LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –
Dott. VANNUCCI Marco – Consigliere –
Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –
Dott. FIDANZIA Andrea – rel. Consigliere –
Dott. RUSSO Rita – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 21989/2017 proposto da:
M.C., elettivamente domiciliato in Roma, Corso Trieste n. 37, presso lo studio dell’avvocato Buccarelli Maria Pia, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato Chiesa Carlo Andrea, giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
M.A., elettivamente domiciliato in Roma, Piazzale Don Giovanni Minzoni n. 9, presso lo studio dell’avvocato Luponio Ennio, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato Porrati Carlo, giusta procura in calce al controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1468/2017 della CORTE D’APPELLO di TORINO, pubblicata il 04/07/2017;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 07/10/2021 dal Cons. Dott. FIDANZIA ANDREA.
FATTI DI CAUSA
I fratelli M.A. e C. erano soci al 50% sia della IMAC s.r.l., società immobiliare, sia della Grafiche M. s.r.l., società manifatturiera.
I due fratelli hanno stipulato la scrittura privata del 30.11.2011 intesa alla cessazione del rapporto sociale in entrambe le società, alla suddivisione dei beni ed alla definizione di tutti i rapporti economici tra essi esistenti.
Prima che fosse formalizzata la cessione delle quote sociali, M.C. ha convenuto in giudizio innanzi al Tribunale di Alessandria M.A., nell’ambito del quale entrambi i fratelli si sono contestati il reciproco inadempimento alle obbligazioni derivanti dalla scrittura del 30.11.2011, hanno agito per l’adempimento delle medesime ed hanno chiesto emettersi la sentenza ex art. 2932 c.c., producente gli effetti del contratto.
Con sentenza n. 790/2015 del 21.8.2015, il Tribunale di Alessandria ha condannato M.A. all’adempimento in favore del fratello C. delle pattuizioni contenute nella scrittura privata del 30.11.2011 all’art. 2), all. 1 colonna B e All. 2 colonna A, che prevedevano l’attribuzione a M.C. di un compendio immobiliare nella titolarità della I.M.A.C. s.r.l.; ha rigettato la domanda ex art. 2932 c.c., formulata da M.C., e, in accoglimento della domanda riconvenzionale proposta da M.A., ha condannato M.C. al rilascio degli immobili indicati nell’art. 2, lett. B della predetta scrittura privata.
La Corte d’Appello di Torino, con sentenza n. 1468/2017 depositata il 4.07.2017, ha rigettato sia l’appello principale proposto da M.C., sia l’appello incidentale del fratello.
Il giudice di secondo grado, per quanto di interesse, ha ritenuto condivisibile la sentenza di primo grado che aveva rigettato la domanda ex art. 2932 c.c., formulata da M.C., per non avere quest’ultimo eseguito la sua prestazione, né offerto di farlo.
La Corte d’Appello ha ritenuto non dimostrata la premessa su cui si basava la deduzione dell’appellante principale M.C. di inesigibilità degli obblighi traslativi da lui assunti, ovvero la circostanza che la scrittura privata del 30.11.2011 sarebbe stata sottoscritta sul presupposto che le spese di trasferimento degli immobili sarebbero state pari ad Euro 20.000,00/30.000,00, importo poi rivelatosi insufficiente, con conseguente necessità di “un riequilibrio delle intese” in ragione dei maggiori costi accertati, ingiustificatamente rifiutato dal fratello.
Sul punto, il giudice d’Appello ha precisato, in primo luogo, che la clausola 9 della predetta scrittura prevedeva l’accollo delle spese di trasferimento degli immobili “in parti uguali”. Inoltre l’esigenza, rappresentata da M.C. per il tramite del fax dell’avv. Chiesa del 13.4.2012, di “riequilibrio delle intese” a causa delle maggiori spese occorrenti a tale titolo, era stata contestata, punto per punto, dall’avv. Porrati, legale di M.A., con la lettera datata 23.4.2012.
Infine, la Corte d’Appello ha dichiarato inammissibile la domanda proposta da M.C. di condanna di M.A. al pagamento della somma di Euro 629.000,00, corrispondente al controvalore indicato nella scrittura del 30.11.2011 degli immobili che, secondo la stessa scrittura, avrebbero dovuto essere trasferiti allo stesso M.C..
La Corte d’Appello ha ritenuto l’inammissibilità ex art. 345 c.p.c., di tale domanda sul rilievo che quella proposta sub A) in citazione da M.C., finalizzata ad ottenere il trasferimento degli immobili già della IMAC s.r.l., fosse ontologicamente diversa da quella riferita al controvalore degli immobili, mai proposta in primo grado.
Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione M.C. affidandolo a cinque motivi.
