LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –
Dott. VANNUCCI Marco – Consigliere –
Dott. MERCOLINO Guido – rel. Consigliere –
Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –
Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 1158/2019 R.G. proposto da:
A. COSTRUZIONI METALLICHE S.R.L., in persona dell’amministratore unico p.t. A.A., rappresentata e difesa dall’Avv. Vincenzo Licci, con domicilio in Roma, piazza Cavour, presso la Cancelleria civile della Corte di Cassazione;
– ricorrente –
contro
***** S.P.A., IN AMMINISTRAZIONE STRAORDINARIA, in persona del commissario straordinario p.t. Prof. S.D., rappresentata e difesa dall’Avv. Sabrina Romeo, con domicilio in Roma, piazza Cavour, presso la Cancelleria civile della Corte di Cassazione;
– controricorrente –
avverso la sentenza della Corte d’appello di Roma n. 3952/18, depositata l’8 giugno 2018.
Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 16 settembre 2021 dal Consigliere Dott. Guido Mercolino.
FATTI DI CAUSA
1. L'***** S.p.a. in amministrazione straordinaria convenne in giudizio l’ A. Costruzioni Metalliche (ACM) S.r.l., per sentir dichiarare inefficaci, ai sensi del R.D. 16 marzo 1942, n. 267, art. 67, comma 2, due pagamenti dell’importo di Euro 130.004,50 ed Euro 123.685,94, effettuati rispettivamente il 21 settembre 2012 dalla DIRPA Soc. coop. a r.l. ed il 28 settembre 2012 dall’Impresa P.I. R.G. S.p.a. in favore della convenuta, con la condanna di quest’ultima alla restituzione dei relativi importi, oltre interessi.
Premesso di aver presentato in data 5 marzo 2013 domanda di ammissione al concordato preventivo, seguita il 10 luglio 2013 dall’ammissione alla amministrazione straordinaria ed il 18 luglio 2013 dalla dichiarazione dello stato d’insolvenza, l’attrice riferì che nella procedura di concordato era emerso che i due pagamenti erano stati effettuati a seguito di pignoramenti presso terzi notificati il 19 giugno 2012 in virtù di un decreto ingiuntivo emesso dal Tribunale di Roma il 16 febbraio 2012, ed erano stati seguiti dal deposito di atti di desistenza, che avevano determinato l’estinzione delle procedure esecutive.
Si costituì l’ACM, ed eccepì che i pagamenti erano stati effettuati da terzi, aggiungendo che il periodo sospetto doveva essere calcolato con decorrenza dalla data di ammissione dell’attrice alla procedura di amministrazione straordinaria, sia perché quella di concordato preventivo era stata dichiarata estinta con efficacia retroattiva per mancato deposito del piano concordatario nei termini all’uopo fissati, sia per mancanza di un nesso di consequenzialità tra le due procedure.
1.1. Con sentenza del 17 maggio 2017, il Tribunale di Roma accolse la domanda.
2. L’impugnazione proposta dall’ACM è stata rigettata dalla Corte di appello di Roma con sentenza dell’8 giugno 2018.
A fondamento della decisione, la Corte ha rilevato che, pur essendo stati eseguiti da terzi, i due pagamenti erano sostanzialmente imputabili all'*****, essendo stati effettuati in nome e per conto della stessa, dalla quale la creditrice aveva dichiarato di essere stata soddisfatta nell’atto di desistenza, avendo prodotto effetti diretti nel patrimonio della debitrice, consistenti nell’estinzione del debito, e non essendo stata fornita la prova di un titolo che consentisse d’imputare il pagamento ai terzi.
Premesso inoltre che i pagamenti erano stati effettuati in data anteriore alla presentazione della domanda di ammissione al concordato preventivo, ha ritenuto che il periodo sospetto dovesse essere fatto decorrere dalla pubblicazione della stessa nel registro delle imprese, reputando irrilevanti la mancata omologazione del concordato ed il difetto di continuità temporale tra le due procedure, in considerazione del nesso di continuità causale, desumibile dalla brevità del lasso di tempo trascorso prima della proposizione della domanda di ammissione all’amministrazione straordinaria e della conseguente persistenza del presupposto dell’insolvenza.
La Corte ha ritenuto infine provata la conoscenza dello stato d’insolvenza da parte della creditrice, osservando che i pagamenti erano stati effettuati in esecuzione di un accordo transattivo stipulato il 12 aprile 2012, il cui inadempimento da parte dell'*****, oltre ad aver dato luogo a diverse azioni giudiziarie, aveva reso necessario il ricorso all’esecuzione forzata, non potendo il credito essere soddisfatto con mezzi normali.
