LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BERRINO Umberto – Presidente –
Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –
Dott. CALAFIORE Daniela – Consigliere –
Dott. CAVALLARO Luigi – Consigliere –
Dott. SPAZIANI Paolo – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 19285-2014 proposto da:
I.L.MAN INDUSTRIA LAVORAZIONE MANDORLE S.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA OSLAVIA 28, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE SPEZIALE, rappresentata e difesa dagli avvocati ANGELO STELLA, LUIGI TOSCHES;
– ricorrente –
contro
I.N.P.S., – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona del suo Presidente e legale rappresentante pro tempore, in proprio e quale mandatario della S.C.C.I. S.P.A. – Società di Cartolarizzazione dei Crediti I.N.P.S., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentati e difesi dagli avvocati ANTONINO SGROI, LELIO MARITATO, CARLA D’ALOISIO, EMANUELE DE ROSE, GIUSEPPE MATANO;
– resistenti con mandato –
e contro
EQUITALIA SUD S.P.A.;
– intimata –
avverso la sentenza n. 3849/2013 della CORTE D’APPELLO di BARI, depositata il 06/02/2014 R.G.N. 7638/2010;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 18/11/2021 dal Consigliere Dott. PAOLO SPAZIANI.
RILEVATO
che:
nel giugno 2008, la I.L.MAN., Industria Lavorazione Mandorle s.r.l. – premesso che nel 2002, con la cartella esattoriale n. *****, la SESIT Puglia s.p.a., per conto dell’INPS, le aveva ingiunto il pagamento della somma di Euro 208.096,37, per una serie di violazioni contributive, descritte in un verbale di accertamento ispettivo già notificatole nel 1997 e da essa debitamente impugnato L. n. 689 del 1981, ex art. 18 senza che peraltro l’INPS avesse proceduto alla richiesta audizione personale del suo legale rappresentante né avesse assunto i previsti alternativi provvedimenti di ingiunzione od archiviazione, da ritenersi necessari prima della riforma normativa del procedimento operata con D.Lgs. n. 124 del 2004 – convenne in giudizio dinanzi al tribunale di Bari, in funzione di Giudice del lavoro, l’INPS, la SCCI s.p.a. (Società di Cartolarizzazione dei Crediti INPS), la SESIT Puglia s.p.a. e la Equitalia E.TR. s.p.a., domandando l’annullamento della predetta cartella esattoriale, nonché degli atti successivi da essa dipendenti, consistenti nella iscrizione ipotecaria comunicatale nel 2005 dalla stessa SESIT, e nell’intimazione di pagamento notificatale a cura di Equitalia E.TR. s.p.a. nel maggio 2008;
nella contumacia dell’INPS e della SESIT e nel contraddittorio con la sola Equitalia E.TR. (la quale, costituendosi in giudizio, aveva, tra l’altro, eccepito l’inammissibilità dell’impugnazione della cartella, in quanto proposta dopo la scadenza del termine perentorio di quaranta giorni previsto dal D.Lgs. n. 46 del 1999, art. 24), il tribunale accolse l’opposizione, sul rilievo che l’INPS avrebbe avuto l’obbligo di concludere il procedimento introdotto dalla ricorrente ai sensi della L. n. 689 del 1981, art. 18 alternativamente, con un provvedimento di archiviazione o con una ordinanza ingiunzione e che, in mancanza di detto provvedimento monitorio, la successiva cartella esattoriale doveva ritenersi nulla o inesistente, in quanto priva del “presupposto impositivo”;
la Corte di appello di Bari – adita dall’INPS con appello principale e da Equitalia Sud s.p.a. (nelle more subentrata ad Equitalia E.TR. s.p.a.) con appello incidentale – in riforma della sentenza di primo grado, ha rigettato l’opposizione proposta da I.L. MAN. s.r.l., sul contrario rilievo che, a prescindere dalla sussistenza di un rapporto di pregiudizialità tra il procedimento L. n. 689 del 1981, ex art. 18 e la procedura di riscossione mediante iscrizione a ruolo del credito previdenziale, assumeva carattere assorbente il preliminare accertamento della tardività della impugnazione, da ritenersi inammissibile poiché proposta dopo la scadenza del termine perentorio di quaranta giorni dalla notifica della cartella di pagamento, previsto dal D.Lgs. n. 46 del 1999, art. 24, comma 5;
propone ricorso per cassazione la I.L. MAN. s.r.l. sulla base di quattro motivi; non rispondono gli intimati INPS ed Equitalia Sud s.p.a.; il procuratore generale ha depositato conclusioni scritte, invocando il rigetto del ricorso.
