Corte di Cassazione, sez. III Civile, Ordinanza n.1585 del 19/01/2022

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SESTINI Danilo – Presidente –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

Dott. VALLE Cristiano – Consigliere –

Dott. PORRECA Paolo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 26913/2019 proposto da:

B.F., D.G., rappresentati e difesi dagli avvocati Luca Boselli, e Carlo Fontana, domiciliazione p.e.c.

luca.boselli.ordineavvocatireggioemilia.it;

– ricorrente –

contro

Banca Carige, e per essa la mandataria con rappresentanza s.p.a.

Credito Fondiario, rappresentata e difesa dall’avvocato Giuliana Azzolini, e dall’avvocato Maria Francesca Motta, domiciliazione p.e.c. giuliana.azzolini.ordineavvocatireggioemilia.it;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1662/2019 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA, depositata il 17/05/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 16/11/2021 da Dott. PORRECA PAOLO.

FATTO E DIRITTO

Considerato che:

B.F. e D.G. si opponevano al decreto ingiuntivo loro notificato da Banca Carige s.p.a. esponendo che:

– l’ingiunzione era stata ottenuta nei loro confronti quali fideiussori che avevano garantito il pagamento del canone relativo a un contratto di leasing stipulato tra la Banca e il debitore principale ***** s.r.l., poi dichiarato fallito dopo la ridenominazione in SMER s.r.l.;

– la banca aveva acquistato un compendio immobiliare da SEAM s.n.c. per poi concederlo in locazione finanziaria alla società *****, avente la medesima compagine sociale di SEAM, oltre che stessa sede e identico oggetto sociale;

– era pertanto chiara l’elusione del divieto di patto commissorio;

il Tribunale rigettava la domanda, con pronuncia confermata dalla Corte di appello, secondo cui ostavano in concreto, alla conclusione pretesa dagli originari opponenti, i seguenti elementi accertati: la diversità giuridica tra venditore e locatario; l’assenza di difficoltà economiche sia della s.n.c. che della s.r.l.; l’assenza di sproporzione tra valore di mercato e prezzo ovvero corrispettivo di vendita e leasing;

avverso questa decisione ricorrono per cassazione B.F. e D.G., sulla base di un unico motivo;

resiste con controricorso, corredato da memoria, Credito Fondiario s.p.a., quale mandataria di Banca Carige s.p.a.;

Rilevato che:

con l’unico motivo si prospetta la violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5 e art. 132 c.p.c., n. 4, poiché la Corte di appello avrebbe errato omettendo di motivare ovvero motivando con irresolubile contraddittorietà, con riguardo alla identità soggettiva sostanziale tra SEAM e *****, all’univoco collegamento negoziale tra vendita e leasing finanziario, quest’ultimo perfezionato in concreto per ottenere un finanziamento garantito dal compendio immobiliare, la cui proprietà si sarebbe consolidata in capo alla banca in caso d’inadempimento nel pagamento dei canoni, che riflettevano la restituzione del prestito, come sarebbe stato oggettivamente innegabile se l’operazione fosse stata posta in essere da un medesimo soggetto venditore e locatario;

Rilevato che:

preliminarmente va messo in evidenza che i difensori Carlo Fontana per ricorrenti e Francesca Motta per parte controricorrente, non risultano essere iscritti all’ambo dei patrocinanti presso questa Corte;

le difese, d’altro canto, sono disgiunte con avvocati iscritti nel suddetto albo, e come tali sono valide;

il ricorso è in parte inammissibile, in parte infondato;

la censura ex art. 360 c.p.c., n. 5, è inammissibile stante il divieto ex art. 348-ter c.p.c., comma 5;

questa Corte ha chiarito che nell’ipotesi di “doppia conforme”, prevista dall’art. 348-ter c.p.c., comma 5 (applicabile, ai sensi del D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 2, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 134 del 2012, ai giudizi d’appello introdotti con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione dal giorno 11 settembre 2012), il ricorrente in cassazione – per evitare l’inammissibilità del motivo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 (nel testo riformulato del D.L. n. 83 cit., art. 54, comma 3, ed applicabile alle sentenze pubblicate dal giorno 11 settembre 2012) – deve indicare le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (cfr., ad esempio, Cass., 22/12/2016, n. 26774, Cass., 06/08/2019, n. 20994, Cass., 12/01/2021, n. 268, pag. 9, Cass., 20/10/2021, n. 29002, pag. 8);