M.A. ha resistito in giudizio con controricorso.
Il ricorrente ha depositato memoria ex art. 380 bis.1 c.p.c..
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo è stata dedotta la violazione/falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c..
Lamenta il ricorrente che la Corte d’Appello ha erroneamente ritenuto che il fax del proprio legale Avv. Chiesa del 13.04.2012 fosse stato contestato con la lettera dell’avv. Porrati del 23.04.2012 e che nulla lo stesso ricorrente avesse controdedotto nella memoria di replica. In proposito, allega che la controparte aveva inviato la lettera datata 23.4.2012 solo tre giorni dopo, in data 26.4.2012, quando il termine per eventuali contestazioni assegnato dall’avv. Chiesa nel fax del 13.4.2012 era già scaduto. Tali fatti storici erano già stati tempestivamente evidenziati con la comparsa conclusionale.
Ne consegue che era stato violato l’art. 115 c.p.c..
2. Con il secondo motivo è stata dedotta la violazione/falsa applicazione dell’art. 2932 c.c.. Ribadisce il ricorrente che la controparte, nel termine assegnato nella missiva inviata dall’avv. Chiesa, non aveva dato alcun riscontro alla propria richiesta di riequilibrio delle intese. Ne risulta violato l’art. 2932 c.c., avendo egli, a differenza della controparte, offerto di eseguire la propria prestazione.
In ogni caso, non è vero quanto affermato dalla Corte d’Appello, ovvero che la sentenza ex art. 2932 c.c., sarebbe stata “inutiliter data”: essendo la scrittura del 30.11.2011 intercorsa tra i due unici soci delle due società, quello che era stato pattuito non poteva che coinvolgere le società stesse e quindi la IMAC s.r.l., proprietaria del compendio immobiliare.
3. Con il terzo motivo è stata dedotta nuovamente la violazione/falsa applicazione dell’art. 2932 c.c..
Espone il ricorrente che le prove documentali raccolte in causa proverebbero che fu M.A. ad essere inadempiente alle pattuizioni contrattuali, evidenziando ancora una volta che la lettera di risposta del legale di suo fratello fu recapitata tre giorni dopo rispetto alla data riportata nella missiva del 23.4.2012.
4. Con il quarto motivo è stata dedotta la violazione dell’art. 115 c.p.c., ribadendo che M.A. nulla aveva replicato, se non con colpevole ritardo, al fax del 13.4.2021 dell’avv. Chiesa, con la conseguenza che le circostanze dal ricorrente dedotte in causa sono state provate a norma dell’art. 115 c.p.c..
5. I primi quattro motivi, da esaminare unitariamente in relazione alla stretta correlazione delle questioni trattate, presentano profili di infondatezza ed inammissibilità.
In primo luogo, palesemente infondata è l’affermazione del ricorrente in ordine all’operatività, nel contesto descritto, del principio di non contestazione di cui all’art. 115 c.p.c..
In base al principio di non contestazione, il giudice può porre a fondamento della decisione quelle circostanze fattuali che una parte ha dedotto nei propri atti difensivi, entro il termine per la maturazione delle preclusioni, e che l’altra parte costituita, nello stesso termine, non ha specificamente contestato.
Nel caso di specie, la circostanza di fatto che, ad avviso di M.C., il proprio fratello A. non avrebbe tempestivamente contestato (ovvero che la scrittura privata del 30.11.2011 sarebbe stata sottoscritta sul presupposto che le spese di trasferimento degli immobili sarebbero state pari ad Euro 20.000,00/30.000,00 e non oltre, imponendosi diversamente un “riequilibrio delle intese”) è stata – come evidenziato dalla Corte d’Appello a pag. 8 ultimo capoverso della sentenza impugnata, che ha riportato integralmente il passaggio della comparsa di risposta – immediatamente contestata nell’atto successivo all’atto di citazione di primo grado.
Ne’, d’altra parte, ad una lettera di una parte inviata prima e al di fuori del processo, pur con l’assegnazione di un termine per la replica, può corrispondere l’onere dell’altra di contestarla nel termine assegnato al fine di impedire la maturazione del principio di non contestazione, di cui all’art. 115 c.p.c.. Tale principio presuppone invero che le circostanze fattuali siano dedotte da una parte all’interno del processo e che la controparte si sia costituita in giudizio.
Quanto alla dedotta violazione dell’art. 2932 c.c., va, in primo luogo, osservato che la censura con cui il ricorrente lamenta che, contrariamente a quanto accertato nella sentenza impugnata, egli aveva offerto di eseguire la propria prestazione, si appalesa di merito, in quanto finalizzata ad una diversa ricostruzione dei fatti rispetta a quella operata dalla Corte d’Appello, e come tale inammissibile.