CONSIDERATO
che:
1. il primo motivo denuncia, per un verso, “omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su punti decisivi della controversia, prospettati dall’appellata o comunque rilevabili d’ufficio” e, per altro verso, “illogicità – petizione di principio – ingiustizia manifesta violazione ed errata applicazione di norme di diritto”, con riferimento alla L. n. 689 del 1981, art. 18 applicabile ratione temporis, e alla L. n. 389 del 1989;
la ricorrente deduce anzitutto l’erronea applicazione, ratione temporis, del D.Lgs. n. 46 del 1999, entrato in vigore il 1 luglio 1999, che assoggetta il recupero dei crediti contributivi alla disciplina della procedura mediante iscrizione a ruolo, sul presupposto che tale procedura dovrebbe ritenersi limitata ai crediti maturati dall’ente previdenziale successivamente alla data di entrata in vigore del predetto D.Lgs. e che, pertanto, nella vicenda in esame, venendo in considerazione un presunto credito maturato prima di tale data (oggetto di accertamento ispettivo già nel 1997), avrebbe dovuto farsi applicazione della diversa L. n. 389 del 1989, la quale assoggettava il recupero dei crediti previdenziali all’ordinaria disciplina civilistica;
sostiene, inoltre, che, in ogni caso, una volta che avverso il verbale di accertamento era stata proposta impugnazione ai sensi della L. n. 689 del 1981, art. 18 l’INPS, previa audizione dell’interessato, avrebbe dovuto assumere i provvedimenti previsti da questa norma, la quale, prima di essere modificata dal D.Lgs. n. 124 del 2004, stabiliva che il procedimento si concludesse alternativamente o con ordinanza ingiunzione o con provvedimento di archiviazione; la mancata conclusione del procedimento amministrativo rendeva radicalmente nullo e giuridicamente inesistente il successivo titolo esecutivo, formatosi in mancanza del necessario presupposto impositivo, nonché la conseguente iscrizione ipotecaria;
evidenzia, infine, che con l’azione giudiziaria proposta nel 2008 si era inteso contestare proprio il diritto dell’ente previdenziale di procedere ad esecuzione forzata, trattandosi di pretesa fondata su di un titolo esecutivo giuridicamente inesistente, e che tale azione, da qualificarsi come opposizione all’esecuzione (e rispetto alla quale doveva ritenersi altresì sussistente la legittimazione passiva del concessionario), non era soggetta a termini di decadenza;
2. il secondo motivo denuncia, oltre a “violazione, omessa ed errata applicazione di norme di diritto” (ancora con riferimento alla L. n. 689 del 1981, art. 18), anche “mancata disamina di documentazione – omessa motivazione – illogicità”;
secondo la ricorrente, la pronuncia della Corte territoriale sarebbe viziata nella parte in cui ha omesso di considerare che, instaurato il procedimento ai sensi della L. n. 689 del 1981, art. 18 l’INPS, ove avesse ritenuto fondato l’accertamento impugnato, avrebbe avuto l’obbligo di emettere una ordinanza ingiunzione, in mancanza della quale, per un verso, avrebbero dovuto ritenersi radicalmente nulli sia la successiva cartella esattoriale sia la conseguente iscrizione ipotecaria, per altro verso avrebbero dovuto ritenersi maturati i termini di prescrizione e decadenza della pretesa poi azionata da Equitalia;
3. il terzo motivo denuncia “difetto di motivazione per altri versi omessa considerazione di elementi e di documenti rilevanti – conflitto di giudicati – Illogicità manifesta”;
la ricorrente, in primo luogo, deduce che con l’instaurazione del procedimento L. n. 689 del 1981, ex art. 18 era stato debitamente impugnato l’atto posto a monte del procedimento, vale a dire l’atto prodromico alla iscrizione a ruolo, concretandosi una opposizione di carattere preventivo rispetto a tale iscrizione, che avrebbe escluso la necessità di proporre una opposizione successiva avverso l’atto a valle, costituito dalla cartella esattoriale; ciò in conformità all’insegnamento della giurisprudenza di legittimità, indebitamente disatteso dalla Corte territoriale, per il quale l’impugnazione dell’atto a valle sarebbe persino inopportuna perché potenzialmente in grado di generare un conflitto di giudicati; in secondo luogo, individua un difetto di motivazione nell’indebito accostamento, asseritamente operato dalla Corte di merito, tra procedimento monitorio e procedimento di riscossione mediante iscrizione a ruolo;
4. gli illustrati motivi di ricorso per cassazione – che possono essere esaminati congiuntamente per evidenti ragioni di connessione – sono in parte inammissibili e in parte infondati;
