LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FRASCA Raffaele Gaetano Antonio – Presidente –
Dott. SCRIMA Antonietta – rel. Consigliere –
Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –
Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –
Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 3764/2018 proposto da:
A.M., domiciliato ex lege presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato GIOVANNI FERRAU’;
– ricorrente –
contro
PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI, in persona del Presidente del Consiglio pro tempore, domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;
– controricorrente –
nonché da PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI, in persona del Presidente del Consiglio pro tempore, domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
A.M.;
– intimato –
avverso la sentenza n. 1351/2017 della CORTE D’APPELLO di CATANIA, depositata il 11/07/2017;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 14/07/2021 dal Consigliere Dott. ANTONIETTA SCRIMA.
RILEVATO
che:
A.M., unitamente ad altri colleghi medici, adì, con ricorso ex art. 702-bis c.p.c., il Tribunale di Catania, chiedendo la condanna della Presidenza del Consiglio dei Ministri al risarcimento del danno da tardivo, omesso o incompleto recepimento delle direttive comunitarie attinenti alla formazione e remunerazione dei medici specializzandi; il ricorrente dedusse di avere frequentato a tempo pieno la scuola di specializzazione in angiologia medica, della durata di tre anni, dal 1986 al 1989, e la scuola di specializzazione di medicina dello sport, della durata di quattro anni, dal 1989 al 1993; rappresentò, inoltre, di aver spiegato intervento ex art. 105 c.p.c., in data 5 settembre 2006, in un giudizio avente il medesimo oggetto innanzi allo stesso Tribunale di Catania, dichiarato poi inammissibile da quel Tribunale con sentenza confermata sul punto in appello;
si costituì la Presidenza del Consiglio dei Ministri, contestando l’avversa pretesa;
il Tribunale di Catania, in accoglimento del proposto ricorso, condannò la Presidenza del Consiglio dei Ministri al pagamento, in favore dei ricorrenti, della somma di Euro 7.500,00 per ciascun anno di specializzazione frequentato, oltre interessi legali dall’atto di intervento volontario depositato il 5 settembre 2006 al soddisfo, con esclusione dell’ A., rilevando, con riferimento alla posizione di quest’ultimo, il mancato assolvimento dell’onere probatorio circa i fatti costitutivi della domanda;
avverso la decisione di primo grado A.M. propose gravame, del quale la Presidenza del Consiglio dei Ministri chiese il rigetto;
con la sentenza n. 1351 dell’11 luglio 2017 la Corte di appello di Catania, ritenuta provata e fondata la domanda proposta dall’ A. e liquidato il danno in applicazione del parametro contenuto nella L. 19 ottobre 1999, n. 370, art. 11, accolse l’impugnazione e, in riforma dell’ordinanza ex 702-ter c.p.c., condannò la Presidenza del Consiglio dei Ministri al pagamento, in favore dell’attuale ricorrente, della somma di Euro 6.713,94 da moltiplicarsi per i sette anni di durata complessiva dei due corsi di specializzazione, oltre interessi legali dalla data della notifica dell’atto introduttivo del giudizio di primo grado sino al soddisfo, e dichiarò compensate tra le parti le spese del giudizio;
avverso la sentenza di secondo grado A.M., con atto notificato il 29 gennaio 2018, ha proposto ricorso per cassazione sulla base di tre motivi e illustrato da memoria;
la Presidenza del Consiglio dei Ministri ha proposto anch’essa ricorso, notificato in data 12 febbraio 2018, articolando un solo mezzo d’impugnazione;
i due ricorsi, relativi alla medesima sentenza, già aventi il medesimo numero di ruolo generale, vanno trattati unitariamente; quello della Presidenza del Consiglio, in quanto successivo, è convertito in ricorso incidentale; ed invero va osservato che il principio dell’unicità del processo di impugnazione contro una stessa sentenza comporta che, una volta avvenuta la notificazione della prima impugnazione, tutte le altre debbono essere proposte in via incidentale nello stesso processo e perciò, nel caso di ricorso per cassazione, con l’atto contenente il controricorso; tuttavia quest’ultima modalità non può considerarsi essenziale, per cui ogni ricorso successivo al primo si converte, come nella specie, indipendentemente dalla forma assunta e ancorché proposto con atto a sé stante, in ricorso incidentale (Cass. 4/05/1988, n. 3318; Cass. 20/03/2015, n. 5695; Cass. 14/01/2020, n. 448), la Presidenza del Consiglio ha resistito con controricorso al ricorso principale di A.M..
