LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 1
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –
Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –
Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –
Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –
Dott. PAZZI Alberto – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 477-2021 proposto da:
M.N., domiciliato presso la cancelleria della CORTE DI CASSAZIONE, PIAZZA CAVOUR, ROMA, rappresentato e difeso dall’avvocato IVANA ROAGNA;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore, domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;
– resistente –
avverso la sentenza n. 418/2020 della CORTE D’APPELLO di TORINO, depositata il 28/4/2020;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non partecipata dell’1/12/2021 dal Consigliere Relatore Dott. ALBERTO PAZZI.
RILEVATO
che:
1. Il Tribunale di Torino, con ordinanza ex art. 702-bis c.p.c., del 9 marzo 2019, rigettava il ricorso proposto da M.N., cittadino del Pakistan proveniente dalla regione del *****, avverso il provvedimento emesso dalla locale Commissione territoriale di diniego di riconoscimento del suo status di rifugiato nonché del suo diritto alla protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex artt. 2 e 14, o a quella umanitaria ai sensi del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3, e del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6.
2. La Corte d’appello di Torino, con sentenza pubblicata in data 28 aprile 2020, rigettava l’impugnazione proposta dal M., ritenendo – fra l’altro e per quanto qui di interesse – che il migrante non avesse prospettato situazioni di vulnerabilità atipica, correlate alla sua posizione soggettiva, suscettibili di essere valorizzate ai fini della concessione della protezione umanitaria.
3. Per la cassazione di questa statuizione ha proposto ricorso M.N. prospettando un unico motivo di doglianza.
Il Ministero dell’Interno si è costituito al di fuori dei termini di cui all’art. 370 c.p.c. al fine dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione della causa.
CONSIDERATO
che:
4. Il motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione del T.U.I., art. 5, comma 6, e art. 19, comma 2, e del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 32, nella valutazione comparativa tra la situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al paese di origine e quella specifica e attuale raggiunta sul territorio italiano: la Corte di merito, nell’effettuare la dovuta valutazione comparativa fra la situazione d’integrazione sociale raggiunta nel paese di accoglienza e la situazione che il migrante si troverebbe ad affrontare in caso di rimpatrio, da una parte non ha preso in esame – in tesi – la situazione individuale del ricorrente, dall’altro ha sminuito la dignità del lavoro da questi prestato presso il centro di accoglienza, senza per di più considerare la durata dello stato di occupazione e il conseguimento del diploma di terza media e della patente di guida.
5. Il motivo risulta, nel suo complesso, inammissibile.
5.1 La Corte di merito, dopo aver rilevato che il migrante aveva richiamato genericamente, ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria, “la situazione sociale in cui versa il ***** dal quale egli proviene e l’integrazione che egli sostiene raggiunta nel nostro Paese”, ha osservato che la sicurezza e la situazione economica del Pakistan sono assai migliorate, negando poi che l’esistenza di un contratto di lavoro part time “come addetto alle pulizie con una cooperativa sociale che gestisce centri di accoglienza”, con reddito di circa Euro 400 mensili, dimostrasse una significativa integrazione.
A precisazione di questa valutazione ha sottolineato, da un lato, che lavorare “ritraendo quanto insufficiente a garantirgli una autonoma sopravvivenza in Italia” non era circostanza sufficiente a dimostrare una condizione d’integrazione nel tessuto sociale, culturale ed economico ad opera del migrante; questi, peraltro, non aveva stabilito “rapporti affettivi, culturali e lavorativi di intensità tale da rendere traumatico il suo reinserimento nel contesto di origine”, al quale erano riferibili le sue radici etniche, linguistiche e religiose e dove vivevano la moglie, tre figli minori e la sua famiglia di origine.
5.2 La Corte di merito si è così fatta carico di una valutazione comparativa della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al paese di accoglienza e a quello di origine, al fine di verificare il raggiungimento di un apprezzabile livello di integrazione in Italia e se il ritorno nel paese d’origine potesse rendere probabile un significativo scadimento delle condizioni di vita privata e/o familiare.
A fronte di un simile accertamento, che rientra nel giudizio di fatto demandato al giudice di merito, la doglianza intende, nella sostanza, proporre una diversa lettura dei fatti di causa, traducendosi in un’inammissibile richiesta di rivisitazione del merito (Cass. n. 8758 del 2017).
5.3 La questione relativa al protrarsi della condizione lavorativa dal 2016 e al conseguimento della licenza di scuola media e della patente di guida, così come quella concernente la disponibilità di vitto e alloggio gratuiti, risulta inammissibile, dato che la stessa non è stata in alcun modo affrontata dalla Corte distrettuale all’interno della decisione impugnata e il ricorrente non ha indicato se essa fosse già stata allegata in sede di merito e dove fosse stata posta (Cass. n. 23675 del 2013).
5.4 Il profilo di critica che denuncia l’inadeguata considerazione della prestazione lavorativa, solo perché prestata nel centro di accoglienza, non coglie poi la ratio decidendi della statuizione impugnata, la quale non intende affatto sminuire una simile forma di lavoro, ma vuole invece sottolineare come l’importo della retribuzione percepita sia insufficiente “a garantirgli un’autonoma sopravvivenza in Italia” e impedisca così di ritenere dimostrata una condizione d’integrazione.
Non è neppur vero che la sentenza impugnata non abbia preso in considerazione la situazione individuale del ricorrente nell’ambito del suo paese di origine, avendo al contrario tenuto conto (seppur con risultati differenti da quelli auspicati dal richiedente asilo) non solo delle radici etniche, linguistiche e religiose del M., ma soprattutto del radicamento in patria dei suoi legami familiari.
Ne discende l’inammissibilità anche di quest’ultima censura, dato che il ricorso per cassazione deve caratterizzarsi per la sua specificità e riferibilità alla decisione impugnata (Cass. n. 6587 del 2017, Cass. n. 13066 del 2007).
6. In forza dei motivi sopra illustrati il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
La costituzione dell’amministrazione intimata al di fuori dei termini previsti dall’art. 370 c.p.c., ed al solo fine dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione, non celebrata, esime il collegio dal provvedere alla regolazione delle spese di lite.
PQM
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.
Così deciso in Roma, il 1 dicembre 2021.
Depositato in Cancelleria il 18 gennaio 2022