del proprio credito (cfr. Cass., Sez. III, 13/05/2020, n. 8882). In linea più generale, la revoca dei benefici relativi alla concessione di sovvenzioni e contributi pubblici, in dipendenza del venir meno dei requisiti oggettivi o soggettivi cui la legge ne subordina il riconoscimento, è stata equiparata all’avveramento di una condizione risolutiva espressa, che comporta a carico del beneficiario l’obbligo di restituire all’ente finanziatore tutte le somme, in qualsiasi forma erogate, indebitamente ricevute in forza della normativa che prevede il beneficio (cfr. in tema di contributi previsti dalla L. 28 febbraio 1986, n. 44, Cass., Sez. I, 25/01/2018, n. 1899; 27/11/2013, n. 26507). In riferimento alla revoca prevista del D.Lgs. n. 123, art. 9, tale principio è stato ritenuto applicabile non solo all’ipotesi in cui la stessa sia determinata da patologie inerenti alla fase genetica dell’erogazione, quali l’irregolare ammissione all’intervento o comunque l’indebito conseguimento del beneficio di legge, ma anche all’ipotesi in cui sia giustificata da eventi riguardanti la gestione del rapporto di credito insorto per effetto della concessione, come gravi inadempienze del beneficiario o fatti imputabili al medesimo (cfr. Cass., Sez. I, 20/04/2018, n. 9926). Premesso infatti che gli interventi pubblici di sostegno all’economia si realizzano attraverso un procedimento complesso, in cui la fase di natura amministrativa di selezione dei beneficiari in vista della realizzazione di interessi pubblici è seguita da un negozio privatistico di finanziamento o di garanzia, nella cui struttura causale si inserisce la destinazione delle somme ad uno specifico scopo, si è osservato che la deviazione dallo scopo, nei casi suindicati, così come l’inadempienza a tale rapporto negoziale, determina la violazione della causa del contratto di finanziamento o di garanzia e costituisce (attesa la stretta connessione sussistente tra le due fasi del complesso procedimento in esame) presupposto della revoca del beneficio erogato (cfr. Cass., Sez. I, 20/ 09/2017, n. 21841). In proposito, è stato posto in risalto anche il carattere oggettivo dell’apprezzamento richiesto in ordine alla persistenza dei requisiti prescritti per l’accesso al beneficio o all’inadempimento degli obblighi imposti dalla legge o dal provvedimento concessorio nella fase esecutiva del rapporto, escludendosi la configurabilità di residui margini di discrezionalità dell’ente concedente ai fini della valutazione delle ragioni di pubblico interesse sottese all’erogazione del contributo, con la conseguente affermazione della giurisdizione dell’Autorità giudiziaria ordinaria in ordine alle relative controversie (cfr. Cass., Sez. Un., 17/02/2016, n. 3057; 11/07/2014, n. 15941; 7/01/2013, n. 150; 13/10/2011, n. 21062); nella medesima ottica, è stato riconosciuto, nel caso in cui il beneficiario sia dichiarato fallito, che il credito restitutorio insinuato al passivo dall’ente concedente sorge nel momento in cui si apre la procedura concorsuale o, ancor prima, in quello in cui vengono meno i requisiti prescritti: è stato infatti precisato che tali eventi determinano automaticamente la perdita del beneficio, rispetto alla quale la revoca non riveste portata costitutiva, con la duplice conseguenza che è agli stessi, e non alla revoca, che dev’essere ancorata la decorrenza del termine di prescrizione (cfr. Cass., Sez. I, 3/07/2015, n. 13763), e che il credito riveste carattere concorsuale, indipendentemente dalla circostanza che la revoca sia intervenuta successivamente alla dichiarazione di fallimento (cfr. Cass., Sez. I, 30/01/2019, n. 2664; 18/08/2017, n. 20182). Tali considerazioni hanno indotto la dottrina a ritenere inappropriato il termine “revoca”, adoperato dal legislatore per riferirsi al provvedimento in esame: è stata messa infatti in dubbio l’assimilabilità dello stesso a quello contemplato della L. 7 agosto 1990, n. 241, art. 21-quinquies, il quale trova giustificazione non già nel venir meno dei requisiti prescritti per l’emanazione del provvedimento originario o nell’inadempimento degli obblighi da quest’ultimo imposti, bensì in “sopravvenuti motivi di pubblico interesse” o in un “mutamento della situazione di fatto non prevedibile