CONSIDERATO
che:
con il primo motivo del ricorso principale A.M. lamenta “Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 112,115 e 343 c.p.c., 2909 c.c., con riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 4. Nullità della sentenza.
Violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato. Effetto devolutivo dell’appello. Mancata censura del capo della sentenza relativa alla quantificazione del danno e alla decorrenza degli interessi legali. Formazione del giudicato interno. Error in procedendo”;
il ricorrente rappresenta che gli altri colleghi con cui aveva esperito il giudizio ex art. 702-bis c.p.c., avevano conseguito tutti il risarcimento del danno in primo grado per l’importo di Euro 7.500,00 per ciascun anno di scuola di specializzazione frequentato, oltre interessi legali dall’atto di intervento volontario, depositato il 5 settembre 2006, al soddisfo; diversamente, il risarcimento liquidatogli dalla Corte territoriale (essendo stata la sua pretesa accolta soltanto in seconde cure) ammonta alla inferiore cifra di Euro 6.713,94 annui, da moltiplicarsi per i sette anni di durata complessiva dei due corsi di specializzazione, oltre interessi legali dalla data di notifica dell’atto di citazione del giudizio di primo grado sino al soddisfo;
ad avviso del ricorrente, quella Corte avrebbe violato le norme indicate in epigrafe, in quanto l’importo annuo del risarcimento del danno era stato determinato dal Tribunale di Catania nella maggior somma già indicata di Euro 7.500,00 per ogni anno di specializzazione, con la decorrenza degli interessi come sopra riportato; tale liquidazione avrebbe riguardato tutti i ricorrenti e l’ A. sarebbe stato “escluso” da tale risarcimento solo per aver il primo Giudice considerato la sua domanda carente di prova, per il mancato rinvenimento dei certificati di specializzazione, peraltro depositati; secondo il ricorrente, tale statuizione non era stata oggetto d’impugnazione dell’Amministrazione convenuta e, pertanto, doveva ritenersi passata in giudicato e, quindi, immodificabile, sicché, decidendo nei termini sopra riportati, la Corte di merito avrebbe esposto l’ A. ad un ingiustificatamente diverso e deteriore trattamento rispetto alle altre parti del giudizio;
il motivo è infondato;
il giudicato sostanziale di cui all’art. 2909 c.c., il quale, come riflesso di quello formale previsto dall’art. 324 c.p.c., fa stato ad ogni effetto tra le parti quanto all’accertamento di merito, positivo o negativo, del diritto controverso, si forma soltanto su ciò che ha costituito oggetto della decisione, ricomprendendosi in esso anche gli accertamenti di fatto che abbiano rappresentato le premesse necessarie ed il fondamento logico-giuridico per l’emanazione della pronuncia, precludendo l’esame di quegli stessi elementi in un successivo giudizio quando l’azione ivi dispiegata abbia identici elementi costitutivi (v., ex multis, Cass., 20/04/2007, n. 9486; Cass., ord., 20/04/2017, n. 9954);
l’assunto del ricorrente secondo cui, non avendo la difesa erariale contestato il quantum liquidato agli altri medici e la decorrenza degli interessi, ne sarebbe derivato un giudicato interno, è privo di fondamento in quanto l’accertamento di quel quantum e della detta decorrenza degli interessi non ha certo riguardato la posizione dell’attuale ricorrente, sia perché relativo ad altri rapporti sul piano soggettivo sia, in ogni caso, perché, pur a voler ritenere che la quantificazione e la decorrenza in parola fossero elementi comuni a tutti i rapporti in causa, nel caso della decisione sul rapporto relativo all’ A., la quantificazione e la decorrenza degli interessi, collocandosi a valle dell’accertamento dei fatti costitutivi del diritto, non risultano essere stati accertati, avendo il Tribunale rigettato la domanda dell’attuale ricorrente ritenendola non provata;
neppure sussiste la lamentata violazione degli art. 112 e 115 c.p.c., non ricorrendo nella specie alcuna violazione del principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato e concernendo l’onere di contestazione le sole allegazioni in punto di fatto della controparte e non la determinazione della loro valenza giuridica;
