Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.188 del 05/01/2022

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. CAIAZZO Rosario – rel. Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 8431/2017 proposto da:

Banca Monte dei Paschi di Siena s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, in via di San Valentino n. 21, presso lo studio dell’avvocato Carbonetti Fabrizio, rappresentata e difesa dall’avvocato Scanferlato Federico, con procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Legnami Gemona s.r.l. in liquidazione, in persona del liquidatore pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, in via Silvio Pellico n. 16, presso lo studio dell’avvocato Faletti Piero, che la rappresenta e difende, unitamente agli avvocati Cirio Giorgio, e Colautti Lorenzo, con procura speciale a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 104/2017 della CORTE D’APPELLO di TRIESTE, depositata il 13/02/2017;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 05/11/2021 dal Cons. rel. Dott. CAIAZZO ROSARIO.

RILEVATO

Che:

Con sentenza del 12.3.15 il Tribunale di Udine condannò la Banca MPS s.p.a. a restituire alla Legnami Gemona s.r.l. la somma di Euro 250.097,54 oltre interessi legali, a titolo di indebito oggettivo. Al riguardo, il Tribunale, dichiarata la nullità del conto corrente acceso presso la suddetta banca perché non stipulato in forma scritta, osservò che: non era riconducibile al rapporto oggetto di causa il documento negoziale prodotto dalla banca; era infondata l’eccezione di prescrizione non avendo la banca provato la natura solutoria delle poste oggetto della domanda restitutoria; non essendo applicabili le pattuizioni contrattuali prodotte in quanto successive all’apertura del rapporto di conto corrente, era da escludere l’applicabilità dell’art. 117 Tub; non era dovuta la somma liquidata per interessi, spese e commissioni per mancanza di titolo negoziale.

MPS s.p.a. proponeva appello, rilevando che il contratto prodotto in primo grado era riferibile al rapporto in questione in quanto le differenti numerazioni riguardavano singoli affidamenti, e che gli ulteriori due contratti intervenuti nel corso del rapporto erano idonei a regolare le condizioni del rapporto di conto corrente per il periodo successivo alla loro sottoscrizione. L’appellante lamentava altresì che il Tribunale avesse erroneamente applicato la norma sull’onere della prova, ritenendolo gravante sull’attrice che non aveva prodotto tutti gli estratti-conto, mentre era stata esclusa la sussistenza di un rapporto di affidamento di fatto con la conseguente configurabilità delle rimesse come di natura solutoria.

Con sentenza dell’11.1.17, il giudice di secondo grado rigettò l’appello, osservando che: non era stata offerta prova scritta del conto corrente, non essendo riferibile alla appellata società il documento di cd. “benestare” relativo all’apertura di un conto intestato, non chiaramente leggibile nelle cifre e nella data, privo di firma della banca; la decorrenza della prescrizione per le richieste restitutorie era da collegare alla data di chiusura del rapporto nullo; l’appellata aveva prodotto gli estratti-conto per tutte le annualità dal 2002 – con l’eccezione di un solo trimestre-, mentre gravava sulla banca l’onere di dimostrare l’esistenza e l’ammontare delle rimesse solutorie in presenza di un rapporto di fido di fatto il cui limite massimo era individuabile nello stesso massimo scoperto consentito dalla banca nell’intero arco temporale; era diritto dell’appellata conseguire la restituzione delle somme versate a titolo di interessi ultralegali, commissioni di massimo scoperto e spese, in quanto venendo in rilievo un contratto nullo, non era applicabile l’art. 117 Tub circa l’applicazione degli interessi legali.

Banca MPS s.p.a. ricorre in cassazione con cinque motivi. Resiste la Gemona s.r.l. con controricorso, illustrato con memoria.

RITENUTO

Che:

Il primo motivo denunzia violazione falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., comma 1, art. 24 Cost., art. 163 c.p.c., comma 3, nn. 3, 4, art. 164 c.p.c., in quanto la Corte d’appello aveva disatteso l’eccezione di mancato adempimento dell’onere probatorio gravante sull’attrice, che non aveva indicato le singole rimesse oggetto di ripetizione d’indebito, pur non avendo essa prodotto la documentazione relativa al rapporto, ritenendo invece che fosse onere della convenuta provare la natura solutoria delle rimesse in conto corrente, dovendosi presumere la natura ripristinatoria di quest’ultime.

Il motivo è infondato. Premesso che già nella citazione in primo grado l’attrice aveva illegittimamente rinviato ad una consulenza tecnica di parte allegata per la determinazione delle singole rimesse di conto corrente oggetto della domanda e il calcolo della somma richiesta in restituzione, la ricorrente lamenta dunque il difetto di prova della domanda, non essendo all’uopo sufficiente la mera produzione degli estratti-conto, né il richiamo ai risultati di una consulenza di parte.

Rilevato che non viene sollevata la questione della nullità dell’atto di citazione in primo grado per indeterminatezza del petitum e della causa petendi, nonostante il richiamo in rubrica all’art. 163 c.p.c., comma 3, nn. 3 e 4 – questione che del resto sarebbe inammissibile in quanto nuova, non risultando sollevata nei gradi di merito – la censura in concreto formulata, di inidoneità degli estratti-conto bancari a costituire prova della domanda di ripetizione dell’indebito proposta dal correntista, è manifestamente infondata, ben potendo tali documenti, in quanto provenienti dalla banca convenuta, essere posti a fondamento della domanda contro di essa proposta.

