LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FRASCA Raffaele Gaetano Antonio – Presidente –
Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –
Dott. SCARANO Luigi Alessandro – rel. Consigliere –
Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –
Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 10377/2019 proposto da:
P.P., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA SENECA 46, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO PALA, che la rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
CONDOMINIO *****, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA TUNISI 4, presso lo studio dell’avvocato PAOLO DALLA GRANA, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato CHRISTIAN G1ANGRANDE;
– controricorrente –
e contro
L.A., titolare dell’omonima impresa individuale;
– intimato –
avverso la sentenza n. 1046/2019 del TRIBUNALE di ROMA, depositata il 16/1/2019;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 2/3/2021 dal Consigliere Dott. LUIGI ALESSANDRO SCARANO.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza del 16/1/2019 il Tribunale di Roma, in accoglimento dei gravami interposto dal Condominio *****, in via principale, e dal sig. L.A. – titolare dell’omonima impresa individuale-, in via incidentale, e in conseguente riforma della pronunzia G. di P. Roma n. 36105 del 2017, ha rigettato la domanda originariamente nei loro confronti proposta dalla sig. P.P. di risarcimento dei danni lamentati “al proprio immobile in particolare al locale bagno nel corso dei lavori di rifacimento del terrazzo sovrastante, eseguiti dal L. – nella qualità – su incarico del Condominio.
Avverso la suindicata pronunzia del giudice dell’appello la P. propone ora ricorso per cassazione, affidato a 5 motivi, illustrati da memoria.
Resistono con separati controricorsi il L. – nella qualità – e il Condominio.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il 1 motivo la ricorrente denunzia “violazione o falsa applicazione” dell’art. 342 c.p.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.
Si duole non essersi dalla corte di merito considerato che “gli atti d’appello mancano non solo della forma classica del gravame ma anche degli elementi costitutivi dello stesso”.
Con il 2 motivo denunzia “omesso esame” di fatto decisivo della controversia, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.
Si duole essersi dalla corte di merito omessa “la valutazione di due circostanze fattuali assolutamente dirimenti per il giudizio”, e cioè “la missiva del legale della Ditta Individuale A.L. del 13.6.2013” nonché “lo scambio di mail intercorso tra l’odierna ricorrente e l’Amministrazione del Condominio resistente (documento n. 9 del fascicolo di parte appellata”.
Con il 3 motivo denunzia “violazione o falsa applicazione” dell’art. 115 c.p.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.
Con il 4 motivo denunzia “violazione o falsa applicazione” dell’art. 112 c.p.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.
Si duole non essersi dalla corte di merito considerato che dalle controparti non è stata dedotta “alcuna specifica contestazione dei fatti ma solo una generica lagnanza che non doveva essere assolutamente presa in considerazione dal Giudice”.
Con il 5 motivo denunzia “violazione o falsa applicazione” dell’art. 392 c.p.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.
Si duole che il giudice dell’appello abbia esteso “a favore del Condominio… delle contestazioni sollevate unicamente dalla Ditta Individuale A.L. peraltro nel(l’)appello incidentale depositato in giudizio successivamente al gravame proposto dal Condomini stesso”.
I motivi, che possono congiuntamente esaminarsi in quanto connessi, sono inammissibili.
Va anzitutto posto in rilievo che in violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, la ricorrente non riporta debitamente nel ricorso i richiamati atti e documenti del giudizio di merito (in particolare, l'”atto di citazione ritualmente notificato in data 13.02.2015", la “svoltasi istruttoria”, la sentenza del giudice di prime cure, gli “atti di appello”, la “domanda riconvenzionale” la “fattura prodotta”, la “testimonianza resa dal legale rappresentante della ditta che aveva svolto i lavori”, le “prove testimoniali”, la “missiva del legale della Ditta Individuale A.L. del 13.6.2013 (doc. n. 4 del fascicolo di parte attrice di primo grado”), lo “scambio di mail intercorso… (documento n. 9 del fascicolo di parte appellata”), la “diffida inviata dalla difesa della P. ((documento 3 del fascicolo di primo grado”), l'”appello principale proposto dal Condominio”), limitandosi a meramente richiamarli, senza invero debitamente – per la parte d’interesse in questa sede – riprodurli nel ricorso, ovvero laddove in tutto o in parte riprodotti (es., parti della sentenza di 1 grado, parte della “pag. 4 dell’appello incidentale”, parte della “missiva inviata in data 5.6.2013”, parte della risposta del “legale rappresentante della Ditta Individuale A.L.”) senza fornire puntuali indicazioni necessarie ai fini della relativa individuazione con riferimento alla sequenza dello svolgimento del processo inerente alla documentazione, come pervenuta presso la Corte Suprema di Cassazione, al fine di renderne possibile l’esame (v. Cass., 16/3/2012, n. 4220), con precisazione (anche) dell’esatta collocazione nel fascicolo d’ufficio o in quello di parte, e se essi siano stati rispettivamente acquisiti o prodotti (anche) in sede di giudizio di legittimità (v. Cass., 23/3/2010, n. 6937; Cass., 12/6/2008, n. 15808; Cass., 25/5/2007, n. 12239, e, da ultimo, Cass., 6/11/2012, n. 19157), la mancanza anche di una sola di tali indicazioni rendendo il ricorso inammissibile (cfr. Cass., Sez. Un., 27/12/2019, n. 34469; Cass., Sez. Un., 19/4/2016, n. 7701).
