LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MANNA Antonio – Presidente –
Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –
Dott. MAROTTA Caterina – rel. Consigliere –
Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –
Dott. SPENA Francesca – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 3179-2016 proposto da:
I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati PAOLA MASSAFRA, SEBASTIANO CARUSO, ELISABETTA LANZETTA;
– ricorrente –
contro
R.N., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE REGINA MARGHERITA 42, presso lo studio degli avvocati ANTONIO DE PAOLIS, PAOLO ERMINI che lo rappresentano e difendono;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 4032/2015 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 21/07/2015 R.G.N. 9483/2012;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 21/12/2021 dal Consigliere Dott.ssa MAROTTA CATERINA.
RILEVATO
che:
1. la Corte d’appello di Roma, con la sentenza n. 4032/15 del 21 luglio 2015, pronunciando sull’impugnazione di R.N. nei confronti dell’INPS, in riforma della decisione del Tribunale di Rieti riconosceva, in favore del R., il diritto ad ottenere le differenze retributive per il periodo indicato in narrativa in relazione alle mansioni svolte corrispondenti alla categoria C, posizione economica C1, superiori rispetto all’inquadramento formale in B e, considerato il godimento da parte del predetto di un assegno ad personam riconosciutogli in occasione del passaggio all’INPS, condannava l’Istituto al pagamento in favore dello stesso della somma di Euro 1.406,01;
2. la Corte territoriale, dopo aver ripercorso le declaratorie contrattuali (c.c.n.l. enti pubblici non economici 16 febbraio 1999) delle Aree B/B2 (la posizione B3 è meramente economica) e C/C1, evidenziava che i compiti svolti dal R. non rientravano appieno nella declaratoria dell’area C il quanto il medesimo si era occupato dell’intera gestione del settore dedicato alle aziende con dipendenti, operando unitamente e indifferentemente con i colleghi che, inquadrati nell’area C, svolgevamo la medesima attività;
in particolare, il R., la cui attività non si poteva ridurre alla mera raccolta di informazioni e alla risoluzione di questioni elementari, si era occupato di tutte le fasi del settore gestendo nel ciclo completo i DM, ovvero le denunce mensili delle aziende, occupandosi dell’inserimento dei dati e svolgendo il ruolo di validatore per tutte le procedure di iscrizione che presupponevo l’espletamento di attività di controllo e di verifica dei dati;
il predetto, inoltre, aveva svolto attività di tutor in materia di note di rettifica e gestione dei cicli ed aveva anche curato i rapporti con l’ufficio legale di sede per la definizione delle pratiche oggetto di contenzioso oltre che con il settore della vigilanza, per i verbali ispettivi elevati dagli enti previdenziali gestendo l’acquisizione e lo sviluppo di quelli provenienti dall’INPS e da altri enti;
si era anche occupato degli sgravi di cartella per i debiti non dovuti, delle rateizzazioni, dell’elaborazione di piani di ammortamento, dell’istruttoria dei ricorsi amministrativi, della gestione degli abbandoni ovvero della cancellazione dei debiti in base a sentenza o a prescrizione del credito INPS, della gestione del DURC, delle pratiche relative alla CIG ordinaria edile svolgendo anche funzioni di segretario della commissione CIG, delle pratiche relative ai contributi individuali dei lavoratori dipendenti attraverso la consultazione degli archivi e di altre attività descritte in sentenza;
3. per la cassazione della sentenza di appello ricorre l’INPS prospettando un motivo di ricorso, resistito con controricorso dal lavoratore, che in prossimità dell’adunanza camerale ha anche depositato memoria.
CONSIDERATO
che:
1. con l’unico articolato motivo di ricorso è dedotta la violazione dell’art. 1362 c.c. e s.s., anche con riferimento all’allegato A Declaratoria delle Aree del c.c.n.l. 1998/2001 e ai profili professionali nel sistema di organizzazione dell’INPS del c.c.i.e. INPS 1998-2001, nonché del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 52, in relazione alla violazione dei principi di cui all’art. 111 Cost. e, in particolare, del comma 7 in una lettura integrata con l’art. 6 CEDU;
da un primo punto di vista l’INPS critica la statuizione della Corte d’appello secondo cui per il riconoscimento delle mansioni superiori non è necessario l’effettivo svolgimento di tutte le fasi del processo produttivo e che il dipendente assuma la responsabilità dell’attività svolta, essendo sufficiente che le stesse vengano in concreto svolte rispetto ad una sola funzione, purché con modalità da configurare i requisiti per il livello C1;
ricorda, poi, il processo di riorganizzazione della propria attività e della gestione del personale, in modo da prevedere la completa gestione di un servizio da parte di unità di processo, incaricate di processi primari ed esternazione dei provvedimenti e non più la rigida divisione di compiti tra diversi settori;
evidenzia, pertanto, la connotazione essenziale per rivendicare lo svolgimento di mansioni afferenti al profilo C è proprio l’assunzione di responsabilità all’esterno della volontà provvedimentale dell’Ente, che nella specie era mancata, così come lo svolgimento di tutte le fasi del procedimento;
2. la censura, nei vari profili in cui è articolata, non è fondata;
2.1. l’interpretazione delle declaratorie contrattuali Area B e area C, del c.c.n.l. enti pubblici economici del 1999, di cui si duole il ricorrente, ha costituito già oggetto di esame da parte di questa Corte, in relazione a fattispecie che, analogamente a quella in esame, attenevano, sia pure con riguardo ad un diverso Ente (INAIL), all’attribuzione di differenze retributive per mansioni superiori;