In proposito, il ricorrente ammette esplicitamente di non aver offerto la prestazione indicata nella scrittura privata del 30.11.2011 e di aver richiesto “un riequilibrio delle intese” rispetto al contenuto della predetta scrittura, pur invocando erroneamente il principio di non contestazione, per sostenere la correttezza della propria impostazione giuridica.
Erronea e’, altresì, l’affermazione del ricorrente secondo cui la circostanza che gli immobili che, secondo la scrittura del 30.11.2011, erano destinati a M.C. fossero di proprietà di un terzo, la IMAC s.r.l., sarebbe assolutamente irrilevante ai fini della pronuncia ex art. 2932 c.c.. E’ evidente che, essendo la IMAC s.r.l., titolare del compendio immobiliare, un soggetto giuridico diverso dalle persone dei suoi soci, una sentenza di natura traslativa, quale quella richiesta dal ricorrente, che fosse pronunciata in un giudizio cui la IMAC è estranea non avrebbe comunque prodotto alcun effetto giuridico nei confronti della medesima.
6. Con il quinto motivo è stata dedotta la violazione/falsa applicazione degli artt. 112 e 345 c.p.c..
Espone il ricorrente che, non avendo mai rinunciato alla domanda (proposta in primo grado) di adempimento delle pattuizioni contrattuali finalizzate ad ottenere il trasferimento del compendio immobiliare di cui all’art. 2 all. 1 e 2 della scrittura del 30.11.2011, la domanda svolta in appello con cui ha richiesto la condanna del proprio fratello al pagamento delle somme corrispondenti al controvalore degli stessi immobili non sia nuova.
7. Il motivo è fondato.
Va osservato che questa Corte ha già statuito (vedi Cass. Sez. 2 n. 32146/2018) che esorbita dai limiti di una consentita “emendatio libelli” il (solo) mutamento della “causa petendi” che consista in una vera e propria modifica dei fatti costitutivi del diritto fatto valere in giudizio, tale da introdurre nel processo un tema di indagine e di decisione nuovo perché fondato su presupposti diversi da quelli prospettati nell’atto introduttivo del giudizio, così da porre in essere una pretesa diversa da quella precedente (vedi anche S.U. n. 8510/2014, S.U. n. 12310/15 e S.U. n. 22404/18).
E’ stato quindi enunciato da questa Corte il principio di diritto secondo cui la domanda proposta in appello, e diretta a conseguire il trasferimento della proprietà di un podere, ex art. 2932 c.c., non può ritenersi nuova, ai sensi dell’art. 345 c.p.c., rispetto a quella di accertamento del suo già avvenuto effetto traslativo svolta nel primo grado di giudizio, essendo comunque connessa alla vicenda sostanziale dedotta in lite con la citazione introduttiva e con la comparsa di intervento, e tale, perciò, da non determinare la compromissione delle potenzialità difensive della controparte, né l’allungamento dei tempi processuali (Cass. n. 659/2017).
Ciò che rende quindi ammissibile l’introduzione in giudizio da parte dell’attore di un diritto diverso da quello originariamente fatto valere oltre la barriera preclusiva segnata dall’udienza ex art. 183 c.p.c., è il carattere della teleologica “complanarità”, dovendo pertanto tale diritto attenere alla medesima vicenda sostanziale già dedotta, correre tra le stesse parti, tendere alla realizzazione (almeno in parte) dell’utilità finale già avuta di mira con l’originaria domanda (salva la differenza tecnica di “petitum” mediato) (vedi Cass. n. 18546/2020).
Nel caso di specie, il ricorrente non ha proposto una domanda nuova.
Infatti, al cospetto della domanda, svolta in primo grado, finalizzata ad ottenere l’adempimento delle pattuizioni contrattuali aventi ad oggetto il trasferimento di un determinato compendio immobiliare, in grado di appello il ricorrente si è limitato a richiedere la condanna del fratello al pagamento dell’equivalente pecuniario dello stesso compendio (vedi anche Cass. n. 15883/2005 e Cass. n. 2613/2001). Non vi è dubbio, infatti, che la domanda svolta in appello attenesse alla medesima vicenda sostanziale già dedotta, corresse tra le stesse parti e tendesse alla realizzazione (almeno in parte) dell’utilità finale già avuta di mira con l’originaria domanda.
La sentenza impugnata deve essere quindi cassata con riferimento al quinto motivo con rinvio alla Corte d’Appello di Ancona, in diversa composizione, per nuovo esame e per statuire sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Rigetta i primi quattro motivi, accoglie il quinto, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’Appello di Torino, in diversa composizione, per nuovo esame e per statuire sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 7 ottobre 2021.
Depositato in Cancelleria il 5 gennaio 2022
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