Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.1481 del 18/01/2022

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –

Dott. TRICOMI Laura – rel. Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 7367-2021 proposto da:

B.A., domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato ERICA SCALCO;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;

– resistente –

avverso la sentenza n. 1144/2020 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO, depositata il 03/08/2020;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata dell’01 /12/2021 dal Consigliere Relatore Dott. LAURA TRICOMI.

RITENUTO

che:

La Corte di appello di Catanzaro, con la sentenza in epigrafe indicata, ha respinto l’appello proposto da B.A., proveniente dal Bangladesh, avverso la sentenza di primo grado che aveva disatteso tutte le domande concernenti la protezione internazionale e quella umanitaria.

Il richiedente ha proposto ricorso per cassazione con nove mezzi; il Ministero dell’Interno ha depositato mero atto di costituzione.

Il cittadino straniero aveva narrato di appartenere alla minoranza etnica dei *****, vittima di persecuzioni da parte del governo della Birmania, a seguito delle quali la madre, rimasta vedova, con lui ancora bambino, si era rifugiata in Bangladesh. Aveva, quindi, raccontato di essersi stabilito in detto paese e di avere iniziato a lavorare, ma di essere fuggito perché accusato ingiustamente di avere ucciso un uomo, atto perpetrato invece dal figlio del datore di lavoro, e di temere di essere processato e di subire una ingiusta condanna e una carcerazione disumana.

La Corte di appello non lo ha ritenuto credibile, sia in merito alle sue origini etniche, che alle vicende specifiche dedotte per spiegare l’allontanamento dal Bangladesh, rimarcando che aveva fornito dichiarazioni sommarie, confuse e contraddittorie in merito alla sua etnia, non aveva mostrato di conoscere nulla della lingua corrispondente, non aveva indicato le date dei suoi spostamenti e in generale aveva prospettato una narrazione caratterizzata da imprecisione e contraddittorietà dei fatti esposti. Ha, quindi, escluso la ricorrenza dei presupposti per ogni forma di protezione.

CONSIDERATO

che:

1. Il ricorso è articolato nei seguenti nove motivi:

I) Violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3 e 5, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Il ricorrente si duole della valutazione di non credibilità del racconto, compiuta dalla Corte di appello, insiste a sostenere la scarsa rilevanza delle contraddizioni emerse dal suo racconto; critica il mancato assolvimento dell’onere di cooperazione istruttoria da parte del giudice di merito, sia in relazione alla sua mancata audizione, pur richiesta, sia al mancato esame della documentazione prodotta in appello a sostegno della prospettata appartenenza al gruppo etnico *****.

II) Omessa pronuncia su un fatto decisivo – motivazione apparente ed illogica in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5 in relazione al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3 e 5.

Con detta censura il ricorrente lamenta l’apparenza della motivazione formulata in merito alla ravvisata non credibilità.

III) Omessa pronuncia su un fatto decisivo – motivazione apparente in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, ed al D.Lgs. n. 25 del 2008, comma 3, n. 8, per non aver acquisito le prove fornite in sede di appello da cui avrebbe potuto desumersi – a suo dire- il suo status di rifugiato *****.

IV) Omessa pronuncia su un fatto decisivo – motivazione apparente in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, in relazione al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14 lett. b) ed al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, per non aver acquisito informazioni aggiornate sul sistema giudiziario e sulle condizioni carcerarie in Bangladesh e sulla corruzione delle Forze di Polizia e sull’effettività della tutela offerta dal sistema giudiziario e dalle predette Forze di Polizia del Bangladesh e sulle persecuzioni in danno alle persone di etnia *****.

V) Violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. b) e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, per non aver acquisito informazioni aggiornate sulla situazione sociopolitica del Bangladesh, in ordine a possibili discriminazioni per motivi religiosi, senza richiamare fonti a sostegno del proprio assunto.

VI) Omessa pronuncia su un fatto decisivo – motivazione apparente in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5 – In relazione al mancato riconoscimento della protezione sussidiaria ex D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), e D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3.

VII) Violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c) e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, per non aver acquisito informazioni aggiornate sulla situazione sociopolitica del Bangladesh e per non aver acquisito le informazioni ricavabili dal sito del MAE e rapporti di organizzazioni e istituzioni internazionali.

VIII) Omessa pronuncia – motivazione apparente in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5. In relazione al mancato riconoscimento della protezione umanitaria.