nella sentenza n. 8683 del 9 aprile 2018 (cui adde, Cass. sentenza n. 14204 del 4 giugno 2018) si è affermato che il c.c.n.l. 16 febbraio 1999 per i dipendenti del comparto enti pubblici non economici inserisce nell’area B il personale “strutturalmente inserito nel processo produttivo” che svolge “fasi o fasce di attività nell’ambito di direttive di massima e di procedure predeterminate attraverso la gestione delle strumentazioni tecnologiche”, valuta i casi concreti, interpreta le istruzioni operative e “risponde dei risultati secondo la posizione rivestita”; all’area C appartiene, invece, il personale “competente a svolgere tutte le fasi del processo” che opera “a livelli di responsabilità di diversa ampiezza secondo lo sviluppo del curriculum”, e, quindi, differenziata in ragione della pluralità di ruoli organizzativi, di tipo sia gestionale (operatore di processo, facilitatore di processo, responsabile di processo, responsabile di struttura) che professionale (esperti di progettazione, specialisti di organizzazione); nella declaratoria generale dell’area si precisa che il personale nella stessa inserito “costituisce garanzia di qualità dei risultati, della qualità, di circolarità delle comunicazioni interne, di integrazione delle procedure, di consulenza specialistica”; la posizione C1 presuppone “conoscenze ed esperienze idonee ad assicurare la capacità di gestire regolare i processi di produzione; attitudini al problem solving rapportate al particolare livello di responsabilità; capacità di operare orientando il proprio contributo all’ottimizzazione del sistema, contribuendo al monitoraggio della qualità; capacità di gestire le varianza del processo in funzione del cliente”; si e’, quindi, affermato (v. in particolare Cass. n. 8683 del 2018 cit.), che l’area C, quindi, si caratterizza rispetto a quella inferiore, oltre che per il diverso livello di conoscenze richiesto al dipendente, per la capacità di quest’ultimo di svolgere tutte le fasi del processo, garantendo la qualità del risultato e con assunzione di responsabilità che, seppure graduata con riferimento allo sviluppo professionale all’interno dell’area stessa, è elemento richiamato in tutti i profili; al contrario il personale dell’area B, il quale esegue fasi di attività nell’ambito di direttive di massima e di procedure predeterminate, si limita a “rispondere dei risultati secondo la posizione rivestita”, circoscritta alla singola fase, nell’ambito della quale è tenuto solo ad “orientare il contributo professionale ai risultati complessivi del gruppo”;
il suddetto orientamento è stato ripreso nella più recenti Cass. n. 29630 del 14 novembre 2019 e Cass. n. 33231 del 2021, specificamente riguardanti l’INPS;
2.2. venendo, poi, alle critiche mosse dall’INPS rispetto alla nozione di processo produttivo, si osserva che il giudice di appello ha individuato il senso di essa – in rapporto all’attività svolta dal R. – come inerente alla “intera gestione del settore dedicato alle aziende con dipendenti” (v. pag. 6 della sentenza impugnata): rispetto a tale compiuta e delineata nozione di processo produttivo, il motivo di ricorso non è concludente in senso critico, limitandosi ad addurre apoditticamente la necessità che per processo si intenda una (in realtà impalpabile) maggiore dimensione dell’attività aziendale interessata dalle lavorazioni; non diversamente, non appare decisivo, a fronte di quanto posto a fondamento della decisione, il fatto che le fasi rispondessero a maggiori o minori gradi di automatismo, avendo la Corte territoriale valorizzato in sé la circostanza che vi fosse stato il loro svolgimento per l’intera filiera del procedimento interessato;
2.3. per quanto riguarda, ancora, l’assunzione della responsabilità, il giudice di appello ha posto l’accento sulla variegata ampiezza delle funzioni svolte e su una responsabilità connessa a tutte le problematiche inerenti alle aziende a lui affidate e ciò in coerenza con la circostanza che la responsabilità che il dipendente assume all’interno dell’Area C, non è obbligatoriamente una responsabilità verso l’esterno, essendo, dunque, sufficiente anche solo la necessità di rispondere in via diretta del proprio operato al dirigente e ciò in coerenza con i precedenti specifici di questa Corte (Cass. 21 maggio 2013, n. 12407; Cass. 28 aprile 2014, n. 9344);
2.4 in definitiva, la sentenza di appello ha fatto corretta applicazione dei principi di cui sopra, interpretando esattamente le disposizioni contrattuali là dove ha – appunto distinto tra fasi del processo e processo nella sua integralità ed ha quindi ritenuto, sulla base di una coerente nozione di processo produttivo, che il lavoratore avesse appunto svolto l’intera filiera del profilo produttivo ad esso affidato;
3. il ricorso va quindi rigettato;
4. le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo, con la distrazione ex art. 93 c.p.c. a favore dei difensori del controricorrente, avv. Antonio De Paolis e avv. Paolo Ermini, dichiaratisi antistatari;
5. occorre dare atto, ai fini e per gli effetti indicati da Cass., S.U., n. 4315/2020, della sussistenza delle condizioni processuali richieste dal D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater.
PQM
La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del presente giudizio che liquida in Euro 200,00 per esborsi e in Euro 2.000,00 per compensi professionali, oltre accessori di legge e rimborso forfetario in misura del 15% da corrispondersi agli avv.ti Antonio De Paolis e Paolo Ermini, antistatari.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nell’Adunanza camerale, il 21 dicembre 2021.
Depositato in Cancelleria il 18 gennaio 2022