Corte di Cassazione, sez. V Civile, Sentenza n.1506 del 18/01/2022

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – Consigliere –

Dott. CATALDI Michele – Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina – Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 13297/2013 di R.G. proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato che la rappresenta e difende.

– ricorrente –

contro

EUROTUR SPA, elettivamente domiciliata in Roma, Via Crescenzio n. 91, presso lo studio dell’avvocato Claudio Lucisano, e dell’avvocato Maria Sonia Vulcano, che lo rappresentano e difendono.

– controricorrente –

Avverso la sentenza della COMM. TRIB. REG. UMBRIA, n. 217/02/12, depositata il 16/11/2012.

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza dell’11 gennaio 2022 dal Consigliere Riccardo Guida;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Vitiello Mauro, che ha concluso chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile;

udito l’avvocato dello Stato Giovanni Chiappiniello per la ricorrente.

FATTI DI CAUSA

1. La Commissione tributaria regionale (“C.T.R.”) dell’Umbria ha rigettato l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Perugia (n. 186/08/2011), che aveva accolto il ricorso di Eurotur S.p.a. contro l’avviso di accertamento ai fini Ires, Irap, Iva, emesso nei suoi confronti, per l’anno 2006, ai sensi della L. n. 724 del 1994, art. 30, che l’aveva qualificata come società di comodo. In particolare, per il giudice d’appello, la società aveva (cfr. pag. 3 della sentenza) “dimostrato documentalmente quanto asserito nel proprio atto di costituzione, precisando le difficoltà nel reperire locatari per i propri immobili sia per quelli in Italia sia per quello ubicato in *****. Non risulta controversa l’esistenza della oggettiva causa di esclusione (dell’)applicazione delle disposizioni di cui alla L. n. 724 del 1994, art. 30, per l’immobile con il contratto di locazione già in essere e quindi non modificabile.”.

2. L’Agenzia delle entrate ricorre con due motivi per la cassazione della sentenza d’appello e la società resiste con controricorso.

RAGIONI DELLA DECISIONE

(i) Preliminarmente, è priva di pregio l’eccezione della contribuente di inammissibilità/improcedibilità del ricorso per cassazione per tardività della notifica. La sentenza d’appello, pubblicata il 16/11/2012, non è stata notificata, sicché il c.d. termine lungo per la notifica del ricorso per cassazione scadeva il 16/05/2013. Detto termine è stato rispettato in quanto è documentalmente provato che il procedimento di notifica a mezzo posta è iniziato proprio il 16/05/2013.

1. Con il primo motivo di ricorso (“1. Insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5”), l’Agenzia espone che la contribuente era proprietaria di sette immobili che, nell’intero arco di vita dell’ente collettivo (ossia dal 1992 al 2006), avevano generato scarsissimi ricavi in quanto soltanto due di essi (un fabbricato e un terreno non edificabile) erano stati locati uno alla madre e l’altro allo studio legale del padre di S.C., legale rappresentante di Eurotur S.p.a., mentre per i restanti cinque immobili (abitativi o commerciali) non risultavano contratti di locazione registrati nei quattordici anni dalla costituzione della società, ossia dal 1992 al 2006. Svolta questa premessa, e ricordato che ad avviso del fisco Eurotur S.p.a. era una società non operativa (società di comodo), ovverosia un mero “schermo societario” appositamente creato ai fini della conservazione e della gestione dell’ingente patrimonio immobiliare della famiglia S., l’ufficio ascrive alla C.T.R. di non avere spiegato per quali ragioni, a suo giudizio, la società non avrebbe superato il test di operatività L. n. 724 del 1994, ex art. 30, comma 1, a causa di oggettive situazioni di carattere straordinario che avevano reso impossibile il conseguimento di ricavi pari o superiori rispetto a quelli presuntivamente stabiliti ai sensi dell’art. 30.

1.1. Il motivo è inammissibile.

1.1.1. Con riferimento al vizio di motivazione, va considerato che la sentenza impugnata è stata pubblicata in data 16/11/2012, sicché trova applicazione l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nella formulazione novellata dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b), convertito con modifiche nella L. 7 agosto 2012, n. 134, che si applica in relazione alle sentenze d’appello pubblicate dall’11/09/2012, la cui violazione è denunciata (in subordine) quale secondo motivo di ricorso.

