LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 1
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –
Dott. MARULLI Marco – Consigliere –
Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –
Dott. SCALIA Laura – Consigliere –
Dott. FALABELLA Massimo – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 12091-2020 proposto da:
Z.L., in proprio e quale legale rappresentante della Z.
COSTRUZIONI SAS, Z.E., F.M.P., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA LIMA, 7, presso l’avvocato ANDREA SORGENTONE, che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato STEFANO CARBONI;
– ricorrenti –
contro
BANCO DI SARDEGNA SPA, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DI MONTE FIORE, 22, presso lo studio dell’avvocato STEFANO GATTAMELATA, rappresentata e difesa dall’avvocato VANESSA PORQUEDDU;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 406/2019 della CORTE D’APPELLO di CAGLIARI SEZIONE DISTACCATA di SASSARI, depositata il 10/09/2019;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non partecipata del 22/10/2021 dal Consigliere Relatore Dott. MASSIMO FALABELLA.
FATTI DI CAUSA
1. – Il Tribunale di Sassari ha accolto la domanda proposta da Z.L., in proprio, oltre che nella qualità di legale rappresentante di Z. Costruzioni s.a.s. (obbligata principale), e di Z.E. e F.M.P. (fideiussori): domande aventi ad oggetto l’accertamento dell’illegittimo addebito di interessi, commissioni e spese su di un conto corrente intrattenuto dalla società da parte del Banco di Sardegna.
2. – La pronuncia è stata riformata in sede di gravame dalla Corte di appello di Cagliari, sezione distaccata di Sassari, la quale ha osservato che “la mancata produzione del contratto e/o la mancata prova che il rapporto giuridico trovasse fondamento in un accordo orale – nemmeno allegato dagli attori nella citazione di primo grado – non consente di valutare la conformità dei documenti contabili inviati al correntista alle specifiche pattuizioni intercorse tra le parti”: in tal senso, la Corte territoriale ha evidenziato difettasse “una chiara allegazione circa la mancata stipula in forma scritta del contratto di conto corrente, rimasta quindi non accertata”. Secondo il giudice dell’impugnazione, dunque, la determinazione dell’indebito lamentato dal correntista “non può prescindere dall’esame dei titoli (contratto di conto corrente, contratto di apertura di credito, etc.) o dall’accertamento della loro originaria inesistenza anche parziale, verifica che condiziona l’entità del tasso debitore da conteggiare (legale, convenzionale, sostitutivo ex art. 117 t.u.b.), la pratica dell’anatocismo post 1 luglio 2000, della commissione di massimo scoperto, se convenuta e correttamente applicata, e di tutte le voci e spese afferenti i doverosi rapporti bancari”.
3. – La sentenza di appello è stata oggetto di una impugnazione per revocazione che l’indicata Corte ha respinto, con sentenza del 10 settembre 2019. A fronte della deduzione dell’errore revocatorio, che sarebbe consistito nel non avere il giudice di appello preso atto della produzione dell’originario contratto di conto corrente del 26 gennaio 1989, è stato osservato che “era onere dell’attore provare la nullità delle condizioni applicate sia rispetto al contratto del 2011”, che non risultava essere acquisito al giudizio, “ma anche agli estratti conto prodotti”. Si legge nella sentenza resa in esito al giudizio di revocazione che gli odierni ricorrenti avrebbero dovuto “dimostrare non solo l’avvenuta esecuzione del pagamento, ma altresì la causa che lo giustificasse, cioè l’inesistenza del vincolo giuridico o il suo successivo venir meno”: in conseguenza – è spiegato nella sentenza qui impugnata – la Corte di appello aveva affermato che spettava alla società correntista e ai suoi fideiussori “dimostrare l’esistenza del contratto ricontrattualizzato del 2011, pacificamente non presente agli atti”. L’errore non avrebbe concretato una mera svista materiale, “ma l’esito di una valutazione giuridicamente argomentata, quindi soggetta ad altra tipologia di impugnazione.
4. – La pronuncia è impugnata per cassazione da Z. Costruzioni s.a.s., Z.L., Z.E. e F.M.P. con un ricorso basato su di un unico motivo. Resiste con controricorso Banco di Sardegna s.p.a., che ha depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. – I ricorrenti denunciano la violazione e falsa applicazione dell’art. 395 c.p.c., n. 4, e la conseguente violazione dell’art. 115 c.p.c., comma 1, e dell’art. 2697 c.c.. Deducono che nella sentenza di appello impugnata per revocazione sia ravvisabile una vera e propria svista materiale su circostanze decisive emergenti direttamente dagli atti di causa: la Corte di appello avrebbe difatti erroneamente ritenuto che la parte attrice non avesse prodotto il contratto del 1989 e mancato di provare che il rapporto era sorto oralmente. Qualora, dunque, la Corte di appello si fosse avveduta del fatto che gli attori avevano provato le nullità di cui avevano domandato l’accertamento, essa non avrebbe proceduto alla riforma della sentenza oggetto di gravame e avrebbe dato atto dell’invalidità di quanto pattuito nel contratto di conto corrente, art. 7, circa la determinazione dell’interesse con rinvio agli usi su piazza, dell’addebito degli interessi anatocistici, in violazione dell’art. 1283 c.c., oltre che dell’illegittima contabilizzazione della commissione di massimo scoperto, in assenza di alcuna pattuizione al riguardo. Gli istanti aggiungono, poi, che la banca aveva semplicemente affermato, e non provato, una ricontrattazione del rapporto nel 2011.