la difesa ricorrente argomenta sul punto che le ragioni di fatto della decisione di prime cure e di appello, pur entrambe di rigetto, sarebbero state diverse, e in particolare:

quella del Tribunale fondata sulla constatazione di un’alienazione effettiva, per cui era stato concretamente pagato il prezzo, e non già, dunque, simulante una garanzia per un debito pregresso, e l’insussistenza dell’asserita sproporzione tra valore del bene compravenduto e prezzo pagato (oltre che valore riconosciuto dal contratto di leasing);

quella della Corte di appello sul mancato riconoscimento della identità tra SEAM e *****, ovvero tra venditore e locatario;

queste affermazioni, però, non sono corredate da un’effettiva loro dimostrazione nell’atto di ricorso, che difetta della trascrizione dei relativi passi ritenuti decisivi al riguardo;

e’ stato ribadito con chiarezza che sono inammissibili, per violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, le censure fondate su atti e documenti del giudizio di merito, qualora il ricorrente si limiti a richiamare tali atti e documenti, senza riprodurli nel ricorso ovvero, laddove riprodotti, senza fornire puntuali indicazioni necessarie alla loro individuazione con riferimento alla sequenza dello svolgimento del processo inerente alla documentazione, come pervenuta presso la Corte di cassazione, al fine di renderne possibile l’esame, ovvero, ancora, senza precisarne la collocazione nel fascicolo di ufficio o in quello di parte e la loro acquisizione o produzione in sede di giudizio di legittimità (Cass., 27/12/2019, n. 34469);

tale inammissibilità sussiste, logicamente, anche con riguardo alla mancanza di trascrizione delle parti delle sentenze delle fasi di merito, quale atti processuali che, nel caso, debbono essere apprezzati nel loro raffronto proprio per valutare l’ammissibilità della censura (cfr. Cass., Sez. U., 28 novembre 2018, n. 30754, che, nell’ottica concorrente dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, riafferma l’impossibilità di attingere, esternamente al ricorso che per questo si rivela aspecifico, alle sentenze delle fasi di merito, evocando Cass. n. 21396 del 2018);

e va ricordato, per completezza, che anche laddove vengano denunciati con il ricorso per cassazione vizi processuali, in relazione ai quali la Corte è anche giudice del fatto, potendo accedere direttamente all’esame degli atti processuali del fascicolo di merito, si prospetta preliminare a ogni altra questione quella concernente l’ammissibilità del motivo in relazione ai termini in cui è stato esposto, con la conseguenza che solo quando sia stata accertata la sussistenza di tale ammissibilità diventa possibile valutare la fondatezza del motivo medesimo e, dunque, esclusivamente nell’ambito di quest’ultima valutazione, la Corte di cassazione può e deve procedere direttamente all’esame e all’interpretazione degli atti processuali (cfr., tra le altre, Cass., 13/03/2018, n. 6014, Cass., 29/09/2017, n. 22880, pag. 2, Cass., 13/05/2016, n. 9888, pag. 15, Cass., 03/05/2016, n. 8659, pag. 4, Cass., 20/07/2012, n. 12664, Cass., 10/01/2012, n. 86);

fermo quanto osservato, può aggiungersi che dalla stessa sentenza di appello emergono smentite a quanto affermato dalla difesa ricorrente:

– anche la Corte territoriale ha fatto propria la “ratio decidendi” della sopra descritta insussistenza della sproporzione di valore tra parametro di mercato, prezzo e corrispettivo dei negozi coinvolti (pag. 7, terzultimo capoverso, della sentenza gravata);