4.1. sono inammissibili nella parte in cui denunciano il vizio di motivazione della sentenza impugnata. Questa denuncia, infatti, non tiene conto che, per effetto della nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, introdotta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134 – applicabile alle sentenze pubblicate dopo il giorno 11 settembre 2012, e dunque anche alla sentenza impugnata con l’odierno ricorso, depositata il 6 febbraio 2014 -, il controllo sulla motivazione può investire esclusivamente l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, la quale sussiste nelle sole ipotesi di “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, di “motivazione apparente”, di “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e di “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, sicché il sindacato sulla motivazione è possibile solo con riferimento al parametro dell’esistenza e della coerenza, non anche con riferimento al parametro della sufficienza (Cass. Sez. U. 07/04/2014, nn. 8053 e 8054; v. anche Cass. 08/10/2014, n. 21257 e Cass. 12/10/2017, n. 23940);
Nella vicenda in esame non solo devono escludersi vizi riconducibili all’inesistenza (sotto il profilo della mancanza assoluta o della mera apparenza) o all’incoerenza della motivazione (sotto il profilo della sua perplessità, dell’obiettiva incomprensibilità o della sussistenza di un contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili) – atteso che, al contrario, la Corte di merito ha esaustivamente dato conto delle ragioni per le quali ha ritenuto inammissibile la spiegata opposizione alla cartella esattoriale – ma deve ritenersi che tali vizi non siano stati neppure denunciati, atteso che la ricorrente, pur facendo formale riferimento non solo all'”insufficiente e contraddittoria motivazione su punti decisivi della controversia”, ma anche all'”omissione” di essa, ne ha tuttavia sostanzialmente censurato l’insufficienza, ritenendo la motivazione “inidonea” (con riguardo alla ritenuta assenza di pregiudizialità tra il procedimento L. n. 689 del 1981, ex art. 18 e la procedura di riscossione mediante ruolo), “disancorata dalla realtà dello svolgimento dei fatti e dalla documentazione versata in atti” (con riguardo al mancato rilievo della sufficienza dell’avvenuta impugnazione dell’atto “a monte”) e “sbagliata” (con riguardo all’asserito indebito accostamento tra le due procedure);
4.2. i motivi in esame sono, invece, infondati, nella parte in cui denunciano violazione di legge;
in primo luogo, deve essere ribadito, dando continuità ad un ormai consolidato orientamento di questa Corte, che, nel procedimento di riscossione a mezzo ruolo dei contributi previdenziali, come regolato dal D.Lgs. n. 46 del 1999, artt. 24 e ss. in difetto di espresse previsioni normative che condizionino la validità della riscossione ad atti prodromici, a differenza di quanto avviene in materia di applicazione di sanzioni amministrative, in forza di quanto previsto, segnatamente, dalla L. n. 689 del 1981, art. 14 la notifica al debitore di un avviso di accertamento non costituisce atto presupposto necessario del procedimento, la cui omissione invalidi il successivo atto di riscossione, ben potendo l’iscrizione a ruolo avvenire pur in assenza di un atto di accertamento da parte dell’istituto (Cass. 21/02/2018, n. 4225, Rv. 647449-01; Cass. 10/02/2009, n. 3269, Rv. 607212-01);
in secondo luogo, deve essere ricordato il contiguo principio, anch’esso già enunciato da questa Corte, secondo cui, in tema di omissioni contributive, il D.Lgs. n. 46 del 1999, art. 24, comma 1, nel prevedere espressamente che la riscossione dei contributi o premi dovuti agli enti previdenziali non versati dal debitore nei termini di legge ovvero di quelli dovuti a seguito di accertamento d’ufficio, ivi comprese le sanzioni e le somme aggiuntive, avviene mediante iscrizione a ruolo da effettuarsi entro i termini di decadenza previsti dal citato D.Lgs. n. 46, art. 25 esclude l’applicabilità della procedura di cui alla L. n. 689 del 1981 e la necessità di atti prodromici per la validità della riscossione. Dal che consegue che, ove sia stata proposta opposizione in sede amministrativa contro l’atto di accertamento ispettivo, l’ente previdenziale deve procedere all’iscrizione a ruolo anche se non sia intervenuta alcuna decisione in sede di gravame, senza che la mancata risposta dell’organo competente configuri un tacito accoglimento dell’opposizione o determini l’impossibilità di dare corso alla riscossione (Cass. 26/10/2010, n. 1584, Rv. 611956-01);
