Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.1563 del 19/01/2022

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ACIERNO Maria – Presidente –

Dott. MELONI Marina – rel. Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 1931/2019 proposto da:

K.O., elettivamente domiciliato in Roma Via Cesare Massini, 69, presso lo studio dell’avvocato De Angelis Marco, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato Brunelli David;

– ricorrente –

contro

Ministero Dell’Interno;

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di LECCE, depositato il 05/12/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 24/09/2021 da Dott. MELONI MARINA.

FATTO E DIRITTO

Il Tribunale di Lecce sezione specializzata per la protezione internazionale, con provvedimento in data 5/12/2018, ha confermato il provvedimento di rigetto pronunciato dalla Commissione Territoriale per il riconoscimento della Protezione Internazionale di Lecce in ordine alle istanze avanzate da K.O. nato ***** volte, in via gradata, ad ottenere il riconoscimento dello status di rifugiato, il riconoscimento del diritto alla protezione sussidiaria ed il riconoscimento del diritto alla protezione umanitaria.

Il richiedente aveva riferito alla Commissione Territoriale per il riconoscimento della Protezione Internazionale di Lecce di essere fuggito dal proprio paese in quanto era stato accusato di un omicidio di rilievo politico dagli esponenti del movimento ***** i quali avevano anche distrutto la sua casa e picchiato la sua famiglia Il Tribunale di Lecce in particolare ha escluso le condizioni previste per il riconoscimento del diritto al rifugio D.Lgs. n. 251 del 2007, ex artt. 7 e 8, ed i presupposti richiesti dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, per la concessione della protezione sussidiaria, non emergendo elementi idonei a dimostrare che il ricorrente potesse essere sottoposto nel paese di origine a pena capitale o a trattamenti inumani o degradanti. Nel contempo il collegio di merito ha negato la sussistenza di una situazione di elevata vulnerabilità individuale.

Avverso il decreto del Tribunale di Lecce ha proposto ricorso per cassazione il ricorrente affidato a cinque motivi e memoria. Il Ministero dell’Interno non ha spiegato difese.

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di ricorso il ricorrente denuncia la violazione e falsa del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 e D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8,14 e 35 bis, nullità della sentenza in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, in quanto il Giudice Territoriale non aveva approfondito l’esistenza di un pericolo di danno grave alla vita o alla persona che giustificava il riconoscimento della protezione sussidiaria.

Con il secondo e terzo motivo di ricorso il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 7 ed 8 ed D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8,14 e 35 bis, nullità della sentenza in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, in quanto il Giudice Territoriale non aveva approfondito l’esistenza di un pericolo di persecuzione alla persona che giustificava il riconoscimento della protezione sussidiaria.

Con il quarto motivo di ricorso il ricorrente denuncia omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti e nullità della sentenza o del procedimento in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 5, in quanto il Giudice Territoriale non aveva approfondito le ragioni ed i motivi esposti dal ricorrente che giustificavano il riconoscimento della protezione sussidiaria, sempre in relazione ai fatti persecutori e alle minacce ricevute.

Con il quinto motivo di ricorso il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, ed D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8,14 e 35 bis, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, in quanto il giudice di merito, nonostante la situazione di vulnerabilità e le violenze subite dal ricorrente, non ha riconosciuto il diritto alla protezione umanitaria in particolare senza tener conto della integrazione raggiunta in Italia.

I primi quattro motivi di ricorso sono inammissibili in quanto contengono una serie di critiche agli accertamenti in fatto svolti dal Tribunale territoriale sollecitandone un riesame di merito. In particolare, deve rilevarsi che sia pure sinteticamente ma con motivazione adeguata, la vicenda persecutoria narrata non è stata ritenuta credibile né ai fini del riconoscimento del diritto al rifugio politico né in relazione alle ipotesi individualizzanti della protezione sussidiaria ed a questo giudizio le censure replicano solo contrapponendo un alternativo ed inammissibile scrutinio di attendibilità soggettiva ed oggettiva del ricorrente. (Cass., 07/12/2017, n. 29404; Cass., 04/08/2017, n. 19547; Cass., 02/08/2016, n. 16056).

E’ invece, fondato il quinto motivo nei limiti di cui in motivazione.

Il ricorrente ha puntualmente allegato l’esistenza di una specifica situazione di radicamento ed integrazione, derivante da una stabile collocazione lavorativa e la condizione di estrema ed inemendabile povertà nella quale si troverebbe a versare nel proprio paese. Il Tribunale ha ignorato il primo elemento di comparazione e non ha esplorato, attivando il dovere di cooperazione istruttoria officiosa, attribuitogli dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, la fondatezza dell’allegazione relativa alla situazione oggettiva. Così operando non ha fatto buon governo dei principi elaborati al riguardo da questa Corte (Cass. 17169 del 2019), di recente rafforzati dalla pronuncia delle S.U. n. 24413 del 2021 così massimata: “In base alla normativa del testo unico sull’immigrazione anteriore alle modifiche introdotte dal D.L. n. 113 del 2018, ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria, occorre operare una valutazione comparativa tra la situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al paese di origine e la situazione d’integrazione raggiunta in Italia, attribuendo alla condizione del richiedente nel paese di provenienza un peso tanto minore quanto maggiore risulti il grado di integrazione che il richiedente dimostri di aver raggiunto nella società italiana, fermo restando che situazioni di deprivazione dei diritti umani di particolare gravità nel paese originario possono fondare il diritto alla protezione umanitaria anche in assenza di un apprezzabile livello di integrazione in Italia; qualora poi si accerti che tale livello è stato raggiunto e che il ritorno nel paese d’origine renda probabile un significativo scadimento delle condizioni di vita privata e/o familiare tali da recare un “vulnus” al diritto riconosciuto dall’art. 8 della Convenzione EDU, sussiste un serio motivo di carattere umanitario, ai sensi del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, per riconoscere il permesso di soggiorno”.

Peraltro lo stesso Tribunale ha affermato che risulta dimostrata una stabile attività lavorativa del ricorrente nel nostro paese e, ciò nonostante, ha rigettato la domanda di protezione umanitaria “in difetto di ragioni ostative ad un suo reinserimento lavorativo nel paese di provenienza” senza effettuare alcun effettivo giudizio di comparazione e volgendo una prognosi meramente astratta ed ipotetica.

In conclusione, deve essere accolto il ricorso proposto limitatamente al quinto motivo, inammissibili i primi quattro, cassata la sentenza impugnata, con rinvio al giudice di merito in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità, affinché si attenga al principio di diritto stabilito dalle S.U. e svolga una valutazione effettiva del percorso di integrazione, tenendo conto della condizione di stabilità lavorativa e del dovere di cooperazione istruttoria cui è tenuto nell’esame della situazione attuale del paese di origine in relazione alle allegazioni del ricorrente fondate sull’impossibilità di raggiungere un livello anche minimo di esistenza dignitosa nel paese di origine.

Il Tribunale in sede di rinvio deciderà anche sulle spese processuali del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Accoglie il quinto motivo di ricorso, inammissibili gli altri, cassa il provvedimento impugnato e rinvia al Tribunale di Lecce in diversa composizione anche per le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile della Corte di Cassazione, il 24 settembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 19 gennaio 2022

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