Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.1485 del 18/01/2022

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. MERCOLINO Guido – rel. Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

Dott. FRAULINI Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 18758/2015 R.G. proposto da:

S.A.C.E. S.P.A., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, con domicilio legale in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

– ricorrente –

contro

FALLIMENTO DELLA ***** S.A.S. ***** S.R.L. E DEL SOCIO ACCOMANDATARIO ***** S.R.L., in persona del curatore Dott. P.E., rappresentato e difeso dall’Avv. Andrea Govi, con domicilio in Roma, piazza Cavour, presso la Cancelleria civile della Corte di Cassazione;

– controricorrente –

avverso il decreto del Tribunale di Bologna n. 2709/15 del 17 giugno 2015.

Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 27 ottobre 2021 dal Consigliere Dott. Guido Mercolino;

lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DE MATTEIS Stanislao, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso.

FATTI DI CAUSA

1. Con decreto del 17 giugno 2015, il Tribunale di Bologna ha rigettato l’opposizione proposta dalla S.A.C.E. S.p.a. avverso lo stato passivo del fallimento della ***** S.a.s. ***** S.r.l. e del socio accomandatario ***** S.r.l., avente ad oggetto il riconoscimento del privilegio di cui del D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 123, art. 9, su un credito di Euro 129.245,18, ammesso al passivo in via chirografaria a titolo di rivalsa della somma pagata a seguito dell’inadempimento da parte della ***** di un mutuo concesso dalla Banca Popolare dell’Emilia Romagna per il finanziamento di un progetto di investimento ed internazionalizzazione e garantito dall’opponente ai sensi del D.L. 14 marzo 2005, n. 35, art. 11-quinquies, convertito con modificazioni dalla L. 14 maggio 2005, n. 80.

A fondamento della decisione, il Tribunale ha premesso che gl’interventi pubblici di sostegno all’economia disciplinati dal D.Lgs. n. 143 del 1998, presuppongono un procedimento complesso, nell’ambito del quale alla fase amministrativa di selezione dei beneficiari segue un negozio privatistico di finanziamento o garanzia, avente una causa caratterizzata dalla destinazione delle somme allo scopo prefigurato, la cui mancata realizzazione costituisce violazione del contratto e comporta la revoca del finanziamento. Ciò posto, ha rilevato che, in quanto previsto soltanto per il caso di revoca, il privilegio non si estende alle ipotesi in cui, come nella specie, le finalità del beneficio sono state rispettate, ma il rapporto civilistico non è stato esattamente adempiuto, a causa della mancata restituzione delle somme erogate. Richiamato in proposito il principio di tendenziale tipicità del privilegio, ha evidenziato la diversità della causa del credito nelle due ipotesi di restituzione, osservando che mentre nel caso di revoca la stessa mira ad assicurare la corretta finalizzazione dei fondi pubblici, nel caso d’inadempimento non vi è alcuna deviazione dallo scopo, che viene rispettato, sia pure con esiti infruttuosi. Precisato che nel caso in esame non vi è stata alcuna revoca, non identificabile nella missiva inviata nello stesso giorno in cui la Banca ha richiesto il pagamento, ha aggiunto che la SACE non ha concesso alcun finanziamento, ma si è limitata a prestare una garanzia in favore della Banca, la cui escussione le consente di agire surrogandosi nei diritti di quest’ultima, concludendo che il riconoscimento del privilegio si tradurrebbe in una violazione dei principi che disciplinano la surroga, in quanto comporterebbe l’attribuzione al credito del garante di una qualità diversa e superiore a quella del credito del creditore surrogato.

2. Avverso il predetto decreto la SACE ha proposto ricorso per cassazione, articolato in tre motivi, illustrati anche con memoria. Il curatore del fallimento ha resistito con controricorso.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo d’impugnazione, la ricorrente denuncia la violazione del D.Lgs. n. 123 del 1998, art. 1 e art. 9, commi 4 e 5, sostenendo che, nell’escludere la riconducibilità della garanzia da essa prestata alla categoria degl’interventi di sostegno pubblico alle imprese, il decreto impugnato non ha tenuto conto delle sue finalità istituzionali, consistenti anche nel rilascio di garanzie per il rischio di mancata restituzione di finanziamenti concessi a supporto del processo di internazionalizzazione delle imprese italiane, e della ratio del privilegio, volto a tutelare i crediti derivanti dalla revoca di sussidi, contributi e finanziamenti pubblici alle imprese, anche se concessi mediante la prestazione di garanzie. Afferma che l’interpretazione restrittiva fornita dal decreto impugnato non tiene conto dell’ambito oggettivo del privilegio, costituito dai crediti derivanti non solo dalla revoca del finanziamento, ma anche dalla distrazione dei beni agevolati dall’uso previsto e da tutti i possibili fatti addebitati all’impresa beneficiaria, ivi compresa la mancata restituzione delle rate del finanziamento.

