Corte di Cassazione, sez. II Civile, Ordinanza n.1552 del 19/01/2022

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – rel. Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20270/2017 proposto da:

R.S., R.S. e M.P., tutti rappresentati e difesi dall’Avv. VANNI MARIA OGGIANO, ed elettivamente domiciliato presso il suo studio in SASSARI, Via TORRES 27;

– ricorrenti –

contro

P.C., e C.A., entrambi rappresentati e difesi dall’Avv. ANTONELLO SATTA, e ALESSANDRO GUIDO DEMARTIS ed elettivamente domiciliati presso lo studio dell’Avv. RAIMONDO DETTORI in ROMA, Via dei GRACCHI 123;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 183/217 della CORTE d’APPELLO di CAGLIARI pubblicata il 18/05/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 15/09/2021 dal Consigliere Dott. UBALDO BELLINI.

FATTI DI CAUSA

Con sentenza n. 913/2011 il Tribunale di Sassari rigettava la domanda proposta da R.S. nei confronti di P.C. e C.A. al fine di ottenere ex art. 2932 c.c. il trasferimento dell’immobile promesso in vendita, sito in *****, distinto al catasto al foglio *****, mappali *****. La attrice tra l’altro lamentava l’erronea interpretazione del contratto, là dove il Tribunale aveva qualificato come termine essenziale quello relativo al pagamento del corrispettivo ed aveva imputato all’acquirente il ritardo nella trascrizione del decreto di trasferimento, invece che alla violazione delle disposizioni di cui all’art. 2671 c.c., da parte dei soggetti obbligati, senza valutare altresì la condotta posta in essere dai convenuti, i quali, in epoca immediatamente successiva alla notifica della citazione, avevano iscritto ipoteca volontaria sull’immobile oggetto di preliminare per la somma di Euro 340.000,00 a garanzia di un mutuo loro concesso.

Si costituivano in giudizio P.C. e C.A. contestando tutti i motivi dell’impugnazione e chiedendo la conferma della gravata sentenza.

Con sentenza n. 183/2017, depositata in data 18.5.2017, la Corte d’Appello di Cagliari accoglieva parzialmente l’appello e in riforma della sentenza di primo grado dichiarava l’inammissibilità della domanda riconvenzionale proposta da P.C. e C.A., confermando per il resto la sentenza impugnata; condannava la R. al pagamento delle spese di lite del grado di appello. In particolare, la Corte di merito affermava che fosse pacifica la stipulazione di un contratto preliminare di compravendita di un immobile (i cui promittenti venditori erano aggiudicatari nell’ambito di procedura esecutiva immobiliare in danno di R.S. e M.P., genitori di S.) con il quale era stato concordato il prezzo di Euro 250.000,00 e i tempi di pagamento che doveva avvenire, quanto a Euro 30.000,00, al momento della sottoscrizione del preliminare e ai residui 220.000,00 al momento della stipula del definitivo fissata al 28.2.2009, precisando che tale pagamento doveva essere corrisposto anche ove l’atto pubblico non si fosse potuto perfezionare per causa non imputabile ai venditori; per tale ipotesi le parti avevano stabilito che i promittenti venditori si obbligavano a stipulare il definitivo a semplice richiesta della promittente acquirente, successivamente al pagamento del saldo. La Corte d’Appello rilevava che il Tribunale aveva interpretato la clausola n. 6 del contratto inter partes escludendo che disponesse la risoluzione espressa di cui all’art. 1456 c.c.. Quanto all’eccezione di inammissibilità della domanda riconvenzionale con la quale i convenuti chiedevano, in via subordinata, la pronuncia di risoluzione giudiziale del preliminare per inadempimento della promittente acquirente, la Corte territoriale evidenziava che la comparsa di costituzione e risposta, con cui era sollevata tale domanda, era stata depositata tardivamente, oltre il termine di 20 giorni di cui all’art. 167 c.p.c., per cui la domanda riconvenzionale doveva essere dichiarata inammissibile.

Riguardo al secondo motivo dell’appello, ne deduceva l’infondatezza in quanto il complesso delle clausole consentiva di qualificare come essenziale il termine stabilito per il pagamento del saldo. Dalle espressioni adoperate dai contraenti, dalla natura e dall’oggetto del contratto, il termine fissato per il pagamento doveva ritenersi essenziale atteso che risultava inequivocabile la volontà della parte promittente venditrice di considerare ormai perduta l’utilità economica del contratto con l’inutile decorso del termine.