Non sono infatti sufficienti affermazioni – come nel caso – apodittiche, non seguite da alcuna dimostrazione.
A tale stregua, l’accertamento in fatto e la decisione dalla corte di merito adottata e nell’impugnata decisione rimangono invero dall’odierno ricorrente non idoneamente censurati.
E’ al riguardo appena il caso di osservare che i requisiti di formazione del ricorso per cassazione ex art. 366 c.p.c., vanno indefettibilmente osservati, a pena di inammissibilità del medesimo.
Essi rilevano ai fini della giuridica esistenza e conseguente ammissibilità del ricorso, assumendo pregiudiziale e prodromica rilevanza ai fini del vaglio della relativa fondatezza nel merito, che in loro difetto rimane invero al giudice imprescindibilmente precluso (cfr. Cass., 6/7/2015, n. 13827; Cass., 18/3/2015, n. 5424; Cass., 12/11/2014, n. 24135; Cass., 18/10/2014, n. 21519; Cass., 30/9/2014, n. 20594; Cass., 5 19/6/2014, n. 13984; Cass., 20/1/2014, n. 987; Cass., 28/5/2013, n. 13190; Cass., 20/3/2013, n. 6990; Cass., 20/7/2012, n. 12664; Cass., 23/7/2009, n. 17253; Cass., 19/4/2006, n. 9076; Cass., 23/1/2006, n. 1221).
Va per altro verso posto in rilievo, con riguardo ai motivi successivi al primo, come, anche al di là della formale intestazione dei motivi, la ricorrente deduca in realtà doglianze (anche) di vizi di motivazione al di là dei limiti consentiti dalla vigente formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (v. Cass., Sez. Un., 7/4/2014, n. 8053), nel caso ratione temporis applicabile, sostanziantesi nel mero omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che sia stato oggetto di discussione tra le parti, dovendo riguardare un fatto inteso nella sua accezione storico-fenomenica, e non anche come nella specie la contraddittorietà o l’illogicità della motivazione ovvero l’omessa e a fortiori l’erronea valutazione di determinate emergenze probatorie, e in particolare delle “prove testimoniali” (cfr. Cass., Sez. Un., 7/4/2014, n. 8053, e, conformemente, Cass., 29/9/2016, n. 19312).
Ne’ può al riguardo sottacersi che là dove riporta parte della risposta del “legale rappresentante della Ditta Individuale A.L.” (“I lavori di rifacimento del bocchettone si sono resi necessari perché la sig.ra P., senza alcuna autorizzazione, ha manomesso la colonna condominiale, sostituendo il bocchettone con un corrugato elettrico ed allacci posticci”) la ricorrente invero non svolge argomentazione alcuna volta a dedurre la relativa decisività.
Emerge invero con tutta evidenza che l’odierna ricorrente inammissibilmente prospetta in realtà una rivalutazione del merito della vicenda comportante accertamenti di fatto invero preclusi a questa Corte di legittimità, nonché una rivalutazione delle emergenze probatorie, laddove solamente al giudice di merito spetta individuare le fonti del proprio convincimento e a tale fine valutare le prove, controllarne la attendibilità e la concludenza, scegliere tra le risultanze istruttorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, dare prevalenza all’uno o all’altro mezzo di prova, non potendo in sede di legittimità riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale, atteso il fermo principio di questa Corte secondo cui il giudizio di legittimità non è un giudizio di merito di terzo grado nel quale possano sottoporsi alla attenzione dei giudici della Corte Suprema di Cassazione elementi di fatto già considerati dai giudici del merito, al fine di pervenire ad un diverso apprezzamento dei medesimi.