Inammissibile e’, invece, l’analoga deduzione di inidoneità con riguardo alla consulenza tecnica di parte. I fatti indicati in una consulenza tecnica di parte, invero, ben possono essere posti a base della decisione del giudice, ove non contestati ai sensi dell’art. 115 c.p.c.; sarebbe stato dunque necessaria una maggiore specificazione della censura da parte della ricorrente.

Il secondo e terzo motivo, rispettivamente rubricati quale violazione degli artt. 166 e 167 c.p.c. e art. 2697 c.c., comma 2 e omesso esame di fatto decisivo, sono trattati contestualmente dalla ricorrente in quanto connessi e vanno dunque esaminati congiuntamente. La ricorrente lamenta che la Corte d’appello abbia invertito l’onere della prova grazie alla individuazione di una inesistente presunzione di funzione ripristinatoria delle rimesse di conto corrente, mentre ai fini della decisione sull’eccezione di prescrizione, sarebbe onere del correntista, che agisce in ripetizione dell’indebito, provare la sussistenza di un’apertura di credito che giustifichi la natura meramente ripristinatoria delle rimesse, tale da spostare la decorrenza del termine di prescrizione alla data delle chiusura del conto.

Al riguardo, la ricorrente lamenta altresì che la Corte territoriale abbia affermato l’esistenza di un fido di fatto, anche sulla base di una c.t.p.. I due motivi sono fondati. Questa Corte ha già avuto occasione di chiarire che, in presenza di eccezione di prescrizione della banca, è onere del correntista, attore in ripetizione dell’indebito, allegare e provare l’esistenza di un contratto di apertura di credito in conto corrente, che consenta di qualificare come non già solutorie, bensì meramente ripristinatorie della provvista, le rimesse effettuate entro i limiti dell’affidamento (cfr. Cass. 27704/2018; n. 2660/2019; 31927/2019). Vero è che nella specie la Corte d’appello ha affermato l’esistenza di un “fido di fatto”, indicandone il limite nello stesso “massimo scoperto consentito”; tale affermazione, tuttavia, consiste in una mera petizione di principio, avulsa com’e’ dalla indicazione di qualsiasi prova della stipulazione, ancorché per fatti concludenti, di un vero e proprio contratto di apertura di credito in conto corrente. Essa si sostanzia, pertanto, nella pura e semplice affermazione della presunzione del carattere non solutorio, bensì meramente ripristinatorio, di tutte le rimesse affluite in un conto corrente che presenti un saldo passivo per il correntista: affermazione che non può essere condivisa, per quanto sopra osservato, ancorché sia presente nell’isolato precedente di questa Corte – la sentenza n. 4518/2014 richiamato dalla ricorrente.

Il quarto motivo denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 1282,1284, c.c., art. 117 Tub, avendo la Corte d’appello, una volta dichiarata la nullità del rapporto di conto corrente per mancanza di forma scritta, escluso il riconoscimento di qualsiasi interesse, sostenendo, invece, che non potrebbe non essere riconosciuto quanto meno l’interesse legale ai sensi dell’art. 1282 c.c., comma 1 o dell’art. 1284 c.c., comma 3.

Il motivo è fondato. La nullità del contratto di conto corrente per difetto di forma scritta è ormai incontroversa. Se dunque il contratto è nullo, non possono trovare applicazione norme, quali l’art. 1284 c.c., comma 3 (oltre che l’art. 117 TUB) che presuppongono chiaramente la sussistenza di una obbligazione ex contractu. In caso di nullità del contratto di conto corrente, come nella specie, invece, la banca ha, sì, diritto alla restituzione delle somme erogate in favore del cliente, ma solo a titolo di indebito oggettivo, dunque con gli interessi legali come disciplinati dall’art. 2033 c.c.: ossia con decorrenza dalla data della erogazione oppure della domanda, a seconda che il cliente (accipiens) versasse in mala fede o in buona fede.

Il quinto motivo deduce l’omesso esame di fatto decisivo, nonché erronea valutazione o interpretazione delle prove documentali, avendo la Corte territoriale posto a fondamento della sentenza impugnata la consulenza tecnica di parte attrice, aderendo acriticamente al relativo contenuto, che aveva eliminato dai conteggi del dovuto qualsiasi voce di interessi in favore della banca. Al riguardo, si contesta l’attribuzione di valenza probatoria, in quanto asseritamente non contestate, alle affermazioni di tale c.t.p. che, invece, costituiva solo un argomento di prova liberamente esaminabile, ancorché non contestata dalla controparte, considerando peraltro che tale c.t.p. era stata redatta sulla base dei soli estratti-conto scalari, senza esaminare la documentazione contrattuale.

Il motivo è da ritenere assorbito dall’accoglimento del motivo precedente in ordine all’applicazione degli interessi legali.

Per quanto esposto, in accoglimento del secondo, terzo e quarto motivo, la sentenza impugnata va cassata, con rinvio alla Corte d’appello di Lecce, anche per le spese del grado di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il secondo, terzo e quarto motivo, rigetta il primo, assorbito il quinto.

Cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’appello di Lecce – sezione distaccata di Taranto – in diversa composizione, anche in ordine alle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 5 novembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 5 gennaio 2022

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