Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.1550 del 19/01/2022

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 15015/2017 proposto da:

C.I.T.A. S.p.a. – Compagnia Italiana Turismo Alberghi S.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via Taranto n. 6, presso lo studio dell’avvocato Altamura Giuseppe, che la rappresenta e difende, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

Banca Monte dei Paschi di Siena S.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via A. Friggeri n. 82, presso lo studio dell’avvocato Fiandanese Mario, che la rappresenta e difende, giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2542/2017 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 19/04/2017;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 05/11/2021 dal Cons. Dott. SOLAINI LUCA.

RILEVATO

che:

C.I.T.A. Compagnia Italiana Turismo Alberghi spa (in seguito, per brevità, CITA) conveniva in giudizio davanti al tribunale di Roma, la Banca Antonveneta spa, chiedendone la condanna al pagamento delle somme percepite indebitamente nell’ambito del rapporto di conto corrente, già operativo dal ***** e con riferimento al periodo 1993-2004, a causa dell’applicazione illegittima di interessi in misura superiore a quella legale, di commissioni di massimo scoperto, della capitalizzazione trimestrale di interessi, spese e commissioni.

Il tribunale di Roma rigettava la domanda, per mancata produzione del contratto di conto corrente, a cui era onerata la società correntista, ex art. 2697 c.c., al fine di consentire al tribunale di accertare l’esistenza delle dedotte nullità e di accogliere la domanda verificando l’indebitum perceptum. Ad avviso del tribunale, l’ordine di esibizione, ex art. 210 c.p.c., non poteva essere emanato, perché la società istante avrebbe potuto acquisire di propria iniziativa la documentazione in questione e solo se avesse dimostrato di aver esercitato invano la facoltà di cui al D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 119, n. 4, poteva dimostrarsi l’indispensabilità del predetto ordine di esibizione.

C.I.T.A. proponeva appello che veniva rigettato.

A supporto dei propri assunti, la Corte territoriale ha ritenuto che la richiesta di esibizione, ex art. 210 c.p.c., della documentazione bancaria, avanzata da parte appellante era inammissibile, perché aveva ad oggetto documenti che, laddove non posseduti, la medesima appellante avrebbe potuto acquisire in forza dell’art. 119 comma 4 TUB e, quindi, allegarli agli atti, mentre la CTU non è un mezzo volto a sopperire l’inerzia probatoria della parte.

C.I.T.A. ricorreva per cassazione sulla base di due motivi, illustrati da memoria, mentre MPS spa ha resistito con controricorso, anch’esso illustrato da memoria.

CONSIDERATO

che:

Con il primo motivo di ricorso, la banca ricorrente deduce la violazione degli artt. 2967,1284 e 1283 c.c., degli artt. 117 e 127TUB, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, perché la Corte d’appello aveva presupposto un onere probatorio a carico di essa appellante relativo alla necessità di produrre il contratto di conto corrente contente le clausole che regolavano il rapporto e quelle della collegata apertura di credito, senza considerare che: a) da nessun elemento acquisito al processo risultava l’esistenza di un contratto scritto, che perciò non avrebbe potuto essere prodotto; b) la sua produzione non era comunque necessaria in quanto l’applicazione dell’anatocismo è illegittima per legge e l’applicazione di interessi ultralegali è del pari vietata in difetto di pattuizione scritta. La ricorrente aveva dunque assolto al suo onere probatorio con la produzione degli estratti conto e degli estratti scalari relativi al periodo contrattuale oggetto della domanda.

Con il secondo motivo, la società ricorrente prospetta il vizio di nullità della sentenza impugnata per assenza di motivazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, nella parte in cui sostiene che la CITA spa non avrebbe dimostrato di avere esercitato invano la facoltà di cui all’art. 119, comma 4 TUB, pur risultando dagli atti che espressamente la banca aveva dichiarato di non aver reperito né il contratto di conto corrente né quello di apertura di credito, pur all’esito di specifiche ricerche.

Il primo e il secondo motivo che possono essere oggetto di un esame congiunto sono parzialmente fondati.

Va premesso che grava sull’attore in ripetizione dell’indebito la prova dell’inesistenza di una giusta causa dell’attribuzione patrimoniale compiuta in favore del convenuto (ex multis, 14428/21, 11294/20, 33009/19, 30822/18, 7501/12), ancorché si tratti di prova di un fatto negativo. Inoltre non è esatto che, ai fini della dimostrazione dell’indebito da pagamento di interessi anatocistici o a tasso ultralegale sia sufficiente dimostrare, come sostiene la ricorrente, l’avvenuto pagamento degli stessi (per provare il quale basta effettivamente la produzione degli estratti conto) essendo la legge a vietarne la corresponsione: vero è infatti, al contrario, che la legge, sia per gli uni che per gli altri, consente alle parti di concordarne il pagamento in particolari situazioni. E così, l’art. 1283 c.c., pur vietando in linea di principio che gli interessi scaduti producano a loro volta ulteriori interessi, lo consente tuttavia “per effetto di convenzione posteriore alla loro scadenza” e anche l’art. 120 TUB dà ampio spazio a convenzioni giustificative dell’anatocismo; analogamente, l’art. 1284 c.c., e l’art. 117 TUB consentono la pattuizione di interessi a tasso superiore a quello legale. Grava, conseguentemente, sull’attore in ripetizione di indebito anche la prova negativa, dell’inesistenza di tali accordi tra le parti.

E’ pur vero, tuttavia, che la produzione del contratto a base del rapporto bancario è a tal fine per un verso non indispensabile e per altro verso neppure sufficiente. Non è sufficiente perché, anche una volta che sia stato esibito il contratto, resta possibile che l’accordo sia stato stipulato con un atto diverso e successivo; non è soprattutto – indispensabile perché anche altri mezzi di prova, quali le presunzioni unitamente agli argomenti di prova ricavabili dal comportamento processuale della controparte, ai sensi dell’art. 116 c.p.c., comma 2, nonché al limite il giuramento, possono valere allo scopo di dimostrare l’assenza dei fatti costitutivi del debito dell’attore.

Ha dunque errato la Corte d’appello nell’attribuire alla produzione del contratto di conto corrente valenza decisiva ed esclusiva quanto alla prova della domanda attorea, senza darsi carico di valutare anche gli elementi di giudizio atti a fondare la prova presuntiva invocata dall’appellante, così come il comportamento processuale della banca appellata. Quali siano, tuttavia, le conseguenze da trarre, sulla fondatezza della domanda, da tali elementi, è compito riservato al giudice del merito e che non può essere svolto nel giudizio di legittimità.

In accoglimento del ricorso, nei sensi di cui in motivazione, la sentenza va cassata con rinvio alla Corte d’appello di Roma, affinché, alla luce di quanto sopra esposto, riesamini il merito della controversia.

P.Q.M.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

Accoglie il ricorso, nei sensi di cui in motivazione.

Cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del presente giudizio di legittimità, alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 5 novembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 19 gennaio 2022

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