1.1.2. In base alla norma novellata ed attualmente vigente, nella specie applicabile ratione temporis, non è più configurabile il vizio di omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione della sentenza, atteso che la norma suddetta attribuisce rilievo solo all’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che sia stato oggetto di discussione tra le parti, non potendo neppure ritenersi che il vizio dello sviluppo argomentativo sopravviva come ipotesi di nullità della sentenza ai sensi del medesimo art. 360, c.p.c., n. 4, (Cass. 6/07/2015, n. 13928; 16/07/2014, n. 16300); va, inoltre, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Cass. 8/10/2014, n. 21257). E ciò in conformità del principio affermato dalle sezioni unite di questa Corte (Cass. Sez. U. 07/04/2014, n. 8053), secondo cui la richiamata riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia (che l’ufficio non ha fatto valere) si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione. Le Sezioni unite (nella stessa pronuncia) hanno pure precisato che l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, così come da ultimo riformulato, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie.

1.1.3. Nella fattispecie concreta, con le surrichiamate censure, l’Agenzia non rivolge alla sentenza critiche riconducibili al paradigma legale di cui all’art. 360, al novellato n. 5, ma ripropone, in modo non consentito, come si evince testualmente dalla rubrica del motivo di ricorso, il medesimo schema censorio del n. 5, nella sua precedente formulazione, ratione temporis inapplicabile.

2. Con il secondo motivo (“2. In subordine: omesso esame di fatti decisivi per il giudizio che sono stati oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5”), la medesima doglianza di cui al precedente mezzo d’impugnazione è sussunta entro il novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