2. Con il secondo motivo, la ricorrente deduce la violazione del D.Lgs. n. 123 del 1998, art. 9, commi 2, 4 e 5, osservando che, nell’escludere l’avvenuta revoca dell’intervento e la scorrettezza della condotta della beneficiaria, il decreto impugnato non ha considerato che a) ai fini della revoca non è chiesta l’osservanza di forme particolari, b) essa ricorrente è venuta a conoscenza del mancato pagamento delle rate di mutuo soltanto a seguito della comunicazione della Banca, c) la società fallita non ha rispettato gl’impegni assunti con la lettera di manleva, e d) la revoca non costituisce un provvedimento amministrativo, ma dev’essere intesa in senso civilistico, come dichiarazione unilaterale di volontà diretta ad estinguere con efficacia ex nunc gli effetti di un precedente negozio valido. Precisato inoltre che il privilegio non deriva dalla surroga, ma è previsto direttamente dalla legge, in considerazione della specificità della garanzia, afferma che, in quanto erogato nella predetta forma, e non già in denaro, il contributo pubblico viene in rilievo soltanto nel momento in cui, a seguito del pagamento dell’indennizzo in favore della banca e della surroga nei diritti della stessa, il credito di firma si trasforma in un credito di cassa, con il conseguente diritto al recupero dell’importo pagato.

3. Con il terzo motivo, la ricorrente lamenta la violazione del D.Lgs. n. 123 del 1998, artt. 1 e 7, ribadendo che la prestazione di garanzie rientra non solo nell’attività istituzionale di essa ricorrente, ma anche tra gl’interventi di sostegno pubblico previsti dal predetto decreto, comprendenti i benefici di qualsiasi genere concessi da amministrazioni pubbliche anche attraverso soggetti terzi. Afferma pertanto che il credito deve considerarsi privilegiato fin dalla data di stipulazione del contratto, non assumendo alcun rilievo, a tal fine, la surroga nella posizione della banca mutuante, la quale determina soltanto una modificazione soggettiva del credito garantito.

4. I predetti motivi, da esaminarsi congiuntamente, in quanto riflettenti profili diversi della medesima questione, sono fondati.

Non può infatti condividersi la tesi sostenuta nella sentenza impugnata, secondo cui, conformemente al principio di tipicità delle cause di prelazione, il privilegio accordato del D.Lgs. n. 123 del 1998, art. 9, comma 5, non è applicabile ai crediti restitutori derivanti da interventi di sostegno pubblico alle imprese realizzati attraverso la concessione di garanzie, non essendo consentita, in caso d’inadempimento del debito garantito, la revoca del beneficio, prevista soltanto per l’ipotesi di mancata destinazione delle somme allo scopo prefissato.