al momento dell’adozione del provvedimento”, o ancora “in una nuova valutazione dell’interesse pubblico originario” (quest’ultima, peraltro, espressamente esclusa per i “provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici”). Sul piano concettuale, si è ritenuto più corretto l’accostamento alla fattispecie della decadenza, caratterizzata dalla natura vincolata dell’accertamento richiesto in ordine alla sussistenza dei relativi presupposti e dalla conseguente configurabilità della posizione del beneficiario come diritto soggettivo, tutelabile dinanzi all’Autorità giudiziaria ordinaria, a differenza di quanto accade sia in sede di erogazione del contributo che nel caso di revoca in senso proprio, le quali, presupponendo rispettivamente una comparazione tra una pluralità di richiedenti ed un apprezzamento in ordine alla persistenza delle ragioni d’interesse pubblico sottese al riconoscimento del beneficio, presentano profili di discrezionalità a fronte dei quali la situazione del privato è qualificabile come interesse legittimo, tutelabile dinanzi al Giudice amministrativo (cfr. in tema di sovvenzioni pubbliche, Cass., Sez. Un., 30/07/2020, n. 16457; 1/02/2019, n. 3166).
La natura legale della fattispecie cui si ricollega la revoca prevista del D.Lgs. n. 123 del 1998, art. 9, che giustifica l’esclusione dell’efficacia costitutiva del provvedimento, è stata riconosciuta in riferimento non solo alle ipotesi in cui l’intervento di sostegno si traduca in un finanziamento, cioè in un’immediata erogazione di denaro in favore del beneficiario, ma anche a quelle in cui lo stesso si sostanzi nella concessione di una garanzia per un prestito da quest’ultimo contratto con un terzo, come previsto dall’art. 7, comma 7, del D.Lgs., desumendosene l’operatività in entrambi i casi del privilegio accordato dall’art. 9, comma 5, al credito dell’ente concedente per la restituzione dell’importo versato direttamente al beneficiario o di quello pagato al terzo mutuante a seguito dell’escussione della garanzia. A tal fine, sono state evidenziate, sotto il profilo letterale, la mancanza, nel D.Lgs. n. 123, di una definizione del termine “finanziamento” e la variabilità del significato che lo stesso assume nel quadro del diritto vigente, tali da non consentirne l’identificazione con l’erogazione diretta di una somma di denaro, nonché la minore ampiezza della formulazione dell’art. 7, comma 1, rispetto a quella dell’art. 9, comma 5, tale da impedire la limitazione della portata applicativa di quest’ultimo ai finanziamenti agevolati, che costituiscono soltanto una delle forme di sostegno alle attività produttive contemplate dal D.Lgs. (comprendenti, oltre alla concessione di garanzie, anche i contributi in conto capitale e quelli in conto interessi). Sotto il profilo sistematico, si è poi osservato che le diverse forme d’intervento pubblico previste dal D.Lgs. n. 123, costituiscono espressione di un disegno d’impianto unitario, inteso alla razionalizzazione e riorganizzazione dell’intero settore, nonché di una disciplina di segno unitario che, pur nel rispetto delle rilevanti differenze che possono eventualmente manifestarsi tra le diverse misure, non giustificano trattamenti differenziati a seconda delle modalità di attuazione dell’intervento. Soprattutto, si è affermato che, in tutti i casi in cui divenga operativo il sistema di revoca e restituzione previsto dall’art. 9, si tratta comunque di recuperare il sacrificio patrimoniale che l’operatore pubblico ha in concreto sopportato in funzione dello sviluppo delle attività produttive, e ciò anche al fine di procurare la provvista per lo svolgimento di ulteriori e futuri interventi di sostegno, secondo quanto significativamente dispone dello stesso art. 9, comma 6. In quest’ottica, si è rilevato anche che l’intervento di sostegno a mezzo di garanzia personale sembra proporre, per qualità, una tipologia di rischio imprenditoriale non diversa da quella propriamente portata dalla concessione dei mutui o comunque dalle erogazioni dirette di somme all’impresa beneficiaria della protezione accordata dalla legge in discorso, con obbligo di restituzione delle somme medesime (cfr. Cass., Sez. III, 13/05/2020, n. 8882; Cass., Sez. I, 30/01/2019, n. 2664).