con il secondo motivo di ricorso, proposto subordinatamente al rigetto del primo, è denunziata “Violazione e/o falsa applicazione ex art. 360 c.p.c., n. 3, artt. 1219,1224 e 1284 c.c.. Decorrenza degli interessi legali dall’atto di intervento del 5 settembre 2006. Non contestazione ex art. 115 c.p.c.. Error in iudicando”;
il ricorrente deduce che la Corte di appello avrebbe violato le norme citate avendo ritenuto di far decorrere gli interessi legali sulla somma riconosciutagli dalla data di notifica dell’atto introduttivo del giudizio di primo grado, 15 ottobre 2012, anziché dalla proposizione dell’atto di intervento ex art. 105 c.p.c., nel procedimento avente N.R.G. 1277/2003 del Tribunale di Catania, avvenuta in data 5 settembre 2006; asserisce che tale atto, benché poi l’intervento fosse stato dichiarato inammissibile, fosse perfettamente idoneo a costituire in mora la Presidenza del Consiglio dei Ministri; pertanto, trattandosi nel caso di specie di risarcimento del danno da illecito contrattuale, gli interessi sarebbero dovuti decorrere da tale momento, a norma dell’art. 1219 c.c.; l’Amministrazione convenuta, peraltro, non avrebbe mai contestato l’idoneità dell’atto di intervento a costituirla in mora; anche sotto questo profilo il ricorrente evidenzia che il Tribunale di Catania, per le domande delle quali aveva pronunziato l’accoglimento, aveva stabilito che gli interessi legali sulle somme dovute decorressero dall’atto di intervento volontario (l’intervento ex art. 105 c.p.c., infatti era stato spiegato da tutti gli attori del giudizio poi introdotto ex art. 702-bis c.p.c.), quale atto di messa in mora;
la Corte ha ritenuto che il legislatore – dettando della L. 19 ottobre 1999, n. 370, art. 11, con la quale ha proceduto ad un sostanziale atto di adempimento parziale soggettivo delle direttive 75/362/CEE e 82/76/CEE – abbia palesato una precisa quantificazione dell’obbligo risarcitorio da parte dello Stato, valevole anche nei confronti di coloro i quali non erano ricompresi nel citato art. 11; a seguito di tale determinazione monetaria, alla precedente obbligazione risarcitoria per mancata attuazione delle direttive si è sostituita un’obbligazione avente natura di debito di valuta, rispetto alla quale – secondo le regole generali di cui agli artt. 1219 e 1224 c.c. – gli interessi legali possono essere riconosciuti solo dall’eventuale messa in mora o, in difetto, dalla notificazione della domanda giudiziale (Cass., 9/02/2012, n. 1917; Cass. 17/01/2013, n. 1157; Cass., ord., 24/01/2020, n. 1641);
tanto premesso, il secondo motivo è fondato in base all’assorbente rilievo che, nel caso all’esame, gli interessi legali decorrono non già come ritenuto dalla Corte d’Appello – dal momento della proposizione del presente giudizio innanzi al Tribunale di Catania, ex art. 702-bis c.p.c. (15 giugno 2012), bensì già dall’atto d’intervento ex 105 c.p.c., spiegato in data 5 settembre 2006 in altro procedimento con il medesimo oggetto, poi dichiarato inammissibile, rilevando tale atto non solo come domanda giudiziale ma anche come messa in mora dell’Amministrazione;
con il terzo motivo, infine, è denunziata la violazione degli artt. 91 e 92 c.p.c., per avere la Corte territoriale disposto la compensazione delle spese, sebbene fosse totalmente soccombente la Presidenza del Consiglio dei Ministri e non sussistessero le ipotesi tipiche di cui all’art. 92 c.p.c., comma 2;
il motivo all’esame resta assorbito dall’accoglimento del secondo motivo;
la Presidenza del Consiglio dei Ministri ha proposto un unico motivo di ricorso, con cui, impugnando la sentenza della Corte territoriale nella parte in cui ha ritenuto che andasse rigettata “l’eccezione sollevata dall’appellata (…) per non avere l’appellante frequentato scuole di specializzazione previste dalle direttive comunitarie, in quanto tale circostanza non sarebbe comunque dirimente…”, ha lamentato “Violazione e falsa applicazione dell’art. 2043 c.c., degli artt. 5 e 189 del Trattato istitutivo della Comunità Europea, dell’art. 10 del Trattato istitutivo della Comunità Europea (Trattato di Roma) nella versione consolidata (GUCE n. C 325 del 24 dicembre 2002), dell’art. 117 Cost., comma 1, dell’art. 16 della Direttiva CEE 82/76, nonché degli artt. 5 e 7 della Direttiva “riconoscimento” 75/362/CEE del Consiglio, del 16 giugno 1975 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3)”, sostenendo che i diplomi di specializzazione in angiologia medica e in medicina dello sport conseguiti dall’ A. non rientrerebbero tra quelli riportati nelle direttive n. 75/362/CEE e n. 75/363/CEE;