3. Avverso la predetta sentenza l’ACM ha proposto ricorso per cassazione, articolato in due motivi, illustrati anche con memoria. L'***** ha resistito con controricorso, anch’esso illustrato con memoria.
La causa è stata avviata alla trattazione in Camera di consiglio dinanzi alla Sesta Sezione civile, che con ordinanza del 7 maggio 2021 l’ha rinviata al Presidente titolare della Terza Sezione civile, ai fini della rimessione alla pubblica udienza della Prima Sezione civile, rilevando che il secondo motivo d’impugnazione propone una questione di rilevanza nomofilattica di competenza della stessa, riguardante la possibilità di far riferimento, ai fini della prova della conoscenza dello stato d’insolvenza, all’ammissione al concordato preventivo seguita dall’ammissione all’amministrazione straordinaria, anche nel caso in cui la prima procedura sia stata espressamente revocata.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo d’impugnazione, la ricorrente denuncia la violazione e la falsa applicazione della L. Fall., art. 67, comma 2 e dell’art. 2697 c.c., sostenendo che, nel ritenere revocabili i pagamenti, la sentenza impugnata non ha considerato che il pagamento effettuato dal terzo non è revocabile, a meno che il terzo non abbia esercitato l’azione di rivalsa nei confronti del debitore principale o non abbia adempiuto un debito proprio. Premesso che l’onere di fornire la prova della sussistenza di tali presupposti incombeva alla società attrice, contesta che la spendita del nome di quest’ultima abbia comportato la produzione di effetti diretti nei confronti della stessa.
1.1. Il motivo è infondato.
Correttamente, infatti, la Corte territoriale ha ritenuto inapplicabile, nella specie, l’orientamento giurisprudenziale invocato dalla ricorrente, secondo cui il pagamento di un debito del fallito effettuato da un terzo deve considerarsi revocabile, ai sensi della L. Fall., art. 67, soltanto ove si accerti che abbia comportato, direttamente o indirettamente, una lesione della par condicio creditorum, per essere stato eseguito con denaro del debitore, essendo il terzo obbligato nei confronti di quest’ultimo, o anche con denaro del terzo, purché lo stesso abbia esercitato l’azione di rivalsa nei confronti del debitore prima dell’apertura della procedura concorsuale (cfr. Cass., Sez. I, 30/06/2020, n. 13165; 23/12/2015, n. 25928; 31/05/2012, n. 8783). Tale principio, ritenuto operante anche nell’ipotesi in cui il pagamento del terzo abbia avuto luogo nell’ambito di un procedimento di espropriazione forzata promosso nei confronti del debitore (cfr. Cass., Sez. I, 20/12/2012, n. 23652; 1/04/2011, n. 7579), non è riferibile alla fattispecie in esame, in quanto, come accertato dalla sentenza impugnata, rimasta incensurata sul punto, i pagamenti impugnati, pur essendo stati effettuati dalla DIRPA e dall’Impresa R. a seguito di pignoramenti presso terzi effettuati dall’ACM nei confronti della società successivamente posta in amministrazione straordinaria, non sono stati eseguiti dalle predette società in proprio, avendo le stesse agito in nome e per conto della società pignorata, con la conseguente produzione dei relativi effetti direttamente nella sfera giuridica di quest’ultima, indipendentemente dalla provenienza delle somme utilizzate. Non merita dunque censura la sentenza impugnata, per aver ritenuto revocabili i pagamenti eseguiti in favore della società convenuta, senza procedere ad alcuna verifica in ordine all’effettuazione degli stessi con denaro dell'***** S.p.a. o all’esercizio dell’azione di rivalsa da parte della DIRPA e dell’Impresa R.. Peraltro, anche a voler escludere che tale indagine fosse resa superflua dalla diretta incidenza dei pagamenti sul patrimonio della società debitrice, l’avvenuta esecuzione degli stessi a seguito di pignoramenti presso terzi, aventi ad oggetto crediti vantati dall'***** S.p.a. nei confronti della DIRPA e dell’Impresa R., dei quali non risulta che sia stata mai contestata l’esistenza, dovrebbe indurre a concludere che essi sono stati effettuati in adempimento di debiti nei confronti della società pignorata, e quindi con denaro di quest’ultima, con la conseguente assoggettabilità a revocatoria, non assumendo alcun rilievo, a tal fine, la circostanza che i procedimenti esecutivi non siano pervenuti all’assegnazione dei crediti pignorati, ma siano stati dichiarati estinti a seguito dell’adempimento della debitrice.
