Corte di Cassazione, sez. III Civile, Ordinanza n.1574 del 19/01/2022

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – est. Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:

S.P., (codice fiscale *****), rappresentato e difeso, giusta procura speciale apposta in calce al ricorso, dall’Avvocata Chiara Costagliola, del Foro di Isernia, elettivamente domiciliato presso lo studio dell’avv. Pasquale Porfirio, in Roma, Via M.

Menghini n. 21.

– ricorrente –

contro

IL MINISTERO DELL’INTERNO, (cod. fisc. *****), in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso ope legis dall’Avvocatura dello Stato, domiciliata in Roma, via del Portoghesi n. 12.

– intimato –

avverso il decreto del Tribunale di Campobasso R.G. n. 2589/2019, pubblicato il 6/11/2019.

Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 16/9/2021 dal Presidente, Dott. Giacomo Travaglino.

La CORTE:

PREMESSO IN FATTO

– che il signor S., nato in *****, ha chiesto alla competente commissione territoriale il riconoscimento della protezione internazionale di cui al D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 4, ed in particolare:

(a) in via principale, il riconoscimento dello status di rifugiato, D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex artt. 7 e segg.;

(b) in via subordinata, il riconoscimento della “protezione sussidiaria” di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14;

(c) in via ulteriormente subordinata, la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, ex art. 5, comma 6 (nel testo applicabile ratione temporis);

– che la Commissione Territoriale ha rigettato l’istanza;

– che, avverso tale provvedimento, egli ha proposto, ai sensi del D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 35, ricorso dinanzi al Tribunale di, che lo ha rigettato con decreto reso in data;

– che, a sostegno della domanda di riconoscimento delle cd. “protezioni maggiori”, il ricorrente, non comparendo personalmente in udienza dinanzi al giudice di primo grado, aveva dichiarato di essere fuggito dal proprio Paese, dove aveva lavorato come sarto e come tassista, perché, recatosi con il fratello ed altri amici a far legna nella foresta su autorizzazione del capo villaggio, era stato aggredito dai ribelli del Casamance, accoltellato alle gambe e ferito alla lingua, mentre il fratello veniva ucciso; di essersi rifugiato in Gambia, presso una sua amica, dal 2012 al 2017, ma di essere dovuto andar via dopo il ritorno dell’amica in Senegal; di non poter fare ritorno nella Casamance per timore di essere ucciso;

– che, in via subordinata, aveva poi dedotto l’esistenza dei presupposti per il riconoscimento, in suo favore, della protezione umanitaria;

– che il Tribunale ha ritenuto insussistenti i presupposti per il riconoscimento di tutte le forme di protezione internazionale invocate d,al ricorrente, alla, luce di una motivazione testualmente concepita nei termini che seguono:

1) “non risultano né sono prospettate dalla richiedente” (che peraltro è un uomo) “situazioni di persecuzione così come elencate nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 7)”, poiché “il richiedente” (che ritorna uomo) “ha dichiarato di essersi allontanato dal Senegal (dal quale in realtà si era allontanato già nel 2012) a causa dei ribelli del Casamance”;

2) “non sussistono neppure i presupposti per la protezione sussidiaria ex art. 14, non essendo ravvisabile, in caso di ritorno in patria, una minaccia grave e individuale alla vita o alla persona di un civile derivante dalla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato o internazionale, che, infatti, la situazione del Senegal non è di guerra civile” (si cita, al riguardo, Cass. 28433/2018) “come riconosciuto, anche con specifico riferimento alla regione del Casamance, dalle fonti internazionali (cfr. provvedimento della Commissione e fonti indicate, come da ultimo riconosciuto dal D.M. 4 ottobre 2019, che ha valutato il Senegal come Paese sicuro)”;

3) “la situazione prospettata non integra neppure gli estremi dei seri motivi di carattere umanitario di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6”, poiché “nel caso di specie non emergono profili di vulnerabilità diversi da quelli esaminati”;

4) “la domanda è manifestamente infondata in quanto le circostanze prospettate dal ricorrente… sono chiaramente riferite a questioni non qualificabili come persecuzione”;

5) “in un contesto in cui non vi è una situazione di guerra civile o di pericolo reale per la vita del ricorrente, il suo interesse, in modo evidente e neppure in astratto, è ricollegabile alle norme e ai chiari presupposti per il riconoscimento della protezione internazionale o umanitaria”;

– che il provvedimento è stato impugnato per cassazione dall’odierno ricorrente sulla base di 3 motivi di censura;

– che il Ministero dell’interno non si è costituito in termini mediante controricorso.

