Corte di Cassazione, sez. III Civile, Ordinanza n.1573 del 19/01/2022

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele Gaetano Antonio – Presidente –

Dott. SCRIMA Antonietta – rel. Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 16854/2019 proposto da:

S.R., A.I.M., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA TOMMASO SALVINI 55, presso lo studio dell’avvocato SIMONETTA DE SANCTIS MANGELLI, rappresentati e difesi dall’avvocato FRANCESCO MAIORANA;

– ricorrenti –

contro

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI in persona del Presidente del Consiglio pro tempore, domiciliati in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 669/2018 della CORTE D’APPELLO di TRIESTE, depositata il 22/11/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 14/07/2021 dal Consigliere Dott. ANTONIETTA SCRIMA.

RILEVATO

che:

A.I.M. e S.R., unitamente ad altri due colleghi, tutti laureati in medicina e chirurgia e beneficiari durante di corsi di specializzazione negli anni accademici cui avevano partecipato tra il 1997/1998 e 2006/2007, conseguendo i relativi titoli – di una borsa di studio determinata ai sensi del D.Lgs. n. 257 del 1991, art. 6, dell’importo di 21.500.00 annuali (pari ad Euro 11.103,82), adirono, con ricorso ex art. 702-bis c.p.c., il Tribunale di Trieste, deducendo che il legislatore italiano aveva recepito con ritardo le Direttive Europee nn. 76/1982 e 16/1993, che avevano diversamente regolato, sotto il profilo economico e formativo tali corsi, e chiedendo la condanna della Presidenza del Consiglio dei Ministri, al risarcimento dei danni da essi conseguentemente subiti;

si costituì la resistente, eccependo la sua carenza di legittimazione passiva, la prescrizione del diritto azionato e l’insussistenza dei presupposti per il riconoscimento dei danni lamentati;

il Tribunale adito, con ordinanza del 7 marzo 2017, rigettò la domanda e compensò le spese di lite tra le parti;

avverso tale ordinanza tutti i soccombenti proposero gravame, del quale la Presidenza del Consiglio dei Ministri chiese il rigetto;

la Corte di appello di Trieste, con sentenza n. 669/18, depositata il 22 novembre 2018, rigettò l’impugnazione e compensò tra le parti le spese del grado;

avverso la sentenza della Corte di appello di Trieste A.I.M. e S.R. hanno proposto ricorso per cassazione, basato su due motivi e illustrato da memoria;

la Presidenza del Consiglio dei Ministri ha resistito con controricorso.

CONSIDERATO

che:

con il primo motivo i ricorrenti denunziano “difetto di motivazione su un punto decisivo della controversia; omesso esame su un fatto decisivo della controversia violazione e falsa applicazione dell’allegato I della direttiva 93/16”;

assumono i ricorrenti di aver lamentato, sin dal giudizio di primo grado, “di non aver partecipato alla totalità delle attività mediche del servizio nel quale si effettua la formazione” nonché di non aver potuto partecipare alle guardie mediche ed alle attività chirurgiche, come avrebbero evidenziato in entrambi i gradi del giudizio, il che non sarebbe stato mai confutato dalla controparte, e deducono che tanto sarebbe stato “tralasciato ed omesso nell’ordinanza impugnata” e denunciano che la Corte di merito avrebbe “omesso di pronunciarsi in ordine alla questione della spettanza o meno dell’invocato diritto al risarcimento del danno in capo agli specializzandi per inadempimento della direttiva n. 93/167CEE relativamente alla previsione della necessità (meglio del diritto) ad una formazione completa”;

con il secondo motivo i ricorrenti lamentano “violazione e falsa applicazione dell’art. 249, comma 3, del Trattato CEE del principio comunitario di leale cooperazione tra gli stati membri e istituzioni comunitarie, – denegata giustizia”;

