Corte di Cassazione, sez. Unite Civile, Ordinanza n.1603 del 19/01/2022

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Primo Presidente f.f. –

Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente di Sez. –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –

Dott. FERRO Massimo – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 3596/2021 proposto da:

SAN RAFFAELE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, LARGO MESSICO 7, presso lo studio dell’avvocato FEDERICO TEDESCHINI, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato FABIANA SEGHINI;

– ricorrente –

contro

REGIONE LAZIO, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA MARCANTONIO COLONNA 27, presso gli Uffici dell’Avvocatura regionale, rappresentata e difesa dall’avvocato GIUSEPPE ALLOCCA;

AZIENDA SANITARIA LOCALE *****, (già AUSL *****), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato STEFANO MERELLI;

– controricorrenti –

e contro

PREFETTO DELLA PROVINCIA DI ROMA;

– intimato –

avverso la sentenza n. 4217/2020 del CONSIGLIO DI STATO, depositata il 01/07/2020;

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 14/12/2021 dal Consigliere LINA RUBINO;

lette le conclusioni scritte del Procuratore Generale Aggiunto LUIGI SALVATO, il quale chiede che la Corte dichiari il ricorso inammissibile.

FATTI DI CAUSA

1.- La San Raffaele s.p.a. propone ricorso per cassazione, articolato in quattro motivi ed illustrato da memoria, notificato il 28 gennaio 2021, nei confronti della Regione Lazio, dell’Azienda Sanitaria Locale ASL ***** e del Prefetto di Roma, per la cassazione della sentenza emessa dal Consiglio di Stato, Sezione Terza giurisdizionale, n. 4217/2020, all’esito di giudizio di revocazione, pubblicata il 1 luglio 2020, non notificata.

2. – Resistono con distinti controricorsi la Regione Lazio e l’Azienda Sanitaria Locale ASL *****. Quest’ultima ha depositato anche memoria.

3. – Il P.M. ha depositato conclusioni scritte, con le quali chiede che si dichiari l’inammissibilità del ricorso.

4. – La causa è stata avviata alla trattazione in adunanza camerale.

5. – Questa l’articolata vicenda giudiziaria a monte dell’odierno ricorso:

– nel 2011, con determinazione B4931, la Regione Lazio disponeva la revoca dell’autorizzazione all’esercizio della casa di cura San Raffaele di Velletri, gestita dalla San Raffaele s.p.a., con conseguente revoca anche dell’accreditamento della stessa nell’ambito del Servizio Sanitario Nazionale, per mancanza di idonei requisiti strutturali, carenza dei requisiti organizzativi, e carenza dei criteri di congruità e appropriatezza delle prestazioni;

– la San Raffaele s.p.a. presentava ricorso al Tar avverso tale determinazione (rigettato con sentenza n. 9519 del 2018), ed istanza di riesame della sua posizione alla Regione, sulla quale nel 2013 la Regione si esprimeva negativamente. Quest’ultimo provvedimento veniva impugnato dinanzi al TAR del Lazio che, in accoglimento del ricorso, ordinava alla Regione di rinnovare il procedimento;

– la Regione Lazio provvedeva al riesame della posizione della struttura sanitaria, e adottava un provvedimento negativo, anch’esso impugnato dalla ricorrente dinanzi al TAR;

– nel 2014 il Tar accoglieva il ricorso della società San Raffaele e i motivi aggiunti;

– nel 2015 la San Raffaele proponeva ricorso per ottemperanza della sentenza, a seguito del quale la Regione adottava nuovamente una determinazione in cui dava atto dell’esito negativo del procedimento di riesame;

– anche questo provvedimento veniva impugnato dinanzi al TAR;

– nel 2016 il TAR del Lazio dichiarava la nullità di quest’ ultimo provvedimento ordinando alla Regione Lazio di dare corretta esecuzione alla sentenza del TAR n. 3017 del 2014 e in difetto nominava un commissario ad acta;

– nel 2017 il commissario ad acta depositava la sua relazione finale, in cui dichiarava che il procedimento di riesame della revoca della autorizzazione non avrebbe potuto comunque avere esito positivo perché la conseguita agibilità dell’immobile riguardava solo il requisito della salubrità, ma non anche la conformità urbanistica, che in ogni caso difettava;