2. Con il secondo motivo, la ricorrente deduce la violazione e la falsa applicazione della L. Fall., art. 67, comma 2 e art. 69-bis, comma 2, osservando che, nel ritenere sussistente il rapporto di continuità tra la procedura di concordato e quella di amministrazione straordinaria, la sentenza impugnata non ha considerato che la prima non ha prodotto alcun effetto, essendo stata dichiarata estinta con efficacia ex tunc, e dovendo quindi considerarsi inesistente.
2.1. Il motivo è infondato.
Com’e’ noto, la questione concernente l’applicabilità del principio di consecuzione tra le procedure, ai fini della retrodatazione del dies a quo del periodo sospetto nel caso in cui la dichiarazione di fallimento sia stata preceduta dalla presentazione di una domanda di ammissione al concordato preventivo, è stata ripetutamente esaminata da questa Corte già in epoca anteriore all’entrata in vigore del D.Lgs. 9 gennaio 2006, n. 5, e risolta nel senso che, ai fini dell’operatività del predetto principio, non era sufficiente la mera presentazione della domanda, ma occorreva che fosse intervenuto un provvedimento di ammissione, non essendo altrimenti configurabile una procedura di concordato anteriore a quella fallimentare: a sostegno di tale conclusione, veniva evidenziata la ratio del principio di consecuzione, consistente nell’identità del fondamento oggettivo delle due procedure, che imponeva di considerare la dichiarazione di fallimento come conseguenza del medesimo stato d’insolvenza che aveva condotto all’apertura del concordato, rilevandosi che, in quanto implicante il positivo accertamento della sussistenza di tale presupposto, l’applicazione del principio in esame doveva ritenersi necessariamente condizionata all’accoglimento della domanda di ammissione al concordato (cfr. Cass., Sez. I, 30/05/1994, n. 5285; 22/11/1991, n. 12573); in proposito, si precisava anche che il giudice investito della revocatoria, così come non poteva sindacare la legittimità della sentenza dichiarativa di fallimento, non poteva neppure valutare nuovamente i presupposti per l’ammissione al precedente concordato, affermandosi quindi che ciò che veniva in rilievo, ai fini dell’applicazione del principio di consecuzione, era non già la legittimità di tale ammissione, ma il mero fatto che un’ammissione vi fosse stata e una procedura di concordato fosse iniziata (cfr. Cass., Sez. I, 28/05/2012, n. 8439); nella medesima ottica, si riteneva che, ove la domanda di ammissione fosse stata respinta o abbandonata, nessun effetto potesse essere ricollegato alla sua presentazione, non essendovi mai stata, in conseguenza della stessa, l’apertura di una procedura di concordato preventivo (v. anche, in tema di compensazione, Cass., Sez. I, 22/11/2007, n. 24330; 22/06/1991, n. 7046).
Il principio secondo cui, ove alla procedura di concordato preventivo faccia seguito la dichiarazione di fallimento del debitore, le due procedure devono essere considerate unitariamente, quanto meno ai fini della revocatoria fallimentare, con la conseguenza che il dies a quo del periodo sospetto deve essere retrodatato al momento dell’ammissione al concordato, ha trovato conferma anche a seguito dell’entrata in vigore del D.Lgs. n. 5 del 2006 (cfr. Cass., Sez. I, 13/04/2016, n. 7324; 6/08/2010, n. 18437): pur rilevandosi, infatti, che nell’ambito del sistema novellato il fondamento oggettivo della procedura di concordato è diverso da quello della procedura fallimentare, in quanto consistente in un mero stato di crisi dell'*****, anziché in uno stato d’insolvenza, e che la dichiarazione di fallimento non costituisce una conseguenza automatica della dichiarazione d’inammissibilità della domanda di concordato, ma richiede un’autonoma iniziativa, si è osservato che la sentenza di fallimento rappresenta pur sempre l’atto terminale del procedimento originato dalla domanda di concordato, concludendosi pertanto che, ove si accerti a posteriori che lo stato di crisi in base al quale era stata chiesta l’ammissione al concordato in realtà coincideva con quello d’insolvenza, l’efficacia della dichiarazione di fallimento va retrodatata alla data di presentazione della predetta domanda. In proposito, si è evidenziato anche che della L. Fall., art. 69-bis, comma 2, introdotto del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 33, comma 1, lett. a-bis), n. 2, convertito con modificazioni dalla L. 7 agosto 2012, n. 134, individua, quale specifico referente temporale della disciplina delle revocatorie, nel caso in cui alla domanda di concordato preventivo segua la dichiarazione di fallimento, non già l’ammissione al concordato, ma addirittura la pubblicazione della relativa domanda, e si è ravvisata in ciò una conferma dell’unitarietà del procedimento, per quanto articolato in momenti diversi, osservandosi che gli stessi costituiscono manifestazione di un’unica crisi d'***** (cfr. Cass., Sez. I, 29/03/2016, n. 6045); si è inoltre precisato che tale unitarietà non viene meno neppure nel caso in cui tra le diverse fasi sussista uno iato temporale, purché si tratti di un intervallo di estensione non irragionevole, tale cioè da non risultare esso stesso sintomatico dell’intervenuta variazione del presupposto delle due procedure (cfr. Cass., Sez. I, 16/04/2018, n. 9290).