OSSERVA IN DIRITTO Col primo motivo, si censura il decreto impugnato per violazione di legge e vizio di motivazione apparente in ordine alla valutazione di credibilità della vicenda personale (art. 360 c.p.c., n. 3).

Il motivo è manifestamente fondato.

Nel lamentare un vizio di “motivazione meramente formale” con riguardo alla valutazione di credibilità del racconto fornito dal ricorrente, si censura il decreto impugnato “per la mancanza di una qualsiasi attinenza con la narrazione dello straniero e per l’assenza di coerenza logica tra la conclusione di non credibilità e le premesse in fatto poste a base della decisione”.

La censura di motivazione apparente appare, nella specie, perfino riduttiva rispetto al contenuto della stessa, cui meglio si addice la qualificazione di assoluta inesistenza.

Dalle proposizioni “motivazionali” poc’anzi riportate, difatti, non emerge alcuna valutazione, né specifica né generica (ad eccezione di quella, del tutto priva di qualsivoglia significato argomentativo, riportata supra, sub 1), in ordine alla credibilità del richiedente asilo, limitandosi il Tribunale ad affermazioni stereotipate, utili a motivare il rigetto di qualsivoglia domanda di protezione internazionale senza minimamente apprezzarne lo specifico contenuto, con conseguente, omessa pronuncia in ordine alla pur richiesta protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2017, art. 14, lett. a) e b), che nulla ha a che fare con la situazione di conflitto interno o internazionale di cui alla successiva lettera c) del medesimo articolo.

Col secondo motivo, si lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio;

Il motivo, anch’esso pienamente fondato, che lamenta la omessa valutazione della vulnerabilità del richiedente asilo, è assorbito dall’accoglimento della prima censura.

Con il terzo motivo, si lamenta la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c., comma 1, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, per mancata valutazione di una prova documentale offerta nel corso del giudizio.

Lamenta il ricorrente:

– La omessa valutazione della vulnerabilità del ricorrente;

– La omessa valutazione della documentazione attestante: 1) La frequentazione di un corso di arti creativi; 2) La frequentazione di un corso di manipolazioni alimenti; 3) La frequentazione di un corso sul rischio dei lavoratori; 4) Il contratto di lavoro ritualmente depositato in atti.

Il motivo è manifestamente fondato, avendo il giudice di merito del tutto omesso, ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria, da un canto, di considerare la documentazione (e la sua decisiva rilevanza) prodotta in atti dalla difesa del ricorrente (della quale non si rinviene cenno alcuno nel decreto impugnato), dall’altro, di compiere il necessario giudizio comparativo tra la situazione di integrazione in Italia del richiedente asilo ed il livello di tutela dei diritti umani fondamentali nel Paese di origine.

Pertanto, in sede di giudizio di rinvio, nel motivare la sua decisione, il Tribunale si atterrà ai seguenti principi:

1) SULLA VALUTAZIONE DI CREDIBILITA’ DEL RICHIEDENTE ASILO.

