Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.1562 del 19/01/2022

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere –

Dott. MACRI’ Ubalda – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 16686/2020 proposto da:

A.M.M., elettivamente domiciliato in Lecce, via S.

Trinchese n. 68, presso lo studio dell’avv. M. R. Faggiano, che lo rappresenta e difende, per procura in atti.

– ricorrente –

contro

Ministero Dell’Interno, *****;

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di LECCE, depositato il 25/03/2020;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 11/05/2021 dal Cons. Dott. SOLAINI LUCA.

RILEVATO

che:

Il Tribunale di Lecce ha respinto il ricorso proposto da A.M.M. cittadino pakistano, avverso il provvedimento della competente Commissione territoriale che aveva negato al richiedente asilo il riconoscimento della protezione internazionale anche nella forma sussidiaria e di quella umanitaria.

Il ricorrente ha riferito di aver lasciato il proprio paese nel 2016 dopo aver subito un attacco da alcune persone a viso coperto mentre stava pregando nella moschea. Il richiedente ha aggiunto di essere stato ricoverato 3 giorni per le ferite riportate ma di non conoscere i suoi aggressori e di non aver ricevuto minacce. Il ricorrente ha, altresì, esposto di aver denunciato l’accaduto alla polizia ma di non sentirsi sicuro in Pakistan. A supporto della decisione di rigetto, il tribunale ha ritenuto che i fatti narrati non si riferissero a motivi di persecuzione per come previsti dalla normativa e anche se veritieri non integravano gli estremi della protezione internazionale. Il tribunale ha reputato, altresì, insussistenti i presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria per l’assenza sia del pericolo di un grave danno che per l’assenza di una situazione di violenza indiscriminata nella zona di provenienza e non ha ravvisato neppure la ricorrenza di gravi motivi di carattere umanitario.

Contro il decreto del medesimo Tribunale è ora proposto ricorso per cassazione sulla base di cinque motivi.

Il Ministero dell’Interno non ha spiegato difese scritte.

CONSIDERATO

che:

Il ricorrente censura la decisione del Tribunale: (i) sotto un primo profilo, per nullità del provvedimento impugnato, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione al mancato rispetto del principio di immediatezza; (ii) sotto un secondo profilo, per violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8 e 35 bis, D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 1, 3, 14 e 16 e dell’art. 6 CEDU, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per omesso esame di un fatto decisivo e violazione del giusto processo, non avendo il giudice di merito disposto l’audizione del ricorrente; (iii) sotto un terzo profilo, per il vizio di nullità della sentenza o del procedimento per violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione alla domanda di accertamento della protezione internazionale, perché il tribunale non avrebbe esplicitato i motivi di rigetto della domanda del richiedente; (iv) sotto un quarto profilo, per violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3, 5 e art. 14, lett. b, c, nonché del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3 e art. 35 bis, comma 9, per il mancato riconoscimento della protezione sussidiaria; (v) sotto un quinto profilo, per violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, comma 9, nonché del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 19, comma 1 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3, per il mancato riconoscimento della protezione umanitaria.

Il primo motivo è infondato.

Secondo la giurisprudenza di questa Corte, “Non è affetto da nullità il procedimento nel cui ambito un giudice onorario di tribunale, su delega del giudice professionale designato per la trattazione del ricorso, abbia proceduto all’audizione del richiedente la protezione ed abbia rimesso la causa per la decisione al collegio della Sezione specializzata in materia di immigrazione, atteso che, ai sensi del D.Lgs. n. 116 del 2017, art. 10, commi 10 e 11, tale attività rientra senza dubbio tra i compiti delegabili al giudice onorario in considerazione della analogia con l’assunzione dei testimoni e del carattere esemplificativo dell’elencazione ivi contenuta” (Cass. sez. un. 5425/21).

Nel caso di specie, il Got ha correttamente trattato la causa sulla base di una rituale delega del giudice designato per poi rimettere il fascicolo al giudice titolare. Inoltre, la redazione materiale dell’ordinanza da parte di una stagista, non toglie che il controllo, la supervisione ed in buona sostanza la paternità del provvedimento è senz’altro da riferirsi al Collegio giudicante.

Il secondo motivo è infondato.

Secondo la giurisprudenza di questa Corte, “Nei giudizi in materia di protezione internazionale il giudice, in assenza della videoregistrazione del colloquio svoltosi dinanzi alla Commissione territoriale, ha l’obbligo di fissare l’udienza di comparizione, ma non anche quello di disporre l’audizione del richiedente, a meno che: a) nel ricorso non vengano dedotti fatti nuovi a sostegno della domanda (sufficientemente distinti da quelli allegati nella fase amministrativa, circostanziati e rilevanti); b) il giudice ritenga necessaria l’acquisizione di chiarimenti in ordine alle incogruenze o alle contraddizioni rilevate nelle dichiarazioni del richiedente; c) il richiedente faccia istanza di audizione nel ricorso, precisando gli aspetti in ordine ai quali intende fornire chiarimenti e sempre che la domanda non venga ritenuta manifestamente infondata o inammissibile” (Cass. n. 21584/20).

Nel caso di specie, il tribunale ha ritenuto il ricorrente credibile, ma ha concluso che la sua domanda era manifestamente infondata già sulla scorta delle sue stesse dichiarazioni.

Il terzo motivo è inammissibile, perché critica genericamente l’ordinanza senza aggredire nessuna specifica ratio decidendi.

Il quarto motivo è inammissibile, perché solleva censure di merito sull’accertamento di fatto condotto dal tribunale sulla situazione politica e sociale del Pakistan, alla luce delle fonti informative consultate, che il richiedente contesta ma in termini di mero dissenso, avendo solo indicato di aver fatto riferimento, nel ricorso introduttivo ad alcuni articoli sui conflitti esistenti nel paese.

Il quinto motivo è infondato, in quanto la valutazione comparativa della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al paese d’origine per verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti fondamentali (Cass. n. 4455/18), è stata effettuata dal Tribunale che ha accertato, con giudizio di fatto, l’insussistenza di situazioni di vulnerabilità meritevoli di tale protezione (il radicamento sul territorio nazionale non è stato reputato sufficiente, né sono state accertate patologia di rilievo).

La mancata costituzione dell’amministrazione statale esonera il collegio dal provvedere sulle spese.

PQM

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

Rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, ove dovuto, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello corrisposto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 16 aprile 2021.

Depositato in Cancelleria il 19 gennaio 2022

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