In tema di finanziamenti pubblici alle imprese, e con specifico riferimento al privilegio previsto del D.Lgs. n. 123 del 1998, art. 9, comma 5, in favore dei crediti restitutori nascenti da interventi di sostegno per lo sviluppo delle attività produttive disciplinati dal medesimo decreto, questa Corte ha infatti affermato che la ratio della prelazione è costituita dalla peculiare natura del credito, proveniente da fondi pubblici, la quale impone d’individuarne il presupposto nel procedimento di erogazione del contributo, rispetto al quale la revoca opera non già come momento genetico del privilegio, ma come condizione affinché la SACE possa agire per il recupero del proprio credito (cfr. Cass., Sez. III, 13/05/2020, n. 8882). In linea più generale, la revoca dei benefici relativi alla concessione di sovvenzioni e contributi pubblici, in dipendenza del venir meno dei requisiti oggettivi o soggettivi cui la legge ne subordina il riconoscimento, è stata equiparata all’avveramento di una condizione risolutiva espressa, che comporta a carico del beneficiario l’obbligo di restituire all’ente finanziatore tutte le somme, in qualsiasi forma erogate, indebitamente ricevute in forza della normativa che prevede il beneficio (cfr. in tema di contributi previsti dalla L. 28 febbraio 1986, n. 44, Cass., Sez. I, 25/01/2018, n. 1899; 27/11/2013, n. 26507). In riferimento alla revoca prevista del D.Lgs. n. 123, art. 9, tale principio è stato ritenuto applicabile non solo all’ipotesi in cui la stessa sia determinata da patologie inerenti alla fase genetica dell’erogazione, quali l’irregolare ammissione all’intervento o comunque l’indebito conseguimento del beneficio di legge, ma anche all’ipotesi in cui sia giustificata da eventi riguardanti la gestione del rapporto di credito insorto per effetto della concessione, come gravi inadempienze del beneficiario o fatti imputabili al medesimo (cfr. Cass., Sez. I, 20/04/2018, n. 9926). Premesso infatti che gli interventi pubblici di sostegno all’economia si realizzano attraverso un procedimento complesso, in cui la fase di natura amministrativa di selezione dei beneficiari in vista della realizzazione di interessi pubblici è seguita da un negozio privatistico di finanziamento o di garanzia, nella cui struttura causale si inserisce la destinazione delle somme ad uno specifico scopo, si è osservato che la deviazione dallo scopo, nei casi suindicati, così come l’inadempienza a tale rapporto negoziale, determina la violazione della causa del contratto di finanziamento o di garanzia e costituisce (attesa la stretta connessione sussistente tra le due fasi del complesso procedimento in esame) presupposto della revoca del beneficio erogato (cfr. Cass., Sez. I, 20/09/2017, n. 21841). In proposito, è stato posto in risalto anche il carattere oggettivo dell’apprezzamento richiesto in ordine alla persistenza dei requisiti prescritti per l’accesso al beneficio o all’inadempimento degli obblighi imposti dalla legge o dal provvedimento concessorio nella fase esecutiva del rapporto, escludendosi la configurabilità di residui margini di discrezionalità dell’ente concedente ai fini della valutazione delle ragioni di pubblico interesse sottese all’erogazione del contributo, con la conseguente affermazione della giurisdizione dell’Autorità giudiziaria ordinaria in ordine alle relative controversie (cfr. Cass., Sez. Un., 17/02/2016, n. 3057; 11/07/2014, n. 15941; 7/01/2013, n. 150; 13/10/2011, n. 21062); nella medesima ottica, è stato riconosciuto, nel caso in cui il beneficiario sia dichiarato fallito, che il credito restitutorio insinuato al passivo dall’ente concedente sorge nel momento in cui si apre la procedura concorsuale o, ancor prima, in quello in cui vengono meno i requisiti prescritti: è stato infatti precisato che tali eventi determinano automaticamente la perdita del beneficio, rispetto alla quale la revoca non riveste portata costitutiva, con la duplice conseguenza che è agli stessi, e non alla revoca, che dev’essere ancorata la decorrenza del termine di prescrizione (cfr. Cass., Sez. I, 3/07/2015, n. 13763), e che il credito riveste carattere concorsuale, indipendentemente dalla circostanza che la revoca sia intervenuta successivamente alla dichiarazione di fallimento (cfr. Cass., Sez. I, 30/01/2019, n. 2664; 18/08/2017, n. 20182). Tali considerazioni hanno indotto la dottrina a ritenere inappropriato il termine “revoca”, adoperato dal legislatore per riferirsi al provvedimento in esame: è stata messa infatti in dubbio l’assimilabilità dello stesso a quello contemplato dalla L. 7 agosto 1990, n. 241, art. 21-quinquies, il quale trova giustificazione non già nel venir meno dei requisiti prescritti per l’emanazione del provvedimento originario o nell’inadempimento degli obblighi da quest’ultimo imposti, bensì in “sopravvenuti motivi di pubblico interesse” o in un “mutamento della situazione di fatto non prevedibile al momento dell’adozione del provvedimento”, o ancora “in una nuova valutazione dell’interesse pubblico originario” (quest’ultima, peraltro, espressamente esclusa per i “provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici”). Sul piano concettuale, si è ritenuto più corretto l’accostamento alla fattispecie della decadenza, caratterizzata dalla natura vincolata dell’accertamento richiesto in ordine alla sussistenza dei relativi presupposti e dalla conseguente configurabilità della posizione del beneficiario come diritto soggettivo, tutelabile dinanzi all’Autorità giudiziaria ordinaria, a differenza di quanto accade sia in sede di erogazione del contributo che nel caso di revoca in senso proprio, le quali, presupponendo rispettivamente una comparazione tra una pluralità di richiedenti ed un apprezzamento in ordine alla persistenza delle ragioni d’interesse pubblico sottese al riconoscimento del beneficio, presentano profili di discrezionalità a fronte dei quali la situazione del privato è qualificabile come interesse legittimo, tutelabile dinanzi al Giudice amministrativo (cfr. in tema di sovvenzioni pubbliche, Cass., Sez. Un., 30/07/2020, n. 16457; 1/02/2019, n. 3166).

