Separazione fra i coniugi, accordo che fissa regime giuridico-patrimoniale del futuro ed eventuale divorzio, nullità

Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.20745 del 28/06/2022

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Separazione fra i coniugi, accordo che fissa regime giuridico-patrimoniale del futuro ed eventuale divorzio, nullità

Gli accordi con i quali i coniugi fissano, in sede di separazione, il regime giuridico-patrimoniale in vista di un futuro ed eventuale divorzio sono invalidi per illiceità della causa, perché stipulati in violazione del principio fondamentale di radicale indisponibilità dei diritti in materia matrimoniale di cui all'art. 160 c.c.. Ne consegue che di tali accordi non può tenersi conto non solo quando limitino o addirittura escludano il diritto del coniuge economicamente più debole al conseguimento di quanto necessario a soddisfare le esigenze della vita, ma anche quando soddisfino pienamente tali esigenze, in quanto una preventiva pattuizione potrebbe determinare il consenso alla dichiarazione della cessazione degli effetti civili del matrimonio.

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Cassazione civile sez. VI, Ordinanza 28/06/2022, (ud. 07/04/2022, dep. 28/06/2022), n.20745

RILEVATO

che:

F.U. appellò la sentenza del Tribunale di Bologna che aveva pronunciato la cessazione degli effetti civili del matrimonio da lui contratto con M.P., riconoscendo l'assegno divorzile a quest'ultima pari all'importo di Euro 1800,00 mensile, osservando che: dalla documentazione acquisita era emerso un forte squilibrio economico-patrimoniale tra le parti, riconducibile in parte a scelte condivise degli ex-coniugi - che avevano comportato anche la condivisione dell'attività della società di famiglia posto che la moglie, durante il rapporto coniugale, era titolare di una partecipazione del 45%-; era plausibile ritenere che, durante i 16 anni di matrimonio, l'ex-moglie abbia svolto per la società di famiglia attività di impiegata utilizzando conoscenze acquisite alle dipendenze di un'impresa prima del matrimonio; dagli atti emergeva che la circostanza che durante il matrimonio la partecipazione della M. nella società di famiglia non fosse formale ma corrispondesse ad una titolarità effettiva- quale espressione di un progetto condiviso di vita e lavoro, con preclusione per l'ex-moglie in ordine ad altre possibilità lavorative- aveva trovato riscontro proprio nel regolamento economico concordato dalle parti in sede di separazione laddove fu precisato che la cessione al marito della quota di partecipazione della M. nella società " F.U. & C." s.n.c. era stata realizzata senza corrispettivo, ma con l'obbligo per l'ex-marito di versare alla moglie, a titolo di mantenimento, la somma mensile di Euro 2100,00, risultando così evidente che tale assegno era da porsi in relazione al depauperamento della M. a seguito della suddetta cessione.

Con sentenza del 2020, la Corte territoriale ha rigettato l'appello, osservando che: l'appellante non aveva censurato specificamente la motivazione del Tribunale circa l'assegno divorzile, con riguardo alla questione della cessione della quota societaria; non era stato provato che l'incremento patrimoniale dell'appellante fosse riconducibile esclusivamente alla sua iniziativa imprenditoriale, essendo invece da ritenere che ciò fosse dipeso anche, in parte, dal contributo della ex-moglie alla conduzione della vita matrimoniale attraverso la sua consistente partecipazione societaria, ciò che evidenziava che l'assegno divorzile non rappresentava l'attribuzione di un contributo al suo mantenimento da parte del marito quanto, piuttosto, una forma di compenso per ciò cui aveva rinunciato; non era stata provata la titolarità dell'ex-moglie di svariati immobili; non ricorrevano i presupposti per ritenere che quest'ultima potesse, per età ed esperienza lavorativa, reinserirsi nel mondo del lavoro in ragione delle criticità che lo caratterizzavano; sul diritto all'assegno non incideva la qualità di imprenditore agricola della beneficiaria.

F.U. ricorre in cassazione con tre motivi. M.P. resiste con controricorso, con memoria.

RITENUTO

che:

Il primo motivo denunzia violazione e falsa applicazione dell'art. 2697 c.c., per non aver la Corte d'appello ritenuto che l'onere di dimostrare i presupposti del diritto all'assegno divorzile gravasse sull'istante M., ovvero che avesse contribuito alla formazione del patrimonio dell'ex-marito, rinunciando a perseguire la realizzazione delle sue aspettative professionali e personali, specie con riferimento alla questione della titolarità effettiva della quota nella società di famiglia, fatto escluso dal documento prodotto attestante che sin dal 1998 la stessa società aveva dichiarato al registro delle imprese artigiane che la convenuta non partecipava alla gestione dell'impresa, fatto che sarebbe stato confermato dalla mancata dichiarazione, da parte dell'ex-moglie, dei redditi per la partecipazione nella predetta società. In sostanza, il ricorrente si duole che la Corte d'appello abbia posto a suo carico l'onere di provare un fatto negativo (cioè che l'ex-moglie non avesse contribuito alla formazione del suo patrimonio).