2.1. Il motivo è fondato.

2.1.1. Per la giurisprudenza sezionale in tema di società non operative, da ultimo illustrata da Cass. 23/11/2021, n. 36365, “La L. n. 724 del 1994, art. 30, comma 1, all’epoca vigente, stabilisce, ai fini del superamento del test di operatività, che “agli effetti del presente articolo le società per azioni, in accomandita per azioni, a responsabilità limitata, in nome collettivo e in accomandita semplice, nonché le società e gli enti di ogni tipo non residenti, con stabile organizzazione nel territorio dello Stato, si considerano non operativi se l’ammontare complessivo dei ricavi, degli incrementi delle rimanenze e dei proventi, esclusi quelli straordinari, risultanti dal conto economico, ove prescritto, è inferiore alla somma degli importi che risultano applicando le seguenti percentuali…”. La L. n. 724 del 1994, art. 30, comma 4-bis, vigente nel periodo dal 12 agosto 2006 al 31 dicembre 2006, prevede al comma 4-bis, che “in presenza di oggettive situazioni di carattere straordinario che hanno reso impossibile il conseguimento dei ricavi, degli incrementi di rimanenze e dei proventi nonché del reddito determinati ai sensi del presente articolo, ovvero non hanno consentito di effettuare le operazioni rilevanti ai fini dell’imposta sul valore aggiunto di cui al comma 4, la società interessata può richiedere la disapplicazione delle relative disposizioni antielusive ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 37 bis, comma 8" (…). L’applicazione della disciplina delle società di comodo è subordinata, quindi, all’esito negativo di un test basato su specifici coefficienti matematici, finalizzato ad accertare la non operatività della presunta società di comodo. La determinazione della non operatività si ha quando l’ammontare complessivo dei ricavi, degli incrementi delle rimanenze e dei proventi ordinari, imputati al conto economico, è inferiore a quello dei ricavi figurativi. Si tratta, dunque, di una mera operazione matematica incentrata sull’applicazione di un coefficiente stabilito per legge sul valore di taluni cespiti appartenente alla società. La determinazione dell’imponibile è effettuata sulla base di precisi criteri di legge, che escludono qualsiasi discrezionalità deduttiva, imponendosi sia in sede di accertamento, sia di determinazione giudiziale, salva la prova contraria da parte del contribuente (Cass., sez. 6-5, 5 luglio 2016, n. 13699; Cass., sez. 5, 18 aprile 2018, n. 9461). Dal possesso di alcuni beni, che costituisce allora il fatto noto, si risale, con un’operazione matematica, al reddito, che rappresenta il fatto ignoto, ascrivibile al contribuente (…) Si è affermato, sul punto, che, in materia di società di comodo, l’impossibilità”, per situazioni oggettive di carattere straordinario (ma la locuzione “di carattere straordinario” non è più presente nella norma dal 1 gennaio 2007, a seguito della L. finanziaria 2007, art. 1, comma 109, lett. h,), di conseguire il reddito presunto secondo il meccanismo di determinazione di cui alla L. n. 724 del 1994, art. 30, la cui prova è a carico del contribuente, non va intesa in termini assoluti bensì economici, aventi riguardo alle effettive condizioni del mercato (Cass., sez. 5, 20 giugno 2018, n. 16204; Cass., sez. 5, 3 novembre 2020, n. 24314). Si è precisato che, in tema di società di comodo, il meccanismo di determinazione presuntiva del reddito di cui alla L. n. 724 del 1994, art. 30, superabile mediante prova contraria, non si pone in contrasto con il principio di “proporzionalità”, rispetto al quale, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea (sentenza 13 marzo 2007, causa C524/04) ha affermato che una normativa nazionale che si fondi sull’esame di elementi oggettivi e verificabili per stabilire se un’operazione consista in una costruzione di puro artificio ai soli fini fiscali, e quindi elusiva, va considerata come non eccedente quanto necessario per prevenire pratiche abusive, ove il contribuente sia messo in grado, senza oneri eccessivi, di dimostrare le eventuali ragioni commerciali che giustificano detta operazione (Cass., sez. 5, 20 giugno 2018, n. 16204) (…). L’esistenza di oggettive situazioni che hanno reso impossibile il conseguimento dei ricavi, degli incrementi di rimanenze e dei proventi nonché del reddito, deve essere, dunque, provata dal contribuente, purché tali situazioni oggettive siano specifiche e, soprattutto, indipendenti dalla sua volontà (Cass., sez. 5, 21 ottobre 2015, n. 21358; Cass., sez. 6-5, 12 febbraio 2019, n. 4019). Tra le oggettive situazioni possono rientrare i casi in cui non sono state concesse le necessarie autorizzazioni amministrative (Cass., sez. 5, 30 dicembre 2019, n. 34642 in motivazione), pur essendo state tempestivamente richieste, oppure nel caso in cui venga svolta esclusivamente un’attività di ricerca propedeutica all’esercizio di un’altra attività produttiva, sempre che la stessa attività di ricerca non consenta, di per sé la produzione di beni e servizi e la conseguente realizzazione di proventi (in tal senso vedi Circolare dell’Agenzia delle entrate 2 febbraio 2007, n. 5/E), (…). Le oggettive situazioni che rendono impossibile il conseguimento della soglia dei ricavi e degli altri elementi positivi di reddito non sussistono in caso di carenze “pianificatorie” aziendali o di scelte ed iniziative imprenditoriali libere, come in ipotesi di cessione dei beni aziendali in comodato d’uso gratuito (Cass., sez. 5, 7 dicembre 2020, n. 27976). E’ necessario, per esempio, in caso di inoperatività dipesa dalla mancata costruzione dell’immobile da utilizzare per lo svolgimento dell’attività, la prova che il ritardo sia stato determinato da ragioni estranee al contribuente e non riconducibili alla sua volontà (Cass., sez. 5, 30 dicembre 2019, n. 34642). Anche il mero incremento del patrimonio, come l’acquisizione di un capannone, è di per sé irrilevante, in quanto il test di operatività e la presunzione di inoperatività agiscono su un diverso piano del reddito, nei termini della comparazione tra i ricavi effettivi del conto economico e i ricavi figurativi proiettati dagli (asset). Pertanto, un’operazione “isolatamente” patrimoniale non esprime redditività societaria e, quindi, non confuta la natura fittizia dell’ente, potendo anzi darne la più limpida dimostrazione (Cass., sez. 5, 10 marzo 2017, n. 6195). (…). La ratio dell’istituto è quella di disincentivare il fenomeno dell’uso improprio dello strumento societario, utilizzato come involucro per raggiungere scopi, anche di risparmio fiscale, diversi – quale l’amministrazione dei patrimoni personali dei soci – da quelli previsti dal legislatore per tale istituto (Cass., sez. 5, 21 ottobre 2015, n. 21358). Per tale ragione, si fa riferimento a società “senza impresa”, o di mero godimento, e dunque “di comodo” (cfr. Circolare n. 5/E della Agenzia delle entrate – premessa – “La disciplina fiscale delle società non operative è stata introdotta nel nostro ordinamento della L. 23 dicembre 1994, n. 724, art. 30, allo scopo di contrastare le c.d. società di comodo e, in particolare, di disincentivare il ricorso all’utilizzo dello strumento societario come schermo per nascondere l’effettivo proprietario di beni, avvalendosi delle più favorevoli norme dettate per le società”). Per la dottrina si ritiene che tale disciplina speciale sia sorta allo scopo esclusivo di gestire patrimoni, usufruendo del regime di deduzione analitica delle spese. Pertanto, si è fatto leva su un evidente intento antielusivo del legislatore, teso a penalizzare coloro che intendevano realizzare un risparmio di imposta utilizzando un’interposizione soggettiva nei patrimoni. Per altra parte della dottrina, invece, le disposizioni hanno una giustificazione di tipo “antievasivo”, imperniata su una concezione normativa della società quale modulo organizzativo volto esclusivamente all’effettivo esercizio di un’impresa. Per altri ancora si tratta di una disciplina di contrasto e di svantaggio fiscale, in quanto finalizzata a combattere l’abnorme impiego dello strumento societario. Altra parte della dottrina fa riferimento ad un “polimorfismo normativo”, rispondendo la normativa a più funzioni. Non manca chi evidenzia che la disciplina in esame introduce elementi di tassazione patrimoniale nell’ambito delle imposte sul reddito, in casi in cui le società non producono redditi adeguati (ai) beni posseduti. Infine, si ritiene che le disposizioni speciali per le società di comodo siano finalizzate ad esigenze di cassa, assicurando un concorso alle spese pubbliche pure in assenza di realizzazione del presupposto (…). La L. n. 724 del 1994, art. 30, ha, dunque, la finalità di fungere da antidoto al dilagare di società anomale, utilizzate quale involucro per il perseguimento di finalità estranee alla causa contrattuale, spesso prive di un vero e proprio scopo lucrativo e talvolta strutturalmente in perdita, al fine di eludere la disciplina tributaria. Si intende evitare l’utilizzo dello schema societario, quindi, per il conseguimento di scopi eterogenei rispetto alla normale dinamica degli enti collettivi commerciale (Cass., sez. 5, 3 novembre 2020, n. 24314). Si è chiarito che la “potenzialità imprenditoriale”, comprovata dallo svolgimento o, quantomeno, dalla programmazione di un’attività commerciale finalizzata alla realizzazione di ricchezza, rappresenta l’elemento che condiziona la disciplina fiscale delle singole componenti reddituali e patrimoniale dell’impresa; sicché la produttività, sia pure soltanto programmata ovvero in atto, ma con risultati reddituali inferiori agli (standard) legali detenuti dalla società costituisce condizione necessaria, ancorché non sufficiente, per ottenere la disapplicazione della disciplina antielusiva sulle società di comodo (Cass., sez. 5, n. 31626 del 2019; Cass., sez. 5, 3 novembre 2020, n. 24314).”.