Avverso detta sentenza propongono ricorso per cassazione R.S., R.S. e M.P. sulla base di due motivi, illustrati da memoria. Resistono P.C. e C.A. con controricorso.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.1. – Con il primo motivo, i ricorrenti lamentano la “Violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 con riferimento agli artt. 1362,1363,1456,1457 e 2932 c.c.”. Le parti, alla clausola n. 6) del preliminare in oggetto, avevano specificamente pattuito che “il mancato rispetto da parte di entrambi i contrenti di qualunque clausola ne avrebbe determinato l’immediata risoluzione con obbligo della restituzione del doppio di quanto ricevuto a titolo di caparra e di saldo da parte dei promittenti venditori e di perdita di quanto versato da parte della promittente acquirente”. Sebbene, con il fax del 4.3.2009, i resistenti avessero esercitato la facoltà di ritenere risolto l’intero contratto in applicazione dell’art. 1456 c.c., in base alla detta clausola n. 6), la ricorrente osservava che nel corso del processo i medesimi non avevano avanzato eccezioni o richieste finalizzate a far dichiarare risolto il contratto in oggetto ex art. 1457 c.c., a conferma dell’inesistenza di alcun termine essenziale apposto al contratto preliminare, dando prova che mai termine essenziale fosse stato convenuto; e posto che, ai sensi della suddetta norma, in mancanza di espressa dichiarazione in cui si esige l’esecuzione nonostante la scadenza del termine, entro tre giorni dalla scadenza, il contratto si intende risoluto di pieno diritto. Inoltre, la ricorrente sottolinea che dalla citazione del primo grado risultava l’offerta di pagamento del prezzo, banco iudicis, della somma dovuta, offerta rimasta immutata durante tutto il giudizio ma postergata al momento in cui fosse passata in giudicato la sentenza di esecuzione in forma specifica richiesta, stante l’ipoteca iscritta dai resistenti nelle more del giudizio.

1.2. – Con il secondo motivo, la ricorrente deduce la “Nullità della sentenza ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 con riferimento all’art. 112 c.p.c.”, giacché le parti avevano convenuto un termine essenziale nel contratto preliminare, senza che mai alcuna di loro avesse rivendicato di aver pattuito un termine essenziale. Pertanto, la sentenza impugnata, laddove accertava l’esistenza di tale termine essenziale, avrebbe dovuto essere dichiarata nulla per violazione dell’art. 112 c.p.c..

2. – I motivi, da esaminarsi e decidersi congiuntamente, essendo il secondo conseguenziale rispetto al primo, non sono fondati.

2.1. – Risulta consolidato che in tema di interpretazione del contratto, l’accertamento, anche in base al significato letterale delle parole, della volontà degli stipulanti, in relazione al contenuto del negozio (cfr. Cass. n. 18509 del 2008), si traduce in un’indagine di fatto affidata in via esclusiva al giudice di merito, e tale accertamento è censurabile in sede di legittimità soltanto per vizio di motivazione (Cass. n. 1646 del 2014), nel caso in cui (contrariamente a quanto risulta nella presente fattispecie) la motivazione stessa risulti talmente inadeguata da non consentire di ricostruire l’iter logico seguito dal giudice per attribuire all’atto negoziale un determinato contenuto, oppure nel caso di violazione delle norme ermeneutiche; con la precisazione che nessuna di tali censure può risolversi in una critica del risultato interpretativo raggiunto dal giudice, che si sostanzi nella mera contrapposizione di una differente interpretazione (tra le tante, Cass. n. 26683 del 2006; Cass. n. 18375 del 2006; Cass. n. 1754 del 2006).

Per sottrarsi al sindacato di legittimità, infatti, quella data dal giudice del merito al contratto non deve essere l’unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, ma una delle possibili e plausibili interpretazioni; sì che quando di una clausola contrattuale siano possibili due o più interpretazioni, non è consentito, alla parte che aveva proposto la interpretazione poi disattesa dal giudice del merito, dolersi in sede di legittimità che sia stata privilegiata l’altra (Cass. n. 8909 del 2013; Cass. n. 24539 del 2009; Cass. n. 15604 del 2007; Cass. n. 4178 del 2007; Cass. n. 17248 del 2003).

1.3. – Nella specie, già il Tribunale si era attenuto un corretto uso dei criteri ermeneutici previsti dall’art. 1362 c.c. e ss., derivando la propria interpretazione da una lettura attenta del significato letterale delle parole corredata dalla ricerca della comune volontà delle parti. Sicché, la Corte distrettuale correttamente rilevava che il complesso delle clausole che determinavano l’assetto contrattuale consentiva di qualificare come essenziale il termine stabilito per il pagamento del saldo, poiché nella funzione del contratto la data del 28 febbraio costituiva il momento fondamentale nel meccanismo di corrispettività delle reciproche obbligazioni essendo evidente evidentemente destinato a consentire la soddisfazione del credito nella procedura esecutiva: infatti le parti pur prevedendo l’ipotesi che si verificasse l’impossibilità della stipula definitiva alla data fissata non ne facevano derivare la facoltà per la promettente acquirente di posticipare il pagamento del resto del saldo anzi avevano stabilito che solo in caso di pagamento effettuato entro la data prevista i promittenti venditori avrebbero posticipato la stipula inoltre dalla lettura del preliminare non si evince alcun condizionamento dell’obbligazione del pagamento del prezzo all’accensione di un mutuo: giacché la clausola n. 3) stabiliva che il pagamento del prezzo al momento della sottoscrizione del definitivo potesse avvenire anche con il ricavato di un mutuo, da richiedersi (nella parte promittente acquirente) sue totali cure e spese ad istituto bancario di sua fiducia) (sentenza impugnata, pag. 7).