l’unico motivo del ricorso della Presidenza del Consiglio è inammissibile, in quanto con lo stesso viene dedotta una questione che non si configura come una mera quaestio iuris (Cass. 15/11/2016, n. 23199) e che la predetta ricorrente non ha neppure allegato se e quando e in quali esatti termini sia stata dedotta nel primo grado del giudizio di merito e, quindi, riproposta anche in secondo grado, neppure rinvenendosi al riguardo elementi chiarificatori dalla sentenza impugnata che, su tale punto, fa riferimento solo a “l’eccezione dell’appellante” (v. p. 7);
conclusivamente, va rigettato il primo motivo del ricorso principale, va accolto il secondo motivo e va dichiarato assorbito il terzo motivo del medesimo ricorso; va dichiarato inammissibile il ricorso incidentale;
la sentenza impugnata va cassata in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito, non essendo necessari accertamenti in fatto, in accoglimento dell’istanza del ricorrente principale al riguardo, la Presidenza del Consiglio dei Ministri va condannata al pagamento, in favore di A.M., degli interessi legali a decorrere non già – come ritenuto dalla Corte d’Appello – dal momento della proposizione del presente giudizio innanzi al Tribunale di Catania, ex art. 702-bis c.p.c. (15 giugno 2012), bensì dall’atto d’intervento ex 105 c.p.c., spiegato in data 5 settembre 2006 in altro procedimento con il medesimo oggetto, poi dichiarato inammissibile;
le spese dell’intero giudizio di merito possono essere integralmente compensate tra le parti, in considerazione della particolarità delle questioni trattate e della peculiarità della vicenda processuale;
le spese del giudizio di cassazione, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza tra le parti;
va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, se dovuto, da parte della ricorrente incidentale, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello eventualmente dovuto per il ricorso incidentale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis (Cass., sez. un., 20/02/2020, n. 4315).
P.Q.M.
La Corte rigetta il primo motivo del ricorso principale, accoglie il secondo motivo e dichiara assorbito il terzo motivo del medesimo ricorso; dichiara inammissibile il ricorso incidentale; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito, condanna la Presidenza del Consiglio dei Ministri al pagamento, in favore di A.M., degli interessi legali dal 5 settembre 2006 (data dell’intervento) sino al soddisfo; compensa tra le parti le spese del doppio grado del giudizio di merito; condanna la controricorrente ricorrente incidentale al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida, in favore del ricorrente principale, in Euro 6.000,00 per compensi, oltre alle spese forfetarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 e agli accessori di legge; ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, se dovuto, da parte della ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello eventualmente dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 14 luglio 2021.
Depositato in Cancelleria il 19 gennaio 2022
Codice Civile > Articolo 1219 - Costituzione in mora | Codice Civile
Codice Civile > Articolo 1224 - Danni nelle obbligazioni pecuniarie | Codice Civile
Codice Civile > Articolo 2021 - Legittimazione del possessore | Codice Civile
Codice Civile > Articolo 2909 - Cosa giudicata | Codice Civile
Codice Procedura Civile > Articolo 3 - (Omissis) | Codice Procedura Civile
Codice Procedura Civile > Articolo 4 - (Omissis) | Codice Procedura Civile
Codice Procedura Civile > Articolo 91 - Condanna alle spese | Codice Procedura Civile
Codice Procedura Civile > Articolo 105 - Intervento volontario | Codice Procedura Civile
Codice Procedura Civile > Articolo 115 - Disponibilita' delle prove | Codice Procedura Civile
Codice Procedura Civile > Articolo 324 - Cosa giudicata formale | Codice Procedura Civile