nel caso di specie, pertanto, da un lato, l’avvenuta impugnazione del verbale di accertamento ispettivo, notificato nel 1997, attraverso la procedura di cui alla L. n. 689 del 1981, art. 18 peraltro riservata alle sanzioni amministrative, diversamente da quanto sostenuto dalla ricorrente, non concretava una opposizione di carattere preventivo rispetto all’iscrizione a ruolo, realizzata mediante impugnazione dell’atto “a monte”, tale da escludere la necessità di proporre una opposizione successiva avverso l’atto “a valle”, costituito dalla cartella esattoriale; dall’altro lato, la mancata conclusione del procedimento ex art. 18 cit., attraverso l’emanazione dell’ordinanza ingiunzione prevista da questa norma, non incideva sulla validità della cartella esattoriale e degli atti ad essa conseguenti, atteso che l’iscrizione a ruolo ben sarebbe potuta avvenire anche in assenza del verbale di accertamento impugnato, il quale non costituiva presupposto necessario del procedimento di riscossione;
quanto alle altre censure prospettate dalla ricorrente, esse si infrangono tutte sul rilievo che il D.Lgs. n. 46 del 1999, art. 24, comma 5, prevede uno specifico mezzo dell’impugnazione a ruolo, da azionarsi entro il termine di quaranta giorni dalla notifica della cartella di pagamento, con il quale devono essere devolute in giudizio tutte le questioni aventi ad oggetto la fondatezza della pretesa, sia quelle relative alla regolarità del titolo che quelle attinenti al merito (Cass. 10/03/2020, n. 6753, Rv. 657430-01);
perfettamente conforme a diritto deve pertanto ritenersi la decisione della Corte di merito, la quale ha rigettato l’opposizione, sul rilievo che, in seguito alla notifica della cartella esattoriale del 2002, la società ricorrente, destinataria del predetto titolo esecutivo, ove avesse ritenuto sussistenti pregresse violazioni o avesse stimato inesistente il credito vantato dall’INPS o dalla società di cartolarizzazione, avrebbe dovuto formulare tutte le proprie doglianze (anche quelle sulla perdurante applicabilità della L. n. 389 del 1989) mediante la tempestiva opposizione alla cartella stessa, ivi deducendo sia le presunte irregolarità formali del titolo sia le questioni di merito;
in mancanza della tempestiva impugnazione nel termine previsto dalla norma, da considerarsi perentorio pur in assenza di un’espressa indicazione in tal senso, il credito contributivo era divenuto incontrovertibile (Cass. 18/04/2011, n. 8931, Rv. 616915-01), con conseguente impossibilità di contestarne successivamente la sussistenza in seguito all’emissione dell’intimazione di pagamento del 2008;
i primi tre motivi del ricorso per cassazione proposto dalla I.L.MAN. s.r.l. vanno dunque rigettati;
5. il quarto motivo denuncia “violazione, omessa ed errata applicazione di norme di diritto” (con riguardo all’art. 91 c.p.c.), nonché “mancata disamina degli atti di primo grado – omessa motivazione Illogicità”;
la ricorrente deduce che la Corte di appello, nel regolare le spese di entrambi i gradi di merito, indebitamente l’avrebbe condannata a rimborsare all’INPS anche le spese del primo grado di giudizio, sebbene l’ente previdenziale non si fosse costituito in tale grado, restando contumace;
questo motivo è fondato;
la Corte territoriale, infatti, non avrebbe dovuto provvedere sulle spese del giudizio di primo grado relative al rapporto processuale tra la I.L.MAN. s.r.l. e l’INPS, da ritenersi irripetibili, attesa la contumacia della parte vittoriosa;
la sentenza va dunque cassata in relazione all’unico motivo accolto; sul punto, non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, questa Corte puà decidere nel merito (art. 384 c.p.c., comma 2), dichiarando non luogo a provvedere sulle spese del rapporto processuale tra la società ricorrente e l’INPS relative al giudizio di primo grado;
6. la reciproca soccombenza giustifica l’integrale compensazione tra le parti delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il quarto motivo di ricorso e rigetta i primi tre; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito, dichiara non luogo a provvedere sulle spese del rapporto processuale tra la società ricorrente e l’INPS relative al giudizio di primo grado.
Compensa integralmente tra le parti le spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Quarta Sezione Civile, il 18 novembre 2021.
Depositato in Cancelleria il 5 gennaio 2022