La natura legale della fattispecie cui si ricollega la revoca prevista del D.Lgs. n. 123 del 1998, art. 9, che giustifica l’esclusione dell’efficacia costitutiva del provvedimento, è stata riconosciuta in riferimento non solo alle ipotesi in cui l’intervento di sostegno si traduca in un finanziamento, cioè in un’immediata erogazione di denaro in favore del beneficiario, ma anche a quelle in cui lo stesso si sostanzi nella concessione di una garanzia per un prestito da quest’ultimo contratto con un terzo, come previsto dall’art. 7, comma 7, del D.Lgs., desumendosene l’operatività in entrambi i casi del privilegio accordato dall’art. 9, comma 5, al credito dell’ente concedente per la restituzione dell’importo versato direttamente al beneficiario o di quello pagato al terzo mutuante a seguito dell’escussione della garanzia. A tal fine, è stato richiamato innanzitutto il principio, più volte ribadito dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui le norme che stabiliscono privilegi in favore di determinati crediti, pur non essendo suscettibili di applicazione in via analogica, in quanto norme eccezionali, possono essere oggetto d’interpretazione estensiva, la quale costituisce il risultato di un’operazione logica volta ad individuare il reale significato e la portata effettiva della norma, che permette di determinarne l’esatto ambito di operatività anche oltre il limite apparentemente segnato dalla sua formulazione testuale, tenendo conto dell’intenzione del legislatore e della causa del credito che, ai sensi dell’art. 2745 c.c., rappresenta la ragione giustificatrice di qualsiasi privilegio (cfr. ex plurimis, Cass., Sez. Un., 17/05/2010, n. 11930; Cass., Sez. VI, 7/09/2021, n. 24071; Cass., Sez. I, 12/08/2016, n. 17087). In proposito, sono state evidenziate, sotto il profilo letterale, la mancanza, nel D.Lgs. n. 123, di una definizione del termine “finanziamento” e la variabilità del significato che lo stesso assume nel quadro del diritto vigente, tali da non consentirne l’identificazione con l’erogazione diretta di una somma di denaro, nonché la minore ampiezza della formulazione dell’art. 7, comma 1, rispetto a quella dell’art. 9, comma 5, tale da impedire la limitazione della portata applicativa di quest’ultimo ai finanziamenti agevolati, che costituiscono soltanto una delle forme di sostegno alle attività produttive contemplate dal D.Lgs. (comprendenti, oltre alla concessione di garanzie, anche i contributi in conto capitale e quelli in conto interessi). Sotto il profilo sistematico, si è poi osservato che le diverse forme d’intervento pubblico previste dal D.Lgs. n. 123, costituiscono espressione di un disegno d’impianto unitario, inteso alla razionalizzazione e riorganizzazione dell’intero settore, nonché di una disciplina di segno unitario che, pur nel rispetto delle rilevanti differenze che possono eventualmente manifestarsi tra le diverse misure, non giustificano trattamenti differenziati a seconda delle modalità di attuazione dell’intervento. Soprattutto, si è affermato che, in tutti i casi in cui divenga operativo il sistema di revoca e restituzione previsto dall’art. 9, si tratta comunque di recuperare il sacrificio patrimoniale che l’operatore pubblico ha in concreto sopportato in funzione dello sviluppo delle attività produttive, e ciò anche al fine di procurare la provvista per lo svolgimento di ulteriori e futuri interventi di sostegno, secondo quanto significativamente dispone dello stesso art. 9, comma 6. In quest’ottica, si è rilevato anche che l’intervento di sostegno a mezzo di garanzia personale sembra proporre, per qualità, una tipologia di rischio imprenditoriale non diversa da quella propriamente portata dalla concessione dei mutui o comunque dalle erogazioni dirette di somme all’impresa beneficiaria della protezione accordata dalla legge in discorso, con obbligo di restituzione delle somme medesime (cfr. Cass., Sez. III, 13/05/2020, n. 8882; Cass., Sez. I, 30/01/2019, n. 2664).