– anche il Tribunale, secondo quanto riferisce la Corte di appello, aveva osservato che la banca aveva pagato il prezzo di acquisito a *****, che non era debitrice della Carige stessa (pag. 2, secondo capoverso, della sentenza gravata);

in aggiunta, la Corte territoriale ha poggiato la decisione anche sulla mancanza di effettive difficoltà economiche delle due società, ampiamente motivata in fatto (pagg. 6 e 7 della sentenza gravata), senza che la difesa ricorrente nulla dica sul se tale elemento e argomento fossero stati impiegati, e come, dal Tribunale;

né l’osservazione che parte ricorrente riferisce aver fatto il Tribunale, per cui la nullità in parola avrebbe inciso solo sull’effetto traslativo e non sull’inadempimento di un debito che restava sussistente, può spostare alcunché, trattandosi di rilievo “in iure” e non in fatto, oltre che meramente aggiuntivo e ipotetico (affermato, cioè, ammettendo, solo in astratto, la nullità invece negata);

esclusa dunque l’ammissibilità della censura ex art. 360 c.p.c., n. 5, risulta evidente che l’evocazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4, è solo formalmente distinta;

gli addebiti dell’unico motivo sono, in tesi, quelli di omesso esame, e non d’insussistenza radicale della motivazione (quale prevista dalla ulteriore norma citata), ipotesi che contrasta con le stesse deduzioni di parte ricorrente, manifestandosi evidentemente infondata;

né potrebbe in alcun modo ipotizzarsi una riqualificazione del motivo come vizio di sussunzione dei fatti accertati, e non rivalutabili come tali in questa sede di legittimità, nella fattispecie legale quale ricostruita dalla giurisprudenza di questa Corte;

il “sale and lease back” configura infatti un contratto d’impresa socialmente tipico che, come tale, è astrattamente valido, ferma la necessità di verificare, caso per caso, la presenza di elementi sintomatici atti ad evidenziare che la vendita sia stata posta in essere in funzione di garanzia e sia volta, pertanto, ad aggirare il divieto del patto commissorio: a tal fine, però, l’operazione contrattuale può definirsi fraudolenta nel caso in cui si accerti, con una indagine tipicamente fattuale, sindacabile in sede di legittimità soltanto sotto il profilo della correttezza della motivazione – quando e nei limiti in cui ammissibile – la compresenza delle seguenti circostanze: l’esistenza di una situazione di credito e debito tra la società che finanzia e l’impresa venditrice utilizzatrice, le difficoltà economiche di quest’ultima, la sproporzione tra il valore del bene trasferito e il corrispettivo versato dall’acquirente (cfr., da ultimo, Cass., 22/02/2021, n. 4664);

in altri termini “soltanto il concorso di tali elementi sintomatici…vale a fondare ragionevolmente la presunzione che il “lease back”, contratto d’impresa per sé lecito, sia stato in concreto impiegato per eludere il divieto di patto commissorio e sia pertanto nullo perché in frode alla legge…” poiché ” la compresenza di tutti gli indici sintomatici suddetti risponde alla necessità – evidenziata dalla… dottrina… di non circoscrivere eccessivamente l’impiego del “sale and lease back”, nonché, più in generale, di non ostacolare l’emersione, sul piano delle relazioni commerciali, di nuove forme di garanzia sussidiaria, volte a salvaguardare con maggiore efficienza le ragioni del creditore, nonché a consentire un più rapido e sicuro soddisfacimento dei suoi interessi, indipendentemente dalla collaborazione del debitore, dovendo, invero, riconoscersi come l’autonomia privata risulti essersi da tempo indirizzata verso strumenti solutori alternativi all’espropriazione forzata, e ciò nel tentativo di contemperare due diverse esigenze: da un lato, la necessità di offrire un’idonea sicurezza al creditore, attribuendogli poteri di autosoddisfazione esecutiva; dall’altro, quello di rendere meno gravosa per il debitore o per il terzo garante la prestazione della garanzia” (Cass., n. 4664 del 2021, cit., p. 6.3.3.);

e decisivo, in questa prospettiva, risulta l’indice del difetto di sproporzione, più volte richiamato, e non focalizzato dalla censura di parte ricorrente, atteso che riflette la tutela delle ulteriori posizioni del ceto creditorio;

spese secondo soccombenza.

PQM

La Corte rigetta il ricorso condannando i ricorrenti, in solido, alla rifusione delle spese processuali di parte controricorrente, liquidate in Euro 10.200,00 oltre 200,00 per esborsi, oltre 15% di spese forfettarie e accessori legali.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti in solido, se dovuto, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per l’impugnazione.

Così deciso in Roma, il 16 novembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 19 gennaio 2022

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