La radice unitaria in tal modo riconosciuta al credito restitutorio derivante dalle diverse forme di sostegno previste dal D.Lgs. n. 123 del 1998, anche in ragione del carattere pubblicistico dell’intervento, della rilevanza oggettiva degli eventi che determinano la perdita del beneficio e delle ulteriori finalità cui è volto il recupero delle somme erogate, non ha peraltro impedito di sottolineare le differenze esistenti, sotto il profilo strutturale, tra le varie fattispecie contemplate dal legislatore, ed in particolare tra quelle in cui il sostegno si realizza mediante un finanziamento diretto in favore dell’impresa beneficiaria e quelle in cui si traduce invece nella prestazione di una garanzia per un’obbligazione contratta con un terzo, in particolare, come nella specie, per un mutuo concesso da un istituto di credito. L’attribuzione del beneficio ha luogo infatti, in via automatica (art. 4) o all’esito di una procedura selettiva (artt. 5 e 6), mediante l’adozione di un atto di concessione o la stipulazione di un contratto (art. 6, comma 4), cui fa seguito nel caso di finanziamento diretto l’erogazione dell’importo accordato da parte dell’ente finanziatore, che lo pone a disposizione dell’impresa beneficiaria presso una banca appositamente convenzionata (art. 7, comma 2), e nel caso di concessione di garanzia l’assunzione della relativa obbligazione, che richiede un accordo con l’istituto di credito mutuante, secondo le modalità previste del D.M. 20 giugno 2005, art. 2 (emesso ai sensi della L. 7 agosto 1997, n. 266, art. 15, comma 3, richiamata del D.Lgs. n. 123, art. 7, comma 7): ciò comporta nel primo caso l’instaurazione di un unico rapporto tra l’ente concedente ed il beneficiario, cui consegue, nell’ipotesi di revoca dell’intervento, l’immediata insorgenza dell’obbligo di restituzione, secondo le regole dell’indebito oggettivo, per effetto del venir meno della causa giustificatrice dell’erogazione (cfr. Cass., Sez. I, 25/01/2018, n. 1899; 10/09/2013, n. 20691; Cass., Sez. VI, 9/10/2017, n. 23603); nel secondo caso, si determina invece una duplicità di rapporti, quello tra l’ente concedente ed il beneficiario, avente ad oggetto la realizzazione dell’intervento, e quello con l’istituto di credito mutuante, avente ad oggetto la prestazione della garanzia, in virtù del quale, in caso d’inadempimento da parte del beneficiario, l’ente concedente è tenuto al pagamento in favore dell’istituto, potendo poi agire nei confronti del beneficiario per la restituzione dell’importo pagato. Proprio tale duplicità di rapporti, ed in particolare la giustapposizione di quello privatistico di garanzia a quello pubblicistico di concessione, ha indotto la giurisprudenza ad inquadrare l’azione di recupero nello schema civilistico della fideiussione, riconoscendo all’ente concedente che abbia adempiuto la possibilità di surrogarsi nei diritti della banca, ai sensi dell’art. 1949 c.c., o, in alternativa, di agire in regresso nei confronti del debitore principale, ai sensi dell’art. 1950: tale conclusione è stata indubbiamente agevolata dalla disciplina dettata del D.M. 20 giugno 2005, art. 2, che definisce la garanzia “incondizionata ed irrevocabile” (comma 2), rendendola in tal modo insensibile alle vicende del rapporto concessorio (in particolare, alla revoca del beneficio), nonché dall’espresso richiamo all’art. 1203 c.c., contenuto nella medesima disposizione (comma 4), e dall’uso del verbo “rivalersi”, più specifico del sostantivo “restituzione” adottato nel D.Lgs. n. 123 del 1998, art. 9, per riferirsi all’azione di recupero nei confronti dell’impresa inadempiente.