sostengono i ricorrenti che la Corte di merito si sarebbe pronunciata sulla validità delle norme dai medesimi richiamate (D.Lgs. n. 368 del 1999, art. 46, comma 2 e del D.Lgs. n. 517 del 1999, art. 8, comma 3) solamente con riferimento all’aspetto retributivo tralasciando quello formativo e che la sentenza impugnata sarebbe viziata oltre che per difetto di motivazione e omessa pronuncia circa un punto decisivo della controversia, per violazione e falsa applicazione dell’art. 10 (oggi art. 4 TFUE) e art. 249 (oggi art. 288 TFUE) del Trattato, inerenti all’obbligo generale degli Stati membri di assicurare l’esecuzione degli obblighi sanciti dal diritto comunitario, facilitare l’assolvimento dei compiti della Comunità e astenersi dal porre in essere misure che possano compromettere la realizzazione degli scopi del Trattato tra cui quelli contenuti nelle direttive; evidenziano i ricorrenti che il D.Lgs. 17 agosto 1999, n. 368 “agli artt. 37-39 aveva previsto che all’atto dell’iscrizione alle scuole universitarie di specializzazione in medicina e chirurgia il medico stipulasse uno specifico contratto annuale di formazione-lavoro, finalizzato all’acquisizione delle capacità professionali inerenti al titolo di specialista, mediante la frequenza programmata alla totalità delle attività didattiche formali e lo svolgimento di attività assistenziali funzionali alla progressiva acquisizione delle competenze previste dall’ordinamento didattico delle singole scuole, in conformità dalle indicazioni dell’Unione Europea”; sostengono i ricorrenti che la Corte di merito avrebbe “omesso di verificare se dalla mancata attuazione della direttiva (e dalla violazione del generale obbligo di buona fede con l’adozione del D.Lgs. 21 dicembre 1999, n. 517) siano derivati danni formativi che gli odierni ricorrenti hanno lamentato, nonché se vi sia… il nesso causale tra l’inadempimento e il danno subito”, evidenziando che “lo Stato italiano, non prevedendo un contratto di formazione lavoro o altro sistema che garantisse la partecipazione alla totalità delle attività mediche del SSN, non ha correttamente attuato le citate direttive, non avendo posto i medici specializzandi nelle condizioni di ricevere, al pari dei colleghi Europei, una formazione adeguata”;

entrambi i motivi sono inammissibili;

ed invero i ricorrenti non si confrontano con l’esaustività della motivazione della sentenza impugnata in questa sede che ha escluso ogni inadempimento dello Stato italiano rispetto alla normativa comunitaria, aderendo espressamente all’orientamento giurisprudenziale secondo cui “la disciplina del trattamento economico dei medici specializzandi prevista del D.Lgs. n. 368 del 1999, art. 39, si applica, per effetto dei ripetuti differimenti, ai medici iscritti nelle scuole di specializzazione solo a decorrere dall’anno accademico 2006/2007, e non anche a quelli – come i ricorrenti in primo grado iscritti negli anni precedenti, che pertanto restano soggetti alla disciplina dettata dal precedente D.Lgs. n. 257 del 1991, sia sotto il profilo ordinamentale, che economico, pur in presenza della successiva direttiva 93/16 CEE”; ne consegue che, sia pure molto sinteticamente, con il richiamo al profilo ordinamentale, la Corte territoriale ha esaminato anche la questione relativa alla formazione proposta dai ricorrenti e ben tenuta presente da quella Corte che ne ha dato conto a p. 5 della sentenza impugnata;

difetta, pertanto, il presupposto del preteso risarcimento dei danni e tanto vale anche, evidentemente, in relazione alla diversa formazione prevista nel corso degli anni per gli specializzandi;

si evidenzia che la Corte territoriale si è conformata ai principi già ripetutamente affermati da questa Corte di legittimità, secondo cui la disciplina della formazione e del trattamento economico dei medici specializzandi, prevista dal D.Lgs. n. 368 del 1999, si applica, per effetto di ripetuti differimenti, in favore dei medici iscritti alle relative scuole di specializzazione solo a decorrere dall’anno accademico 2006-2007 e non a quelli iscritti negli anni antecedenti, che restano soggetti alla disciplina di cui al D.Lgs. n. 257 del 1991, sia sotto il profilo ordinamentale che economico, giacché la Direttiva 93/16/CEE non introduce alcun nuovo ed ulteriore obbligo al riguardo (v., ex multis, Cass.,ord., 9/10/2018, nn. 24805, 24804, 24803, 24802; Cass., ord., 8/10/2018, n. 24708; Cass., ord., 2/08/2018, n. 20419; Cass., ord., n. 20419 del 14/03/2018, n. 20419; Cass., ord., 29/05/2018, n. 13445; Cass. 23/02/2018, n. 4449);

a tale proposito si rileva che:

– con la L. 29 dicembre 1990, n. 428 e con del D.Lgs. 8 agosto 1991, n. 257, art. 6, il legislatore italiano, dando attuazione, sia pure tardivamente, al disposto della direttiva n. 82/76/CEE del Consiglio, stabilì in favore dei medici ammessi alle scuole di specializzazione una borsa di studio determinata per l’anno 1991 nella somma di Lire 21.500.000; tale somma era destinata ad un incremento annuale, a decorrere dal 1 gennaio 1992, sulla base del tasso programmato di inflazione, incremento fissato ogni triennio con decreto interministeriale; il meccanismo di adeguamento venne peraltro bloccato successivamente, con effetto retroattivo, dalla L. 28 dicembre 1995, n. 549, passata indenne al vaglio della Corte costituzionale (sentenza n. 432 del 1997), e da altre leggi successive (v. sul punto, ampiamente, Cass. 23/0272018, n. 4449);

in seguito, dando attuazione alla direttiva n. 93/16/CE (che aveva coordinato la disciplina delle precedenti direttive n. 75/362 e n. 75/363 CEE, con le relative successive modificazioni, il legislatore nazionale intervenne sulla materia con il D.Lgs. attuativo 17 agosto 1999, n. 368;

tale decreto – in seguito ampiamente modificato dalla L. 23 dicembre 2005, n. 266, art. 1, comma 300 – ha riorganizzato l’ordinamento delle scuole universitarie di specializzazione in medicina e chirurgia, istituendo e disciplinando un vero e proprio contratto di formazione (inizialmente denominato “contratto di formazione-lavoro” e poi “contratto di formazione specialistica”, art. 37 del D.Lgs. cit.), da stipulare e rinnovare annualmente tra Università (e Regioni) e medici specializzandi, con un meccanismo di retribuzione articolato in una quota fissa ed in una quota variabile, in concreto periodicamente determinate da successivi decreti ministeriali (art. 39 D.Lgs. cit.);

tale contratto, peraltro, come la Sezione Lavoro di questa Corte ha ribadito in plurime occasioni, non dà luogo ad un rapporto inquadrabile nell’ambito del lavoro subordinato, né è riconducibile alle ipotesi di parasubordinazione, non essendo ravvisabile una relazione sinallagmatica di scambio tra l’attività degli specializzandi e gli emolumenti previsti dalla legge, restando conseguentemente inapplicabili l’art. 36 Cost., ed il principio di adeguatezza della retribuzione ivi contenuto (v. Cass. 19/11/2008, n. 27481; Cass. 22/09/2009, n. 20403; Cass., ord., 27/07/2017, n. 18670);

il nuovo meccanismo retributivo di cui al D.Lgs. n. 368 del 1999, è divenuto operativo solo a decorrere dall’anno accademico 2006/2007 (art. 46, comma 2, D.Lgs. cit., nel testo risultante dalle modifiche introdotte prima dal D.Lgs. 21 dicembre 1999, n. 517, art. 8, e poi dalla L. n. 266 del 2005, art. 1, comma 300,); mentre, per espressa disposizione legislativa (D.Lgs. n. 368 cit., art. 46, comma 2, secondo parte) la disciplina giuridica ed economica del D.Lgs. n. 257 del 1991, è rimasta applicabile ai medici che frequentavano i corsi di specializzazione fino all’anno accademico 2005/2006; il trattamento economico spettante ai medici specializzandi in base alla stipula del nuovo “contratto di formazione specialistica” è stato successivamente fissato con i D.P.C.M. 7 marzo 2007, D.P.C.M. 6 luglio 2007 e D.P.C.M. 2 novembre 2007, ed erogato a decorrere dall’anno accademico 2006/2007;

in particolare, va evidenziato che la direttiva n. 93/16/CE, come risulta dalla sua stessa formulazione (v. primo considerando), non ha una portata innovativa, prefiggendosi soltanto l’obiettivo, “per motivi di razionalità e per maggiore chiarezza”, di procedere alla codificazione delle tre suindicate direttive “riunendole in un testo unico”; il che risulta ancor più evidente per il fatto che la direttiva in questione lascia “impregiudicati gli obblighi degli Stati membri relativi ai termini per il recepimento delle direttive” di cui all’allegato III, parte B (così l’ultimo dei considerando);

lo Stato italiano ha adempiuto al proprio obbligo sia in tema di formazione che di remunerazione degli specializzandi con il D.Lgs. n. 257 del 1991, così venendo a cessare la violazione della normativa comunitaria per ingiustificato ritardo nella attuazione della direttiva n. 82/76/CEE che prevedeva come termine di trasposizione la data del 31.12.1982, come del resto la Corte di giustizia dell’Unione Europea ha già da tempo affermato (v. le sentenze 25 febbraio 1999, causa C 131/97, Carbonari, e 3 ottobre 2000, causa C-371/97, Gozza);