Premesso che, in subiecta materia, il quadro normativo risulta composito (D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, di attuazione della Direttiva 2004/83/CE, recante “norme minime sull’attribuzione, a cittadini di Paesi terzi o apolidi, della qualifica di rifugiato o di persona altrimenti bisognosa della protezione internazionale, nonché norme minime sul contenuto della protezione riconosciuta”; D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, di attuazione della Direttiva 2005/85/CE recante “norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato”), alla delicatezza del tema della prova si collega quello, sfuggente anche nel diritto processuale civile ordinario, dell’allegazione dei fatti. Dovendo dare necessario rilievo alle condizioni culturali, materiali e psicologiche in cui versa il richiedente asilo, e alle difficoltà di fornire le prove richieste, il legislatore ha dato ampio spazio all’iniziativa officiosa in tema di prova e immaginato regole probatorie di cui il giudice si deve fare interprete, in un processo che comunque è retto dal principio della domanda – ed in cui il monopolio dell’allegazione dei fatti è dunque rimesso alle parti – così che i poteri istruttori del giudice si devono muovere dentro una cornice data, che è quella tracciata dai fatti allegati da queste ultime.

La prova principale è rappresentata dall’audizione del richiedente: tecnicamente, una vera e propria testimonianza della parte, sul presupposto che tutti quei fatti che sono noti soltanto a quest’ultima o che, per ragioni a questa non imputabili, non si possano provare convenientemente con prove diverse dalla dichiarazione rappresentativa della parte, non possono essere considerati in giudizio come insussistenti.

Mentre nel processo civile “ordinario” si discute della stessa funzione probatoria dell’interrogatorio libero delle parti, che è soprattutto strumento volto alla chiarificazione sui fatti di causa, cui unisce, sia pure in modo più ambiguo, la funzione di strumento di conoscenza dei fatti (secondo un orientamento ormai consolidato della giurisprudenza le dichiarazioni rese dalla parte nell’interrogatorio libero di cui all’art. 117 c.p.c., pur non essendo un mezzo di prova, possono essere fonte anche unica del convincimento del giudice di merito), l’utilizzazione del sapere della parte nella formazione del convincimento giudiziale è un momento centrale dell’istruttoria nel sistema della protezione internazionale.

Quel sistema, perciò, sotto il profilo della prova, bilancia l’onere probatorio di cui all’art. 2967 c.c., pur operante anche nelle controversie in materia di asilo, con un meccanismo che, diversamente da quel che avviene nelle altre tipologie di processo civile (comprese quelle che pure rispondono al modello istruttorio acquisitivo, caratterizzato dall’iniziativa istruttoria del giudice), permette la testimonianza della parte, con un’efficacia probatoria diversa da quella tradizionalmente riservata alle dichiarazioni rese in seno all’interrogatorio libero, e non si limita ad ampliare le ipotesi in cui sono previsti poteri ufficiosi di assunzione dei mezzi di prova.

Tanto premesso, integra gli estremi dell’errore di diritto, come tale censurabile in sede di legittimità, oltre a quello risultante da una motivazione inesistente (quale quella di specie), tanto una motivazione meramente “di stile” (come quella predicativa, sic et simpliciter, di una pretesa “genericità delle dichiarazioni”, ovvero di “scarsa verosimiglianza delle allegazioni, contraddittorie e intrinsecamente illogiche”) quanto una valutazione del narrato che si sostanzi nella sua acritica scomposizione e nel suo sistematico frazionamento, volto alla ricerca delle singole, eventuali contraddizioni, pur talvolta esistenti, insite nella narrazione stessa, volta che il procedimento di protezione internazionale è caratterizzato, per sua natura, da una sostanziale mancanza di contraddittorio (stante la sistematica assenza dell’organo ministeriale), con conseguente impredicabilità della diversa funzione caratteristica del processo civile ordinario – di analitico e perspicuo bilanciamento tra posizioni e tesi contrapposte inter pares.

Funzione del procedimento giurisdizionale di protezione internazionale deve ritenersi quella – del tutto autonoma rispetto alla precedente procedura amministrativa, della quale esso non costituisce in alcun modo prosecuzione impugnatoria – di accertare, secondo criteri legislativamente predeterminati, la sussistenza o meno del diritto al riconoscimento di una delle tre forme di asilo, onde il compito del giudice chiamato alla tutela di diritti fondamentali della persona appare funzionale – anche al di là ed a prescindere da quanto accaduto dinanzi alla Commissione territoriale – alla complessiva raccolta, accurata e qualitativa, delle predette informazioni, nel corso della quale dissonanze e incongruenze, di per se non decisive ai fini del giudizio finale, andranno opportunamente valutate in una dimensione di senso e di significato complessivamente inteso, secondo un criterio di unitarietà argomentativa e non di sistematico frazionamento, logico e sintattico, della narrazione, come confermato dal disposto del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, lett. e), a mente del quale, nella valutazione di credibilità, si deve verificare anche se il richiedente “e’, in generale, attendibile”.