– la San Raffaele s.p.a. impugnava con ricorso-reclamo la relazione del commissario ad acta;

– il TAR del Lazio respingeva sia il ricorso-reclamo che l’originario ricorso promosso dalla ricorrente contro il provvedimento di revoca dell’autorizzazione;

– le due sentenze erano autonomamente impugnate davanti al Consiglio di Stato, che respingeva entrambi i menzionati ricorsi in appello;

– la San Raffaele s.p.a. proponeva ricorso per revocazione avverso le due sentenze rese dal Consiglio di Stato, richiamando in quella sede la sentenza penale di pieno proscioglimento, emessa a chiusura del procedimento penale che aveva dato origine all’attivazione della Regione ed alla revoca dell’accreditamento per la clinica di Velletri facente parte del gruppo.

6. – Con la sentenza n. 4217/2020, qui impugnata, il Consiglio di Stato, previa la riunione dei due giudizi, ha dichiarato l’improcedibilità del ricorso n. 8822 del 2019, e l’inammissibilità di entrambi i ricorsi per revocazione proposti dalla San Raffaele s.p.a., precisando:

– quanto alla improcedibilità del ricorso avverso la sentenza n. 4457/2019, che l’originario provvedimento di revoca dell’autorizzazione sanitaria doveva ritenersi superato ed assorbito dal successivo provvedimento commissariale, adottato a seguito di una lunga istruttoria, che si era ormai sovrapposto all’originario provvedimento di revoca, in chiave non meramente confermativa: da ciò discendeva che l’eventuale accoglimento della domanda di annullamento avente ad oggetto il provvedimento di revoca originario quale esito ultimo del ricorso per revocazione non avrebbe prodotto alcuna effettiva utilità per la ricorrente;

– ritiene poi che entrambi i ricorsi non superino la fase rescindente del giudizio di revocazione, in quanto essi non indicano in effetti dati fattuali che la Sezione avrebbe erroneamente trascurato o travisato, ma censurano il complesso ordito argomentativo della sentenza impugnata: non sono state obliterate, in particolare, dal provvedimento impugnato le conclusioni tratte dalla Commissione tecnica regionale, in quanto le stesse sono state considerate e non condivise sulla base di autonome considerazioni desunte dall’analisi del complessivo contesto giuridico-fattuale caratterizzante la struttura;

– il Giudice amministrativo osserva inoltre che i motivi di revocazione relativi alla questione della regolarità urbanistica ed edilizia della struttura devono ritenersi inammissibili perché si risolvono nella contestazione dell’erroneo, inesatto o incompleto apprezzamento delle risultanze processuali o di anomalie nel procedimento logico di interpretazione del materiale probatorio, che per costante giurisprudenza sono estranee al perimetro di ammissibile proposizione della domanda di revocazione (e richiama in tal senso Consiglio di Stato, sez. III, n. 7938/2019);

– aggiunge, quanto ai profili di inammissibilità del secondo ricorso revocatorio, riunito, che, quanto alla sentenza assolutoria resa in sede penale, essa non aveva alcuna diretta incidenza nel giudizio di revocazione, in quanto, in assoluto, le conclusioni del giudice penale non si prestavano ad incidere sull’ambito decisorio di un gravame a critica vincolata come il giudizio per revocazione, denotando semplicemente la diversità di valutazione espressa da due diversi ordini giurisdizionali, quello amministrativo e quello penale, in ordine a una medesima vicenda sostanziale sulla scorta dei propri ed autonomi diversi canoni probatori e parametri di giudizio;

– aggiunge infine la sentenza del Consiglio di Stato impugnata che la sentenza di assoluzione in sede penale non conteneva neppure puntuali osservazioni sull’oggetto delle controversie decise con le sentenze oggetto di revocazione, perché incentrata su profili valutativi strettamente connessi alla responsabilità soggettiva degli imputati e non sull’accertamento dell’esistenza o meno della regolarità urbanistico-edilizia della struttura, che aveva costituito materia principale dei giudizi definiti con le sentenze emesse dal giudice amministrativo.

RAGIONI DELLA DECISIONE

7. – Avverso la sentenza del Consiglio di Stato emessa all’esito del giudizio di revocazione propone ricorso la San Raffaele s.p.a., articolato in quattro motivi, denunciando, con il primo motivo di ricorso, l’eccesso di potere giurisdizionale nonché la violazione dei limiti esterni della giurisdizione per sconfinamento ed il contrasto tra giudicati.