IX) Violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 2007, art. 5, comma 6, del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, e del D.Lgs. n. 251 del 2007, in merito al mancato riconoscimento della protezione umanitaria.

2.1. Il ricorso è inammissibile.

2.2. I primi tre motivi sono inammissibili perché sollecitano il riesame del merito. Invero, è proprio la ritenuta non credibilità ad avere comportato l’esclusione dell’attivazione del potere istruttorio nei sensi indicati dal ricorrente, senza che questi abbia, peraltro, indicato fatti decisivi di cui sia stato omesso l’esame, concernenti le dichiarazioni circa le ragioni di fuga che avrebbero potuto condurre ad opposte conclusioni.

Inoltre, il ricorrente mostra di non avere colto la ratio decidendi, che non attinge integralmente, giacché appunta le sue censure solo sulla considerazione compiuta in merito alla provenienza etnica, senza considerare che la Corte di appello, ha escluso la complessiva credibilità del narrato, anche in relazione alla falsa accusa di omicidio che sarebbe stata mossa nei suoi confronti ed al rischio di subire pregiudizio in ragione delle condizioni del sistema carcerario e della organizzazione giudiziaria, vicenda che appare come scatenante la decisione del ricorrente di allontanarsi dal Bangladesh e rispetto alla validazione della quale non viene illustrata la decisività della documentazione prodotta in appello.

E’ inammissibile anche per quanto concerne la mancata audizione, che è stata motivata dalla Corte di appello. Va ricordato che “Nei giudizi in materia di protezione internazionale il giudice, in assenza della videoregistrazione del colloquio svoltosi dinanzi alla Commissione territoriale, ha l’obbligo di fissare l’udienza di comparizione, ma non anche quello di disporre l’audizione del richiedente, a meno che: a) nel ricorso non vengano dedotti fatti nuovi a sostegno della domanda (sufficientemente distinti da quelli allegati nella fase amministrativa, circostanziati e rilevanti); b) il giudice ritenga necessaria l’acquisizione di chiarimenti in ordine alle incongruenze o alle contraddizioni rilevate nelle dichiarazioni del richiedente; c) il richiedente faccia istanza di audizione nel ricorso, precisando gli aspetti in ordine ai quali intende fornire chiarimenti e sempre che la domanda non venga ritenuta manifestamente infondata o inammissibile.” (Cass. n. 21584/2020) e nessuno dei casi indicati ricorre nella fattispecie in esame.

2.3. I motivi quarto e quinto, il cui esame presupporrebbe che sia stato ritenuto credibile il racconto circa le ragioni di fuga, sono assorbiti dalla declaratoria di inammissibilità dei primi tre motivi.

2.4. I motivi sesto e settimo, concernenti la domanda di protezione sussidiaria ex art. 14, lett. c) cit. sono inammissibili perché, come si evince dallo stesso ricorso, già in primo grado era stata esaminata la situazione socio politica del Paese sulla base di fonti ufficiali in base alle quali era stata esclusa la ricorrenza di una situazione di violenza indiscriminata, peraltro nemmeno dedotta dal ricorrente nel suo racconto – come chiarito dalla Corte di appello; a fronte di ciò, i motivi di ricorso si sostanziano nella sollecitazione della revisione della valutazione di merito già compiuta, senza indicare alcuno specifico elemento informativo decisivo di cui sia stato omesso l’esame e che avrebbe potuto condurre ad opposte conclusioni.

2.5. I motivi ottavo e nono, concernenti la domanda di protezione umanitaria, sono inammissibili.

Essi sollecitano una rivalutazione del merito, senza indicare alcun elemento individualizzante sintomatico di una personale condizione di vulnerabilità, che è stata invece esclusa dalla Corte di appello, in linea con l’orientamento di questa Corte che richiede “il riscontro di “seri motivi” (non tipizzati) diretti a tutelare situazioni di vulnerabilità individuale” (Cass. nn. 23778/2019, 1040/2020), così come è stata esclusa la ricorrenza dell’integrazione in Italia, di guisa che non vi è spazio, rispetto a quanto accertato in fase di merito per applicare i principi espressi da Cass. S.U. n. 24413/2021.

3. In conclusione, il ricorso va dichiarato inammissibile.

Non si provvede sulle spese in assenza di attività difensiva della controparte.

Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis (Cass. Sez. U. n. 23535/2019).

P.Q.M.

– Dichiara inammissibile il ricorso;

– Dà atto, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 1 dicembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 18 gennaio 2022

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