Il giudizio sulla credibilità del richiedente asilo trova le sue premesse metodologiche nella scelta del metodo di valutazione degli elementi di fatto disponibili (i fatti “indizianti” della prova per presunzioni) e sulla scelta tra un generico modello olistico ovvero un rigoroso metodo analitico.

La soluzione più corretta non può che risultare la seconda, atteso che il modello olistico si presterebbe facilmente a sovrapporre alla realtà dei fatti la (sola) loro narrazione, con il rischio che una perfetta coerenza narrativa, pur in ipotesi assolutamente falsa, possa fuorviare il giudice e condurlo ad una decisione ingiusta, mentre il metodo analitico-atomistico si fonda sulla premessa che la base della decisione sia rappresentata dai fatti e soltanto da essi.

La valutazione dei fatti secondo il modello analitico segue, peraltro, un percorso logico distinto in due fasi – che ne consente una parziale combinazione con quello olistico – fondate, dapprima, su di un rigoroso esame di ciascun singolo fatto “indiziante” che emerge dal racconto del richiedente asilo (onde eliminare quelli privi di rilevanza rappresentativa e conservare quelli che, valutati singolarmente, offrano un contenuto positivo, quantomeno parziale, sotto il profilo dell’efficacia del ragionamento probatorio), e successivamente, su di una valutazione congiunta, complessiva e globale, di tutti quei fatti, alla luce dei principi di coerenza logica, compatibilità inferenziale, congruenza espositiva, concordanza prevalente, onde accertare se la loro combinazione, frutto di sintesi logica e non di sola somma aritmetica, possa condurre all’approdo della prova presuntiva del factum probandum – che potrebbe non considerarsi raggiunta attraverso una valutazione atomistica di ciascun indizio (quae singula non possunt, collecta iuvant).

Accertata preliminarmente la valenza indicativa di ciascun “fatto indiziante” che emerge dal racconto del ricorrente secondo il modello analitico, si procederà poi all’esame metodologico dell’intera trama fattuale in modo complessivo e unitario, di tal che la possibile ambiguità dimostrativa di ciascun factum probans possa anche risolversi nel necessario significato dimostrativo che consente di ritenere raggiunta la prova logica del factum probandum. Il procedimento mentale da percorrere, per il giudice, è dunque quello della analisi di ciascun elemento di fatto e della sua collocazione e ricomposizione all’interno di un mosaico del quale il singolo indizio (id.e., la singola vicenda narrata) costituisce la singola tessera.

Se, considerato isolatamente, ogni frammento dichiarativo può non essere ritenuto sufficiente a pervenire ad un giudizio complessivo di credibilità (rectius, a fondare un parcellare giudizio di non credibilità), è l’insieme intrinseco delle connessioni logico-espositive delle dichiarazioni a formare oggetto di valutazione, che deve risultare complessiva; e non frantumata e/o relativizzata rispetto ad ogni singolo episodio, esaminato ex se in modo del tutto avulso dalla complessa trama narrativa oggetto di esame e di giudizio.

Infine, nella valutazione della complessiva credibilità del racconto del richiedente asilo, ove, rispetto ad alcuni dettagli, residuino all’organo giudicante dubbi in parte qua, può trovare legittima applicazione il principio del beneficio del dubbio – contra, non condivisibilmente, Cass. n. 16028 del 2019, che risulta in aperto e forse inconsapevole contrasto con quanto più volte affermato dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo in materia di onere della prova: “stante la particolare situazione in cui si trovano i richiedenti asilo, sarà frequentemente necessario concedere loro il beneficio del dubbio quando si vada a considerare la credibilità delle loro dichiarazioni e dei documenti presentati a supporto” (CEDU, R.C. v. Svezia, 2010, paragrafo 50; CEDU, N. v. Svezia, 2010, paragrafo 53; CEDU, A.A. v. Svizzera, 2014, paragrafo 59).