Il predetto inquadramento ha prodotto, come naturale ricaduta, l’applicazione, in caso di fallimento del beneficiario dell’intervento, della disciplina prevista della L. Fall., artt. 61 e 62, in virtù della quale il creditore di più coobbligati solidali che abbia ricevuto un pagamento parziale è tenuto ad insinuare al passivo il solo credito residuo esclusivamente nel caso in cui il pagamento abbia avuto luogo prima dell’apertura della procedura concorsuale, potendo altrimenti concorrere per l’intero credito, ed avendo diritto all’assegnazione della quota spettante al coobbligato che ha pagato, fino a concorrenza di quanto ancora dovutogli, mentre il regresso tra coobbligati può essere esercitato soltanto dopo che il creditore sia stato interamente soddisfatto. Com’e’ noto, tali disposizioni, richiamate anche dal decreto impugnato, introducono un’eccezione al principio generale operante in materia di obbligazioni solidali, secondo cui il pagamento parziale effettuato da uno dei coobbligati solidali produce l’estinzione del credito nei limiti dell’importo corrispondente alla somma pagata, ed è quindi opponibile al creditore anche dagli altri coobbligati; esso, come ripetutamente affermato da questa Corte, trova applicazione sia all’azione di regresso, specificamente contemplata dalle norme in esame, che all’azione di surrogazione, dal momento che ciò che viene in rilievo, ai fini dell’esercizio di entrambe le azioni, non è la circostanza che attraverso il pagamento il coobbligato abbia totalmente assolto la propria obbligazione, ma che l’adempimento risulti integrale ex parte creditoris, cioè idoneo ad estinguere la pretesa che il creditore comune abbia insinuato o possa insinuare al passivo del fallimento (cfr. Cass., Sez. I, 17/10/2018, n. 26003; 1/03/2012, n. 3216). Non merita pertanto consenso, nella specie, l’insistenza della ricorrente sulla configurabilità dell’azione di recupero come azione di regresso, fondata del D.Lgs. n. 123 del 1998, art. 9, anziché come azione di surrogazione, fondata sul pagamento da essa effettuato a seguito dell’escussione della garanzia da parte della BPER: essendo infatti pacifico che il pagamento ha avuto luogo in data successiva alla dichiarazione di fallimento della *****, la predetta qualificazione non consentirebbe di pervenire a conclusioni differenti da quella cui è giunto il decreto impugnato, secondo cui, non risultando che la creditrice sia stata integralmente soddisfatta, e non avendo la stessa ridotto spontaneamente l’importo del proprio credito ammesso al passivo, la rivalsa esercitata dalla SACE attraverso l’insinuazione tardiva non può trovare collocazione nello stato passivo.
Senonché, avuto riguardo alle considerazioni precedentemente svolte in ordine al fondamento ed alle finalità dell’azione di recupero, non può condividersi neppure la riconduzione della vicenda ad una matrice esclusivamente privatistica, compiuta dal decreto impugnato sulla falsariga dell’orientamento della giurisprudenza di legittimità che ha esteso il privilegio previsto del D.Lgs. n. 123 del 1998, art. 9, comma 5, all’ipotesi in cui l’intervento di sostegno si realizzi attraverso la prestazione di una garanzia, anziché mediante l’erogazione di un finanziamento diretto. Tale indirizzo risulta molto chiaramente sintetizzato in una recente pronuncia di questa Corte, la quale, rilevato che nel caso di concessione di garanzia l’intervento di sostegno pubblico comporta l’assunzione di un impegno negoziale diretto nei confronti del soggetto mutuante, destinato a rimanere fermo pure in caso di revoca del beneficio nei confronti del debitore principale, ha affermato che il relativo negozio risulta per intero soggetto alle comuni disposizioni di diritto privato, aggiungendo che nel sistema vigente l’impegno di garanzia personale prende natura di obbligazione solidale (cfr. Cass., Sez. I, 30/01/2019, n. 2664). Ciò ha indotto a ritenere che l’azione di recupero debba necessariamente incanalarsi sui binari privatistici dell’azione di regresso o di quella di surrogazione, conformemente alla disciplina dettata per le obbligazioni solidali, e ad interrogarsi esclusivamente sulla possibilità di estendere anche all’ipotesi di surrogazione il privilegio contemplato dall’art. 9, comma 5, cit., non previsto a favore del credito dell’istituto mutuante, nei cui diritti l’ente finanziatore è destinato a subentrare per effetto del pagamento, ai sensi dell’art. 1203 c.c.: a tale interrogativo, come si è detto in