1.3. – Secondo la Corte distrettuale, pertanto, tenuto conto delle espressioni adoperate dai contraenti, dalla natura ed all’oggetto del contratto, il termine fissato per il pagamento doveva e poteva ritenersi essenziale ai sensi dell’art. 1457 c.c., atteso che risultava inequivocabile la volontà della parte promittente venditrice di considerare ormai perduta l’utilità economica del contratto con l’inutile decorso del termine.

Tali valutazioni si sottraggono al sindacato di legittimità, avendo la Corte territoriale proceduto alla ricostruzione della comune intenzione dei contraenti, nel rispetto delle regole di ermeneutica contrattuale poste dagli artt. 1362 e 1363 c.c., sulla base del tenore letterale e di una lettura della clausola in esame, ovviamente riferita anche al contenuto dell’accordo negoziale e comportamentale, con una motivazione esauriente ed immune da vizi logici. Sicché, “In tema di contratto preliminare di compravendita, il termine stabilito per la stipulazione del contratto definitivo non costituisce normalmente un termine essenziale, il cui mancato rispetto legittima la dichiarazione di scioglimento del contratto. Tale termine può ritenersi essenziale, ai sensi dell’art. 1457 c.c., solo quando, all’esito di indagine istituzionalmente riservata al giudice di merito, da condursi alla stregua delle espressioni adoperate dai contraenti e, soprattutto, della natura e dell’oggetto del contratto (e, quindi, insindacabile in sede di legittimità se logicamente ed adeguatamente motivata in relazione a siffatti criteri), come nella specie, risulti inequivocabilmente la volontà delle parti di considerare ormai perduta l’utilità economica del contratto con l’inutile decorso del termine” (Cass. n. 3645 del 2007; conf. Cass. n. 21587 del 2007).

2. – Con il secondo motivo, la ricorrente deduce la “Nullità della sentenza ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 con riferimento all’art. 112 c.p.c.”, giacché le parti avevano convenuto un termine essenziale nel contratto preliminare, senza che mai alcuna di loro avesse rivendicato di aver pattuito un termine essenziale. Pertanto, la sentenza impugnata, là dove accertava l’esistenza di tale termine essenziale, avrebbe dovuto essere dichiarata nulla per violazione dell’art. 112 c.p.c..

2.1. – Il motivo è inammissibile.

2.2. – Il potere-dovere del giudice di inquadrare nella esatta disciplina giuridica i fatti e gli atti che formano oggetto della contestazione incontra il limite del rispetto del petitum e della causa petendi, sostanziandosi nel divieto di introduzione di nuovi elementi di fatto nel tema controverso, sicché il vizio di ultra o extra petizione ricorre quando il giudice di merito, alterando gli elementi obiettivi dell’azione (petitum o causa petendi), emetta un provvedimento diverso da quello richiesto (petitum immediato), oppure attribuisca o neghi un bene della vita diverso da quello conteso (petitum mediato), così pronunciando oltre i limiti delle pretese o delle eccezioni fatte valere dai contraddittori (Cass. n. 18868 del 2015; conf. Cass. n. 9002 del 2018; Cass. n. 8048 del 2019).

2.3. – Tuttavia, a ben vedere, nessuna delle censure mosse risulta riconducibile ad un vizio di legittimità, trattandosi solo ed esclusivamente di una richiesta reiterazione dei fatti di causa e delle richieste nel merito, che non può trovare accoglimento in sede di sindacato di legittimità.

Anche il motivo all’esame si presenta privo di una precisa identificazione, necessaria, appunto, per evidenziarne e compiutamente individuarne il preciso contenuto ed analizzarne la fondatezza o meno, sia in generale che riguardo ai singoli fatti proposti. Le censure, in tale modo articolate, risultano allora eterogenee e rapsodiche, contraddistinte piuttosto dall’evidente scopo di contestare globalmente le motivazioni poste a sostegno della decisione impugnata, risolvendosi, in buona sostanza, nella richiesta di una inammissibile generale (ri)valutazione alternativa delle ragioni poste a fondamento della sentenza impugnata, in senso antagonista rispetto a quella compiuta dal giudice di appello (Cass. n. 1885 del 2018); così, inammissibilmente, rimettendo nella sostanza al giudice di legittimità il compito di isolare le singole doglianze teoricamente proponibili onde ricondurle a uno dei mezzi di impugnazione enunciati dal citato art. 360 c.p.c., per poi ricercare quali disposizioni possano essere utilizzabili allo scopo; in sostanza, attribuendo al giudice di legittimità il compito di dar forma e contenuto giuridici alle generiche censure del ricorrente, per poi decidere su di esse.

3. – Il ricorso va dunque rigettato. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo. Va emessa la dichiarazione D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 13, comma 1 quater.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la società ricorrente al pagamento in favore dei controricorrenti delle spese del presente grado di giudizio, che liquida in complessivi Euro 4.000,00 di cui Euro 200,00 per rimborso spese vive, oltre al rimborso forfettario spese generali, in misura del 15%, ed accessori di legge. Ex D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 15 settembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 19 gennaio 2022

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