2) IL GIUDIZIO DI COMPARAZIONE NELLA PROTEZIONE UMANITARIA.

Alla luce dei principi più volte affermati da questa Corte regolatrice in tema di protezione umanitaria, va in questa nuovamente affermato che, se per il riconoscimento dello status di rifugiato o della protezione sussidiaria di cui alle lettere a) e b) del D.Lgs. n. 251 del 2007, deve essere dimostrato che il richiedente asilo abbia subito, o rischi concretamente di subire, atti persecutori come definiti dall’art. 7 (atti sufficientemente gravi per natura o frequenza, tali da rappresentare una violazione grave dei diritti umani fondamentali, ovvero costituire la somma di diverse misure il cui impatto si deve risolvere in una grave violazione dei medesimi diritti), così che la decisione di accoglimento consegue ad una valutazione prognostica dell’esistenza di un rischio, onde il requisito essenziale per il riconoscimento di tale forma di protezione consiste nel fondato timore di persecuzione, personale e diretta, nel paese di origine del richiedente asilo, alla luce di una violazione individualizzata – e cioè riferibile direttamente e personalmente al richiedente asilo in relazione alla situazione del Paese di provenienza, da compiersi in base al racconto ed alla valutazione di credibilità operata dal giudice di merito, diversa, invece, è la prospettiva dell’organo giurisdizionale in tema di protezione umanitaria, per il riconoscimento della quale è necessaria e sufficiente (anche al di là ed a prescindere dal giudizio di credibilità del racconto) la valutazione comparativa tra il livello di integrazione raggiunto in Italia e la situazione del Paese di origine, qualora risulti ivi accertata la violazione del nucleo incomprimibile dei diritti della persona che ne vulnerino la dignità – accertamento che prende le mosse, e non può prescindere, dal dettato costituzionale di cui all’art. 10, comma 3, ove si discorre, significativamente, di impedimento allo straniero dell’esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana.

Ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria, pertanto, deve ritenersi necessaria e sufficiente la valutazione dell’esistenza e della comparazione degli indicati presupposti (per tutte, Cass. 8819/2020; Cass. 19337/2021), che non sono condizionati dalla eventuale valutazione negativa di credibilità del ricorrente – o, comunque, dal contenuto della sua narrazione, ove pur ritenuta credibile ma non rilevante ai fini della concessione della misura di protezione invocata. A tal fine, il giudizio comparativo deve volgersi altresì alla compiuta disamina anche della condizione economico-sociale del paese di origine, dovendosi verificare se ivi si sia determinata una situazione dettata, oltre che da ragioni d’instabilità politica o da altre e diverse altre cause, anche di assoluta ed inemendabile povertà per alcuni strati della popolazione e di conseguente impossibilità di poter provvedere almeno al proprio sostentamento, dovendosi ritenere configurabile la violazione dei diritti umani, al di sotto del loro nucleo essenziale, anche in questa ipotesi (Cass. n. 12418/2021; n. 16119 del 2020; n. 18443 del 2020);