precedenza, è stata data risposta positiva, facendosi leva sulla causa del credito dell’ente concedente, avente natura pubblicistica e connesso a finalità d’interesse generale, ed escludendosi la necessità che della medesima causa di prelazione si avvantaggi anche il creditore garantito, il quale già fruisce della possibilità di escussione immediata del soggetto pubblico in caso d’inadempimento del soggetto finanziato (cfr. Cass., Sez. I, 9/03/2020, n. 6508). In tal modo, tuttavia, nonostante la sottolineatura delle finalità pubbliche sottese alla politica di sostegno allo sviluppo delle imprese, si finisce con il trascurare completamente l’aspetto pubblicistico del rapporto, che trova espressione nel provvedimento di concessione del beneficio o nel contratto stipulato con il beneficiario all’esito della procedura selettiva: tale atto, distinto da quello di concessione della garanzia, ne costituisce il necessario presupposto, individuando gli obiettivi e le modalità di realizzazione dell’intervento, nonché gli obblighi posti a carico del beneficiario, la cui inosservanza giustifica, ai sensi del D.Lgs. n. 123 del 1998, art. 9, la revoca del beneficio ed il recupero dell’importo eventualmente versato al creditore garantito. La relativa azione, pur mirando al medesimo risultato economico di quella di surrogazione o di regresso, ovverosia alla neutralizzazione della diminuzione patrimoniale conseguente all’esborso effettuato, si distingue dalle stesse, non costituendo esercizio del diritto precedentemente spettante al creditore garantito, nel quale l’ente concedente subentra a seguito dell’escussione della garanzia, né di un nuovo diritto derivante dal pagamento effettuato in favore del creditore garantito, ma trovando fondamento nell’atto di concessione o nella convenzione che costituiscono il presupposto della garanzia, e postulando la revoca del beneficio, che comporta, non diversamente da quanto accade in caso di finanziamento diretto, il venir meno della causa giustificatrice dell’erogazione, nei rapporti con il debitore beneficiario, e quindi l’insorgenza del diritto alla restituzione del relativo importo. Il provvedimento in questione è stato ritenuto non necessario ai fini dell’esercizio dell’azione di surrogazione o di regresso, in virtù della considerazione che in caso di concessione di garanzia, a differenza di quanto accade per altri interventi di sostegno pubblico, il relativo diritto non origina da un’erogazione diretta di somme di denaro nelle mani del beneficiario, ma dal pagamento effettuato in favore dell’istituto di credito che abbia erogato il finanziamento (cfr. Cass., Sez. I, 9/03/2020, n. 6508). Tale rilievo può ritenersi tuttavia appropriato soltanto con riguardo al rapporto privatistico scaturente dalla concessione della garanzia, che, comportando l’instaurazione di un vincolo di solidarietà, consente all’ente concedente, in caso di escussione della garanzia da parte del creditore, di avvalersi dei mezzi di recupero posti a sua disposizione dal diritto comune delle obbligazioni; esso non appare invece pertinente in riferimento all’azione scaturente dall’inadempimento del rapporto concessorio, la quale risulta svincolata dalla solidarietà, traendo origine dal sopravvenuto difetto della causa giustificatrice dell’intervento, la cui constatazione richiede l’adozione di un formale provvedimento di accertamento da parte dell’ente concedente, indispensabile per poter procedere al recupero dell’importo pagato. L’inoperatività del vincolo di solidarietà, in conseguenza del mancato esercizio dell’azione di surrogazione o di regresso, comporta inoltre l’inapplicabilità della disciplina dettata della L. Fall., artt. 61 e 622, con la conseguenza che, in caso di fallimento del beneficiario, l’ente concedente può insinuare il proprio credito al passivo, anche nel caso in cui il pagamento, effettuato dopo l’apertura della procedura concorsuale, non sia risultato interamente satisfattorio per l’istituto di credito, il quale abbia a sua volta ottenuto l’ammissione al passivo.
6. La sentenza impugnata va pertanto cassata, con il conseguente rinvio della causa al Tribunale di Reggio Emilia, che provvederà, in diversa composizione, anche al regolamento delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
accoglie il ricorso, cassa il decreto impugnato e rinvia al Tribunale di Reggio Emilia, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 27 ottobre 2021.
Depositato in Cancelleria il 18 gennaio 2022