La radice unitaria in tal modo riconosciuta al credito restitutorio derivante dalle diverse forme di sostegno previste dal D.Lgs. n. 123 del 1998, anche in ragione del carattere pubblicistico dell’intervento, della rilevanza oggettiva degli eventi che determinano la perdita del beneficio e delle ulteriori finalità cui è volto il recupero delle somme erogate, non ha peraltro impedito di sottolineare le differenze esistenti, sotto il profilo strutturale, tra le varie fattispecie contemplate dal legislatore, ed in particolare tra quelle in cui il sostegno si realizza mediante un finanziamento diretto in favore dell’impresa beneficiaria e quelle in cui si traduce invece nella prestazione di una garanzia per un’obbligazione contratta con un terzo, in particolare, come nella specie, per un mutuo concesso da un istituto di credito. L’attribuzione del beneficio ha luogo infatti, in via automatica (art. 4) o all’esito di una procedura selettiva (artt. 5 e 6), mediante l’adozione di un atto di concessione o la stipulazione di un contratto (art. 6, comma 4), cui fa seguito nel caso di finanziamento diretto l’erogazione dell’importo accordato da parte dell’ente finanziatore, che lo pone a disposizione dell’impresa beneficiaria presso una banca appositamente convenzionata (art. 7, comma 2), e nel caso di concessione di garanzia l’assunzione della relativa obbligazione, che richiede un accordo con l’istituto di credito mutuante, secondo le modalità previste del D.M. 20 giugno 2005, art. 2 (emesso ai sensi della L. 7 agosto 1997, n. 266, art. 15, comma 3, richiamata del D.Lgs. n. 123, art. 7, comma 7): ciò comporta nel primo caso l’instaurazione di un unico rapporto tra l’ente concedente ed il beneficiario, cui consegue, nell’ipotesi di revoca dell’intervento, l’immediata insorgenza dell’obbligo di restituzione, secondo le regole dell’indebito oggettivo, per effetto del venir meno della causa giustificatrice dell’erogazione (cfr. Cass., Sez. I, 25/01/2018, n. 1899; 10/09/2013, n. 20691; Cass., Sez. VI, 9/10/2017, n. 23603); nel secondo caso, si determina invece una duplicità di rapporti, quello tra l’ente concedente ed il beneficiario, avente ad oggetto la realizzazione dell’intervento, e quello con l’istituto di credito mutuante, avente ad oggetto la prestazione della garanzia, in virtù del quale, in caso d’inadempimento da parte del beneficiario, l’ente concedente è tenuto al pagamento in favore dell’istituto, potendo poi agire nei confronti del beneficiario per la restituzione dell’importo pagato. Proprio tale duplicità di rapporti, ed in particolare la giustapposizione di quello privatistico di garanzia a quello pubblicistico di concessione, ha indotto la giurisprudenza ad inquadrare l’azione di recupero nello schema civilistico della fideiussione, riconoscendo all’ente concedente che abbia adempiuto la possibilità di surrogarsi nei diritti della banca, ai sensi dell’art. 1949 c.c., o, in alternativa, di agire in regresso nei confronti del debitore principale, ai sensi dell’art. 1950: tale conclusione è stata indubbiamente agevolata dalla disciplina dettata del D.M. 20 giugno 2005, art. 2, che definisce la garanzia “incondizionata ed irrevocabile” (comma 2), rendendola in tal modo insensibile alle vicende del rapporto concessorio (in particolare, alla revoca del beneficio), nonché dall’espresso richiamo all’art. 1203 c.c., contenuto nella medesima disposizione (comma 4), e dall’uso del verbo “rivalersi”, più specifico del sostantivo “restituzione” adottato nel D.Lgs. n. 123 del 1998, art. 9, per riferirsi all’azione di recupero nei confronti dell’impresa inadempiente.