Il riconoscimento della protezione umanitaria postula – una volta che il richiedente abbia allegato i fatti costitutivi del diritto – l’obbligo per il giudice del merito, di cooperare nell’accertamento della situazione reale del Paese di provenienza, mediante l’esercizio di poteri/doveri officiosi d’indagine, ed eventualmente di acquisizione documentale (Cass. n. 28435/2017; Cass. 18535/2017; Cass. 25534/2016). Il dovere di cooperazione trova fondamento nella Direttiva CE 13.12.2011 n. 95 – in cui art. 4, rubricato come “Esame dei fatti e delle circostanze”, prevede al comma 1 che lo Stato membro è tenuto, in cooperazione con il richiedente, a esaminare tutti gli elementi significativi della domanda – e nel D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 – ove si dispone che la decisione su ogni singola domanda deve essere assunta in modo individuale, obiettivo ed imparziale e sulla base di un congruo esame effettuato ai sensi del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251. In particolare, il comma 3, prevede, riferendosi alla fase amministrativa di esame della domanda, che ciascuna domanda sia esaminata alla luce di informazioni precise e aggiornate circa la situazione generale esistente nel Paese di origine dei richiedenti asilo e, ove occorra, dei Paesi in cui questi sono transitati, elaborate dalla Commissione nazionale sulla base dei dati forniti dall’UNHCR, dall’EASO, dal Ministero degli affari esteri anche con la collaborazione di altre agenzie ed enti di tutela dei diritti umani operanti a livello internazionale, o comunque acquisite dalla Commissione stessa. Specularmente, il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, comma 9, con riferimento alla fase giurisdizionale, prevede che, per la decisione, il giudice si avvalga anche delle informazioni sulla situazione sociopolitico-economica del Paese di provenienza previste dall’art. 8, comma 3, elaborate dalla Commissione Nazionale e rese disponibili all’autorità giudiziaria. A rafforzare tale previsione soccorre, infine, per il giudizio di protezione internazionale, il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 27, comma 1 bis, secondo, il quale il giudice acquisisce anche d’ufficio le informazioni relative al Paese di origine e alla specifica condizione del richiedente.

Il principio, ripetutamente affermato dalla giurisprudenza di questa Corte, a mente del quale la Protezione umanitaria, assieme con le due forme di Protezione maggiori, costituisce un plesso normativo unitario, omogeneo ed esaustivo del diritto di asilo costituzionale, impone di ritenere che, anche al fine della valutazione dei presupposti per il riconoscimento di tale forma di protezione, il giudice sia obbligato ad attivare i suoi poteri istruttori al fine di accertare la situazione e il livello di tutela dei diritti umani fondamentali, per poi formulare, all’esito di tali accertamenti, un necessario giudizio comparativo.

Al fine di ritenere adempiuto tale obbligo officioso, l’organo giurisdizionale è altresì tenuto ad indicare specificatamente le fonti in base alle quali abbia svolto l’accertamento richiesto (Cass. n. 11312 del 2019), ma senza incorrere nell’errore di utilizzare le fonti informative che escludano (a torto o a ragione) l’esistenza di un conflitto armato interno o internazionale (rilevanti al solo fine di valutare la domanda di protezione internazione sub specie del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c)) – al diverso fine di valutare la situazione del Paese di origine sotto l’aspetto della mancata tutela dei diritti umani e del loro nucleo incomprimibile nel riportare il contenuto dello COI utilizzate per escludere l’esistenza di un conflitto armato.

Va pertanto riaffermato il principio di diritto alla luce del quale, secondo l’interpretazione fatta propria dalla giurisprudenza di questa Corte, in tema di protezione umanitaria l’orizzontalità dei diritti umani fondamentali comporta che, ai fini del suo riconoscimento, occorre operare la valutazione comparativa della situazione oggettiva, oltre che eventualmente anche soggettiva, del richiedente asilo con riferimento al Paese di origine sub specie della libera esplicazione dei diritti fondamentali della persona, in raffronto alla situazione d’integrazione raggiunta nel Paese di accoglienza, rilevando a tal fine in modo assolutamente pregnante l’attività lavorativa svolta, alla luce del recente insegnamento delle sezioni unite di questa stessa Corte (Cass., s.u. n. 24413 del 2021).

PQM

La Corte accoglie il primo e il terzo motivo del ricorso, assorbito il secondo, cassa il provvedimento impugnato in relazione ai motivi accolti e rinvia il procedimento al Tribunale di Campobasso, che, in diversa composizione, farà applicazione dei principi di diritto suesposti.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, si dà atto della non sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, se dovuto, per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, il 16 settembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 19 gennaio 2022

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