2. – Vanno anzitutto disattese le eccezioni di inammissibilità sollevate dalla controricorrente.
Contrariamente a quanto opposto dal Banco di Sardegna, il contenuto della doglianza formulata dagli odierni istanti risulta ben chiaro: essi hanno difatti lamentato l’impropria riconduzione dell’errore in cui sarebbe incorsa la Corte di appello all’errore di giudizio, piuttosto che all’errore di fatto risultante dagli atti o documenti di causa: e quindi alla fattispecie di cui all’art. 395 c.p.c., n. 4). E’ dedotto, in altri termini, un errore di sussunzione, il quale ricorre quando, in relazione al fatto accertato, la norma non sia stata applicata quando doveva esserlo, ovvero che lo sia stata quando non si doveva applicarla, ovvero che sia stata male applicata (Cass. 15 dicembre 2014, n. 26307; Cass. 24 ottobre 2007 n. 22348). E’ noto, del resto, che il controllo di legittimità non si esaurisce in una verifica di correttezza dell’attività ermeneutica diretta a ricostruire la portata precettiva della norma, ma è esteso alla sussunzione del fatto, accertato dal giudice di merito, nell’ipotesi normativa (Cass. 29 agosto 2019, n. 21772; Cass. 28 novembre 2007, n. 24756). Quanto argomentato, in ricorso, con riguardo al contratto del 2011 – contratto di cui si oppone sia mancata la prova, di cui era onerata la banca -assume poi rilievo sul piano della decisività del vizio revocatorio: gli istanti hanno inteso difatti evidenziare, sul punto, che il rapporto doveva “intendersi regolato, fino a prova contraria, dall’originario contratto del 1989” (che i medesimi ricorrenti avevano versato in atti e di cui la Corte di merito, nella sentenza di appello, aveva affermato non esservi evidenza).
3. – Il ricorso appare fondato.
Nella sentenza di appello, impugnata per revocazione, si assume, a chiare lettere, l’omessa produzione in giudizio del documento contrattuale del 1989: lo ricordano gli odierni ricorrenti, richiamano quanto trascritto a pag. 11 del provvedimento. In detta pronuncia è inoltre affermato – come si è detto – che la determinazione di un indebito da restituire al correntista non poteva prescindere dall’esame del titolo contrattuale o dall’accertamento della originaria inesistenza, totale o parziale, di esso: il che fornisce chiara evidenza del convincimento della Corte di merito circa la mancata produzione di uno scritto che documentasse le condizioni contrattuali (evenienza, quest’ultima, di sicuro rilievo sul piano giuridico, giacché nei rapporti di conto corrente bancario, il cliente che agisca per ottenere la restituzione delle somme indebitamente versate in presenza di clausole nulle, ha l’onere di provare l’inesistenza della causa giustificativa dei pagamenti effettuati mediante la produzione del contratto che contiene siffatte clausole: Cass. 13 dicembre 2019, n. 33009).
La Corte di appello, nella sentenza oggetto del presente giudizio di cassazione, avrebbe dovuto attribuire rilievo al detto convincimento, il quale rifletteva un chiaro errore revocatorio: tale e’, infatti l’errore di percezione o la mera svista materiale che abbia indotto, anche implicitamente, il giudice a supporre l’esistenza o l’inesistenza di un fatto che risulti incontestabilmente escluso o accertato alla stregua degli atti di causa, sempre che il fatto stesso non abbia costituito oggetto di un punto controverso sul quale il giudice si sia pronunciato; errore risultante con immediatezza ed obiettività senza bisogno di particolari indagini ermeneutiche o argomentazioni induttive, ed essenziale e decisivo, nel senso che, in sua assenza, la decisione sarebbe stata diversa (così, da ultimo, Cass. 10 giugno 2021, n. 16439). La Corte di merito ha dunque omesso di individuare, come avrebbe dovuto, l’errore di fatto ex art. 395 c.p.c., n. 4), nella fattispecie portata al suo esame, reputando, a torto, che la sentenza impugnata per revocazione fosse incorsa in un errore di giudizio, quanto al rilievo che assumeva, nella circostanza, la mancata documentazione del contratto del 2011: negozio, questo, che non assume tuttavia alcun rilievo assorbente nell’economia della decisione resa dalla pronuncia revocanda, non comprendendosi, diversamente, il rilievo da essa attribuito al contratto concluso nel 1989.
4. – La sentenza impugnata è dunque cassata, con rinvio della causa alla Corte di appello di Cagliari che, in diversa composizione statuirà pure sulle spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte:
accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte di appello di Cagliari, in diversa composizione, anche per la decisione sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della 6a Sezione Civile, il 22 ottobre 2021.
Depositato in Cancelleria il 19 gennaio 2022