Sostiene la ricorrente che il Consiglio di Stato, con la sentenza per revocazione, si sarebbe posto contro il giudicato formatosi in seno al giudizio penale che avrebbe ad oggetto i medesimi fatti, adducendo che si tratti solo di diversità di valutazioni tra due diversi ordini giurisdizionali.

Ricorda che l’art. 654 c.p.p., postula l’efficacia extrapenale della sentenza penale irrevocabile di condanna o di assoluzione pronunciata in seguito a dibattimento quando nel giudizio amministrativo si controverta intorno a un diritto o un interesse legittimo il cui riconoscimento dipende dall’accertamento di quegli stessi fatti materiali che furono oggetto del giudizio penale, e sostiene che nel caso di specie proprio degli stessi fatti materiali si trattava, ovvero delle carenze strutturali dell’immobile di Velletri e delle carenze organizzative della struttura.

Non contesta che sotto il profilo oggettivo il vincolo del giudicato copra l’accertamento dei fatti materiali e non anche la loro qualificazione o valutazione giuridica, che rimane circoscritta al processo penale e non può condizionare l’autonoma valutazione da parte del giudice amministrativo; sostiene però che nel caso di specie non vi era spazio per una autonoma valutazione da parte del giudice amministrativo in quanto si trattava di abuso edilizio in cui l’accertamento poteva essere soltanto di esistenza o di inesistenza.

8. – Con il secondo motivo la ricorrente deduce nuovamente che la sentenza sia viziata per eccesso di potere giurisdizionale in relazione ai limiti esterni della giurisdizione, denegata giustizia, violazione del divieto di bis in eadem nonché del principio di effettività della tutela giurisdizionale e infine la violazione dell’art. 4, protocollo 7 della Cedu.

Ricostruisce l’evoluzione della giurisprudenza in merito al giudizio sui limiti esterni della giurisdizione sostenendo che essa ricomprenda tutte le ipotesi in cui si abbia un radicale stravolgimento delle norme Europee di riferimento e quindi una violazione del canone di effettività della tutela giurisdizionale. Ricostruisce l’evoluzione giurisprudenziale delle Corti Europee in merito al principio del ne bis in idem ed alla interpretazione dell’art. 4, comma 7, della Cedu, affermando che più volte la Corte di Strasburgo abbia affrontato il problema della eventuale sovrapposizione di sanzioni di diversa natura per lo stesso fatto. Ricorda che costituisce ormai ius receptum l’approdo interpretativo per il quale la regola del ne bis in idem si applica non solo al settore penale, come definito dai singoli sistemi nazionali, ma anche alle sanzioni amministrative fiscali, doganali o disciplinari che rivestano carattere penale in ragione della loro afflittività. Sostiene che l’aver chiuso definitivamente una clinica, sottraendo al territorio della Asl di appartenenza centinaia di posti letto di degenza si traduca in una sanzione pesantemente punitiva nei confronti della ricorrente, ed in particolare che aveva di fatto esplicato funzione punitiva l’originario provvedimento di revoca dell’autorizzazione e dell’accreditamento in capo alla ricorrente per la clinica di Velletri, assimilabile, quanto alla sua afflittività, e alla applicabilità del principio del ne bis in idem, alla sanzione penale.

9. – Con il terzo motivo di ricorso la ricorrente San Raffaele s.p.a. deduce nuovamente l’eccesso di potere giurisdizionale e la violazione del principio di effettività della tutela giudiziaria: sottolinea che l’autonoma decisione adottata in sede di giustizia amministrativa in relazione ai medesimi fatti materiali già oggetto di giudizio in sede penale ha comportato, all’esito del processo amministrativo, la totale vanificazione del giudicato penale di segno opposto, che aveva escluso la responsabilità della ricorrente.

10. – Infine, con il quarto motivo di ricorso, nel denunciare la configurabilità dell’eccesso di potere giurisdizionale per violazione dei limiti esterni nonché la denegata giustizia richiama il principio espresso da questa Corte con sentenza n. 2242 del 2015, laddove si afferma che alla regola della non estensione agli errori in iudicando e in procedendo del sindacato della Corte di Cassazione sulle decisioni del giudice amministrativo può derogarsi nei casi eccezionali o estremi di radicale stravolgimento delle norme di riferimento, tale da ridondare in manifesta, denegata giustizia.