Il predetto indirizzo risulta molto chiaramente sintetizzato in una recente pronuncia di questa Corte, la quale, rilevato che nel caso di concessione di garanzia l’intervento di sostegno pubblico comporta l’assunzione di un impegno negoziale diretto nei confronti del soggetto mutuante, destinato a rimanere fermo pure in caso di revoca del beneficio nei confronti del debitore principale, ha affermato che il relativo negozio risulta per intero soggetto alle comuni disposizioni di diritto privato, aggiungendo che nel sistema vigente l’impegno di garanzia personale prende natura di obbligazione solidale (cfr. Cass., Sez. I, 30/01/2019, n. 2664). In quest’ottica, si è innanzitutto escluso che l’esercizio dell’azione di regresso o di surrogazione debba essere necessariamente preceduto da una formale revoca dell’intervento di sostegno, affermandosi che, proprio perché non origina, come in altre ipotesi, da un’erogazione diretta di somme di denaro da parte dell’Amministrazione nelle mani del beneficiario, ma dal pagamento effettuato (a seguito dell’escussione della garanzia) in favore dell’istituto di credito mutuante, il credito di rivalsa dello ente concedente sorge per effetto del solo pagamento, e non richiede pertanto l’adozione di un provvedimento amministrativo di segno opposto a quello di concessione, strutturalmente necessario per far venire meno il titolo in virtù del quale il beneficiario ha fruito del finanziamento (cfr. Cass., Sez. I, 9/03/2020, n. 6508). Nella medesima prospettiva, ci si è interrogati sulla possibilità di estendere anche all’ipotesi di surrogazione il privilegio contemplato dall’art. 9, comma 5, cit., non previsto a favore del credito dell’istituto mutuante, nei cui diritti l’ente finanziatore è destinato a subentrare per effetto del pagamento, ai sensi dell’art. 1203 c.c.: ed a tale interrogativo, come si è detto in precedenza, è stata data risposta positiva, facendosi leva sulla causa del credito dell’ente concedente, avente natura pubblicistica e connesso a finalità d’interesse generale, ed escludendosi la necessità che della medesima causa di prelazione si avvantaggi anche il creditore garantito, il quale già fruisce della possibilità di escussione immediata del soggetto pubblico in caso d’inadempimento del soggetto finanziato (cfr. Cass., Sez. I, 9/03/2020, n. 6508).

Il ricorso va pertanto accolto, in conformità del principio, più volte ribadito da questa Corte in tema d’interventi pubblici di sostegno alle imprese, secondo cui il privilegio previsto del D.Lgs. n. 123 del 1998, art. 9, comma 5, si applica non solo ai crediti restitutori derivanti da finanziamenti diretti, ma anche a quelli di rivalsa derivanti dalla prestazione di garanzie, non assumendo alcun rilievo, in quest’ultimo caso, la mancanza di un provvedimento amministrativo di revoca dell’intervento, dal momento che l’esercizio dell’azione di surrogazione o regresso trae origine dal pagamento effettuato dallo ente concedente in favore dell’istituto di credito mutuante.

5. Il decreto impugnato va conseguentemente cassato, e, non risultando necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2, con il riconoscimento del privilegio di cui del D.Lgs. n. 123 del 1998, art. 9, comma 5, a favore del credito fatto valere dalla SACE, già ammesso al passivo in via chirografaria.

La natura della questione trattata, oggetto di orientamenti contrastanti nella giurisprudenza di merito e risolta dalla giurisprudenza di legittimità in epoca successiva alla proposizione del ricorso per cassazione, giustifica l’integrale compensazione delle spese relative ad entrambi i gradi di giudizio.

P.Q.M.

accoglie il ricorso, cassa il decreto impugnato, e, decidendo nel merito, ammette al passivo in via privilegiata ai sensi del D.Lgs. n. 31 marzo 1998, n. 123, art. 9, comma 5, il credito di Euro 129.245,18 fatto valere dalla S.A.C.E. S.p.a. Compensa integralmente le spese dei due gradi di giudizio.

Così deciso in Roma, il 27 ottobre 2021.

Depositato in Cancelleria il 18 gennaio 2022

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