2.1.2. Ciò posto sul piano dei principi di diritto fissati dalla Corte a presidio della disciplina delle società di comodo, nella specie, come sopra accennato (cfr. p. 1. dei “Fatti di causa”), il giudice d’appello ha ritenuto sussistente una causa oggettiva di esclusione dell’applicazione della L. n. 724 del 1994, art. 30, in quanto la contribuente avrebbe dimostrato documentalmente la propria tesi difensiva, ossia le difficoltà incontrate nel reperimento di potenziali locatari per i propri immobili siti in Italia e per quello di *****, non essendo per altro contestata la ricorrenza dell’oggettiva causa di esclusione recata dall’art. 30, in relazione all’immobile oggetto di locazione, a causa dell’impossibilità di modificare i termini del rapporto locatizio in essere.

2.1.3. A giudizio della Corte la sentenza d’appello incorre nel denunciato vizio di legittimità poiché non si confronta con tutti gli elementi oggettivi che, nella prospettiva erariale, dimostravano che (si veda, in termini analoghi, Cass. 14/06/2021, n. 16697, in motivazione) lo strumento societario era stato utilizzato in modo improprio, come mero involucro per raggiungere scopi, anche di risparmio fiscale, diversi (come per esempio l’amministrazione dei patrimoni personali dei soci) da quelli previsti dal legislatore per tale istituto, il che (lo si è accennato al p. 2.1.2.) richiama il concetto di società “senza impresa”, o di mero godimento, e dunque “di comodo”. In dettaglio, si fa riferimento ai seguenti dati: (i) la società era proprietaria di sette immobili; (ii) durante l’intero corso della sua attività (dal 1992 al 2006), essa aveva registrato soltanto due contratti di locazione, uno di un fabbricato e uno di un terreno non edificabile; (iii) i locatari erano i genitori di S.C., legale rappresentante di Eurotur S.p.a.; (iv) il maggior “cliente” di Eurotur S.p.a., lo studio dell’avv. S., e la moglie A.M.T., genitori di S.C., assorbivano insieme il 90,28% del totale dei ricavi iscritti dalla società a conto economico.

3. In conclusione, accolto il secondo motivo di ricorso e dichiarato inammissibile il primo motivo, la sentenza è cassata, in relazione al secondo motivo, con rinvio al giudice a quo, anche per le spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso, dichiara inammissibile il primo motivo, cassa la sentenza impugnata, in relazione al secondo motivo, e rinvia alla Commissione tributaria regionale dell’Umbria, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 11 gennaio 2022.

Depositato in Cancelleria il 18 gennaio 2022

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