Per tale via in realtà sollecita, cercando di superare i limiti istituzionali del giudizio di legittimità, un nuovo giudizio di merito, in contrasto con il fermo principio di questa Corte secondo cui il giudizio di legittimità non è un giudizio di merito di terzo grado nel quale possano sottoporsi all’attenzione dei giudici della Corte Suprema di Cassazione elementi di fatto già considerati dai giudici del merito, al fine di pervenire ad un diverso apprezzamento dei medesimi (cfr. Cass., 14/3/2006, n. 5443).
Più in particolare, con specifico riferimento ai singoli motivi, si rileva quanto segue.
Il primo motivo, di pretesa violazione dell’art. 342 c.p.c., da parte sia dell’appellante principale che di quello incidentale, è inammissibile ai sensi dell’art. 366 c.p.c., n. 6, giacché si omette di riprodurre il contenuto degli appelli per evidenziare la pretesa aspecificità. In modo del tutto inconferente si appoggia la censura quanto al solo atto di appello incidentale della L. sulla riproduzione delle conclusioni. Inoltre, nemmeno si localizzano in questo giudizio di legittimità i due atti di appello, posto che non si dichiara di produrli e nemmeno – come ammette Cass., Sez. Un., n. 22726 del 2011, si dichiara – precisazione necessaria sempre ai sensi dell’art. 366, n. 6 – di voler fare riferimento alla loro presenza nel fascicolo d’ufficio o in quelli delle controparti. Si rileva che, pur vertendosi in tema di vizio di violazione di norma del procedimento, per il quale la Corte deve esaminare direttamente gli atti processuali fondanti la censura, comunque resta fermo l’onere del ricorrente di osservare rispetto ad essi l’art. 366 c.p.c., n. 6.
Il secondo motivo omette di riprodurre quello che definisce scambio di mail intercorso fra la ricorrente e il Condominio, il cui contenuto evidenzierebbe fatti di cui il tribunale avrebbe omesso l’esame. Ne segue la violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 6, per questa parte della censura.
Con riferimento all’altro documento – la missiva del legale della L. del 13 giugno 2013 – che rappresenterebbe un fatto del quale si sarebbe omesso l’esame, si evidenzia invece che nessuna argomentazione circa la sua decisività agli effetti dell’art. 366 c.p.c., n. 5, si fornisce ed anzi la riproduzione del contenuto della lettera (riprodurre i primi tre righi della pag. 9) palesa l’assoluta mancanza di decisività di esso. Si aggiunga che la sentenza impugnata ha registrato la produzione di cui discorre il motivo e l’ha anche genericamente considerata quando si riferisce al “materiale istruttorio fornito dall’originaria parte attrice” a pag. 4. Inoltre, nessuna indicazione viene fornita del come e dove i fatti asseritamente rappresentai nei documenti sarebbero stati prospettati al giudice di appello, sì da imporgli di considerarli. Nella parte finale il motivo si duole della valutazione delle prove testimoniali, come se vigesse il vecchio art. 360 c.p.c., n. 5.
Totalmente inosservante dell’art. 366 c.p.c., n. 6, è il terzo motivo là dove evoca pretesi atteggiamenti di non contestazione senza fornirne l’indicazione specifica.
Il quarto motivo pretende di desumere la violazione dell’art. 112 c.p.c., da quanto la sentenza indica per riassumere le prospettazioni assunte dai resistenti nei rispettivi atti di gravame, mentre avrebbe dovuto riferire il contenuto effettivo di essi fornendone l’indicazione specifica.
Medesima valutazione si deve fare del quinto motivo, non senza doversi rilevare che esso evoca in modo incomprensibile l’art. 392 c.p.c..
Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo in favore in favore di ciascuna parte controricorrente.
PQM
La Corte dichiara il ricorso inammissibile. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 2.200,00, di cui Euro 2.000,00 per onorari, oltre a spese generali ed accessori come per legge, in favore di ciascuna parte controricorrente.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, come modif. dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello eventualmente dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, il 2 marzo 2021.
Depositato in Cancelleria il 19 gennaio 2022
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