Il secondo motivo deduce l'omesso esame di fatti decisivi, oggetto di discussione, per aver il giudice di secondo grado affermato che non era stato contestato il divario tra le situazioni patrimoniali degli ex-coniugi, atteso che tale contestazione era stata formulata nell'atto d'appello con specifico riguardo alla titolarità, da parte della M., di 24 fondi agricoli di valore equivalente al patrimonio del ricorrente. Inoltre, quest'ultimo lamenta anche che: la Corte d'appello non avrebbe considerato i suoi redditi al netto dalle imposte; l'ex-moglie non versava nell'assoluta impossibilità di procurarsi i mezzi di sostentamento, svolgendo attività d'impresa agricola almeno dal 2005; la stessa non aveva mai lavorato nell'ambito dell'impresa di famiglia.

Il terzo motivo denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 1362,1363,1366 e 1371 c.c., per aver la Corte d'appello erroneamente interpretato i fatti di causa, in relazione all'accordo di cessione della quota societaria e agli altri documenti esaminati in secondo grado.

Il primo e terzo motivo, esaminabili congiuntamente poiché tra loro connessi, sono inammissibili poiché diretto al riesame dei fatti e alla loro interpretazione in ordine alla corretta distribuzione dell'onere della prova tra le parti. Invero, l'attribuzione dell'assegno divorzile in funzione perequativo-compensativa è avvenuta in relazione ad un accordo in sede di separazione in cui era stato pattuito un assegno di Euro 2100,00 a favore della M. a fronte della cessione gratuita delle quote sociali che certo determinò un trasferimento di ricchezza al ricorrente.

Infatti, la Corte d'appello ha deciso sulla base dei documenti acquisiti, affermando che fosse provato sia il divario patrimoniale tra le parti, sia il contributo dell'ex-moglie alla formazione del patrimonio del ricorrente, per cui non sussiste alcuna violazione dell'art. 2697 c.c., sulla distribuzione dell'onere della prova circa il diritto all'assegno divorzile.

Il secondo motivo è parimenti inammissibile. Anzitutto, va rilevato che la Corte d'appello ha di fatto ritenuto indimostrata la titolarità dell'ex-moglie di un patrimonio equivalente a quello del ricorrente, per cui non sussiste alcun omesso esame di fatti decisivi. Inoltre, il giudice di secondo grado non ha applicato l'impegno contenuto nel patto come vincolante, ma ha fatto leva sul trasferimento (effettivamente avvenuto) della partecipazione. Al riguardo, va osservato che gli accordi con i quali i coniugi fissano, in sede di separazione, il regime giuridico-patrimoniale in vista di un futuro ed eventuale divorzio sono invalidi per illiceità della causa, perché stipulati in violazione del principio fondamentale di radicale indisponibilità dei diritti in materia matrimoniale di cui all'art. 160 c.c.. Ne consegue che di tali accordi non può tenersi conto non solo quando limitino o addirittura escludano il diritto del coniuge economicamente più debole al conseguimento di quanto necessario a soddisfare le esigenze della vita, ma anche quando soddisfino pienamente tali esigenze, in quanto una preventiva pattuizione potrebbe determinare il consenso alla dichiarazione della cessazione degli effetti civili del matrimonio (Cass., n. 2224/17; n. 11012/12).

Ora, nel caso concreto, non viene in rilievo la validità ed efficacia del trasferimento delle quote societarie in sede di accordo di separazione (che peraltro le parti non invocano o pongono in discussione); tale trasferimento è stato, piuttosto, considerato come mero fatto presupposto quale indice probatorio del contributo della controricorrente alla formazione del patrimonio dell'ex-coniuge, al fine della funzione perequativo - compensativa.

Inoltre, la Corte d'appello ha rilevato che non era stata censurata in modo specifico l'affermazione in tal senso del Tribunale.

Le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio che liquida nella somma di Euro 5300,00 di cui 100,00 per esborsi, oltre alla maggiorazione del 15% quale rimborso forfettario delle spese generali e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.

Dispone che ai sensi del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52, in caso di diffusione della presente ordinanza si omettano le generalità e gli altri dati identificativi delle parti.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 7 aprile 2022.

Depositato in Cancelleria il 28 giugno 2022.

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