l’importo della predetta borsa di studio è da ritenersi dunque sufficiente ed idoneo adempimento agli obblighi comunitari, non essendo stati introdotti, in relazione alla adeguatezza di detto importo, ulteriori obblighi dalla direttiva 93/16/CEE, fondati su diversi criteri di parametrazione della misura economica ritenuta adeguata, che imponessero agli Stati membri di revisionare il “quantum” del compenso come già determinato dalle rispettive norme interne (v. Cass. 14/03/2018, n. 6355; Cass. 29/05/2018, n. 13445); ne consegue che, una volta data attuazione – anche se tardiva – alla direttiva comunitaria, le modifiche introdotte dal D.Lgs. n. 368 del 1999, relative alla organizzazione ed al nuovo ordinamento delle scuole universitarie di specializzazione in medicina e chirurgia (a decorrere dall’anno accademico 2006/2007, in base alla L. n. 266 del 2005), e il corrispondente meccanismo di retribuzione, non possono, pertanto, ritenersi il primo atto di effettivo recepimento e adeguamento dell’ordinamento italiano agli obblighi derivanti dalle direttive comunitarie, ma costituiscono esercizio di una scelta propriamente discrezionale atteso che, come è stato affermato da questa Corte, Sezione Lavoro nella sentenza 28/02/2018, n. 4449, il legislatore, nel disporre il differimento dell’applicazione delle disposizioni contenute negli artt. da 37 a 42 (del D.Lgs. n. 368 del 1999) e la sostanziale conferma del contenuto del D.Lgs. n. 257 del 1991, ha esercitato legittimamente la sua potestà legislativa volta a regolare diversamente situazioni successive nel tempo (v. Cass. 4/07/2014, n. 15362; Cass. 19/02/2019, n. 4809), non essendo vincolato a disciplinare il rapporto dei medici specializzandi secondo un particolare schema giuridico né ad attribuire una remunerazione di ammontare preindicato;

per quanto attiene in particolare alla formazione dei medici specialisti, si osserva che con la sentenza n. 4449/2019, non massimata sul punto, già citata ed espressamente richiamata dalla Corte territoriale (v. sentenza impugnata in questa sede, p. 7), questa Corte ha già avuto modo di affermare, dopo ampia e dettagliata ricostruzione del quadro normativo di riferimento, sia di fonte sovrannazionale che nazionale, al quale si rinvia espressamente, che: a) la disciplina recata dalla direttiva 93/167CEE in ordine alle modalità ed ai tempi della formazione specialistica, in continuità con la direttiva 82/76/CEE, mira a garantire che i medici specializzandi dedichino alla loro formazione pratica e teorica tutta la propria attività professionale, ovvero nel caso degli specialisti in formazione a tempo ridotto, una parte significativa di quest’ultima, ma non obbliga gli Stati membri a disciplinare l’attività di formazione specialistica dei medici secondo un particolare schema giuridico; b) con il D.Lgs. 17 agosto 1999, n. 368, il legislatore ha dato attuazione della direttiva 93/16/CEE e nel disporre il differimento dell’applicazione delle disposizioni contenute negli artt. da 37 a 42 e la sostanziale conferma del contenuto del D.Lgs. n. 257 del 1991, ha esercitato legittimamente la sua potestà discrezionale; c) non sussiste irragionevole disparità di trattamento tra gli specializzandi iscritti ai corsi di specializzazione a decorrere dall’anno 2006/2007 e quelli frequentanti i corsi nei precedenti periodi accademici, ben potendo il legislatore differire nel tempo gli effetti di una riforma, senza che, per ciò solo, ne possa derivare una disparità di trattamento tra soggetti che, in ragione dell’applicazione differente nel tempo della normativa in questione, ricevano trattamenti diversi; d) non sussiste disparità di trattamento tra i medici specializzandi iscritti presso le Università Italiane e quelli iscritti in scuole di degli altri paesi Europei, atteso che le situazioni non sono comparabili, perché la direttiva 93/16/Ce non ha previsto o imposto uniformità di disciplina e di trattamento economico;

tali principi sono condivisi e fatti propri da questo Collegio;

a quanto precede va aggiunto che i ricorrenti neppure hanno precisato in ricorso di aver proposto specifico motivo di appello (eventualmente riportandolo per la parte rilevante in questa sede) sul punto della formazione, con conseguente difetto di specificità dei motivi di ricorso proposti;

il ricorso deve essere, pertanto, dichiarato inammissibile;

le spese del giudizio di cassazione, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza tra le parti;

va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, se dovuto, da parte dei ricorrenti, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello eventualmente dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis (Cass., sez. un., 20/02/2020, n. 4315).

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna i ricorrenti al pagamento, in solido, delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida, in favore del controricorrente, in Euro 5.600,00 per compensi, oltre alle spese eventualmente prenotate a debito; ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, se dovuto, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello eventualmente dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 14 luglio 2021.

Depositato in Cancelleria il 19 gennaio 2022

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