11. – Il ricorso è inammissibile.

La ricorrente censura la sentenza impugnata, emessa dal Consiglio di Stato all’esito della fase rescindente di un giudizio di revocazione, sotto il comune ambito della violazione dei limiti esterni della giurisdizione, che specifica in quattro diversi profili, consistenti rispettivamente nella violazione del principio del giudicato, nella violazione del divieto del ne bis in idem, nel mancato rispetto del principio di effettività della tutela giurisdizionale, nella denegata giustizia per totale stravolgimento delle norme di riferimento.

Le censure come formulate sono indirizzate verso l’accertamento dei fatti risultante dalla decisione impugnata per revocazione, della quale criticano la corretta applicazione delle regole di giudizio e le conseguenze della dichiarazione d’inammissibilità dell’impugnazione straordinaria. Tali censure non investono l’osservanza, da parte del Consiglio di Stato, dell’ambito dei poteri ad esso spettanti in sede di verifica dei presupposti che legittimano la proposizione dell’istanza di revocazione, e segnatamente della sussistenza dell’errore di fatto risultante dagli atti o dai documenti di causa, il cui riscontro, costituendo l’unico oggetto della pronuncia d’inammissibilità, rappresenta anche la sola possibile occasione di superamento, da parte del Giudice amministrativo, dei limiti esterni della propria giurisdizione nell’ambito della fase rescindente del giudizio di revocazione. L’estraneità a quest’ultimo profilo esclude la possibilità di dare ingresso alle censure proposte, conformemente al costante orientamento di questa Corte, secondo cui in sede di ricorso per cassazione avverso la sentenza del Consiglio di Stato che ha pronunciato sull’impugnazione per revocazione, può insorgere questione di giurisdizione soltanto con r uardo al potere giurisdizionale esercitato mediante la statu zione adottata sulla revocazione stessa (cfr. Cass., Sez. Un., n. 31031 del 2019, n. 23101 del 2019, 27/01/2016, n. 1520; 23/07/2014 n. 16754; 5 30/07/2008, n. 20600; 24/11/1986, n. 6891; 19/02/1982, n. 1049). Tale principio, che il Collegio condivide ed intende ribadire anche in questa sede, trova applicazione, in particolare, allorché, come nella specie, vi sia stata la valutazione delle condizioni di ammissibilità dell’istanza di revocazione da parte del Consiglio di Stato, dovendo in tal caso escludersi in linea di principio l’ammissibilità del ricorso per cassazione, giacché con esso non potrebbe venire in discussione la sussistenza o meno del potere giurisdizionale di operare detta valutazione, e dunque una violazione di quei limiti esterni alla giurisdizione del Giudice amministrativo rispetto alla quale soltanto è ammesso il ricorso in sede di legittimità (cfr. Cass. Sez. Un. 23101 del 2019; Cass. Sez. Un. 28214 del 2019; Cass., Sez. Un., 8/04/2008, n. 9150).

Non bisogna infatti perdere di vista che qui non è impugnata una sentenza del Consiglio di Stato resa come giudice ultimo della giurisdizione amministrativa, pur sempre sindacabile seppur entro i ristretti limiti posti dall’art. 362 c.p.c., ma una pronuncia resa dal Consiglio di Stato in sede di impugnazione straordinaria per revocazione, in cui, all’esito della preliminare fase rescindente, il Consiglio di Stato ha dichiarato inammissibile l’impugnazione. Quindi, vi è già stata la decisione del Consiglio di Stato come giudice di ultima istanza della giurisdizione amministrativa, e vi è anche stata la decisione del Consiglio di Stato come giudice della revocazione, che si è chiusa al termine della fase rescindente con una valutazione preliminare di inammissibilità della impugnazione proposta. In questa tipologia di situazioni deve affermarsi che non vi sia spazio, di regola, per il ricorso per cassazione che, se proposto, deve essere dichiarato in limine inammissibile, considerato:

– che il ricorso per cassazione, avverso le decisioni del giudice amministrativo, è proponibile sempre e soltanto per motivi attinenti alla giurisdizione, nella attuale circoscritta interpretazione del sindacato sulla violazione dei limiti esterni della giurisdizione;

– che, in caso di sentenza resa in sede di revocazione, l’eccesso di potere giurisdizionale qui denunciabile potrebbe essersi verificato solo nell’ambito dell’esercizio di potere giurisdizionale esplicato con la statuizione avente ad oggetto la configurabilità o meno dell’ipotesi denunciata di revocazione e l’astratta decisività di essa.

Se, come nella specie, la decisione del Consiglio di Stato si sia fermata a valutare le condizioni di ammissibilità della istanza di revocazione (escludendole, a conclusione della fase rescindente), nel compiere questo giudizio non è neppure astrattamente prospettabile la possibilità che il giudice sia incorso nella violazione dei limiti esterni della giurisdizione, rispetto ai quali soltanto è ammesso il ricorso in sede di legittimità, proprio per l’oggetto circoscritto del giudizio rescindente, nel corso del quale il giudice incaricato è tenuto a valutare, preliminarmente, se l’ipotesi revocatoria denunciata è rientrante nella categoria tassative delle ipotesi descritte dall’art. 395 c.p.c.: è quindi innanzi tutto un giudizio sul giudizio, in cui, anche laddove fosse ipotizzabile una violazione di legge, essa ricadrebbe sull’applicazione di quella regola del processo, e quindi si collocherebbe comunque fuori dai limiti di una censura attinente all’esercizio della giurisdizione.

La fase rescindente non consta peraltro soltanto di una valutazione processuale ma anche della considerazione di decisività del vizio denunciato, ove esistente. La censura su questa delibazione si tradurrebbe comunque nella denuncia di un errore in iudicando compiuto dal giudice della revocazione, comunque esulante dal perimetro del ricorso per motivi di giurisdizione.

E in effetti, non è l’eccesso di potere giurisdizionale consumato dal giudice del provvedimento impugnato che la ricorrente denuncia nel caso in esame: i motivi di ricorso per revocazione sono piuttosto volti ad illustrare gli errori in cui sarebbe incorso il giudice amministrativo del provvedimento revocando, laddove ha escluso che l’assoluzione in sede penale travolgesse il provvedimento amministrativo revocatorio della autorizzazione (per carenze edilizie) a gestire la casa di cura di Velletri, evocando quindi errori in procedendo e in iudicando eventualmente verificatisi nell’ambito del giudizio di merito, entrambi non rientranti nello stretto perimetro della violazione dei limiti esterni della giurisdizione.

12. – Inoltre, riprendendo le puntuali considerazioni del P.G. non efficacemente contrastate dalla memoria, occorre rilevare che:

-la sentenza impugnata ha affermato che una delle pronunce oggetto del ricorso per revocazione (il ricorso n. 8820/2019) si regge su plurimi quanto autonomi capisaldi motivazionali che non hanno costituito oggetto di alcun motivo astrattamente revocatorio, individuando in ciò una autonoma ragione di inammissibilità del ricorso per revocazione;

-la stessa sentenza dichiara preliminarmente improcedibile, ancor prima che inammissibile, il ricorso n. 8822/2019.

Nessuna di queste due rationes sono state attaccate con il ricorso in esame, facendo emergere altrettanti, aggiuntivi profili di inammissibilità.

Infine, in generale, neppure l’eventuale incoerenza tra un giudicato penale e l’accertamento operato da un giudice speciale, né la violazione del principio del ne bis in idem integrano questioni esorbitanti dai limiti interni della giurisdizione (v. Cass. S.U. n. 19174, n. 15490 e n. 14320 del 2020; Cass. S.U. n. 29082 del 2019).

Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come al dispositivo.

Il ricorso per cassazione è stato proposto in tempo posteriore al 30 gennaio 2013, e la ricorrente risulta soccombente, pertanto è gravata dall’obbligo di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 bis, comma 1 quater.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Pone a carico della ricorrente le spese di giudizio sostenute dalle controricorrenti, che liquida in complessivi Euro 8.000,00, in favore della Regione, ed in complessivi Euro 10.000,00 in favore della ASL Roma 6, oltre 200,00 per esborsi, oltre contributo spese generali ed accessori.

Dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Corte di Cassazione, il 14 dicembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 19 gennaio 2022

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