In quanto innestato su un diritto vivente già orientato in favore dell’applicabilità del principio di consecuzione, il riferimento testuale alla data di pubblicazione della domanda di ammissione al concordato, contenuto nella L. Fall., art. 69-bis, comma 2, ha peraltro indotto ad una rimeditazione della tesi che subordinava l’applicazione del predetto principio all’esistenza di un precedente provvedimento di ammissione alla procedura, escludendone l’operatività nel caso di rigetto o abbandono della relativa domanda: in tal senso sono risultate determinanti per un verso l’osservazione che il predetto principio attiene, più che alla formulazione di una domanda ad hoc, all’esistenza di una procedura concorsuale “sfociata, anche in modo indiretto ma comunque nel contesto di una unica crisi imprenditoriale, nella dichiarazione di fallimento dell'*****”, per altro verso l’introduzione della L. Fall., art. 161, comma 6, ad opera del D.L. n. 83 del 2012, art. 33, comma 1, lett. b), n. 4, il quale consente la proposizione della domanda di concordato con riserva di presentare la proposta, il piano e la prescritta documentazione entro un termine fissato dal giudice, e per altro verso ancora la considerazione che, anche nell’ipotesi di concordato c.d. in bianco, gli effetti della domanda decorrono dalla data di pubblicazione del ricorso, ai sensi della L. Fall., art. 168 (cfr. Cass., Sez. I, 28/02/2020, n. 5619; 27/11/2019, n. 31051). In proposito, si è evidenziato anche, richiamandosi un’affermazione compiuta in riferimento ad altri aspetti dell’istituto in esame, che la presentazione della domanda di concordato risulta di per sé sufficiente a determinare l’acquisto dello status di debitore concordatario, indipendentemente dalla successiva pronuncia del decreto di cui alla L. Fall., art. 163, in quanto comporta, oltre alla costituzione del rapporto processuale con il giudice chiamato a pronunciare su di essa, l’instaurazione di un regime di controllo sull’amministrazione e di relativa insensibilità del patrimonio alle iniziative di terzi (cfr. Cass., Sez. I, 12/03/2020, n. 7117).
Tali considerazioni, che il Collegio condivide ed intende ribadire anche in questa sede, consentono di concludere che, in tema di revocatoria fallimentare, ove la dichiarazione di fallimento sia stata preceduta da un concordato preventivo, il principio di consecuzione tra le procedure è destinato ad operare, con la conseguente retrodatazione del dies a quo del periodo sospetto alla data di pubblicazione della domanda di concordato, anche nell’ipotesi in cui a quest’ultima non abbia fatto seguito il provvedimento di ammissione alla procedura, per essere stata la domanda respinta o abbandonata. Non merita pertanto censura la sentenza impugnata, nella parte in cui, accertato che i pagamenti impugnati erano stati effettuati entro il termine di cui alla L. Fall., art. 67, comma 2, decorrente dalla data di pubblicazione della domanda di concordato preventivo che aveva preceduto la presentazione di quella di ammissione all’amministrazione straordinaria, ne ha confermato la revocabilità, ravvisando una continuità causale tra le due procedure ed applicando pertanto il principio di consecuzione, senza attribuire alcun rilievo alla circostanza che la procedura di concordato non fosse pervenuta alla pronuncia del decreto di ammissione, essendo stata dichiarata estinta, per avere la debitrice rinunciato alla domanda.
3. Il ricorso va pertanto rigettato, con la conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali, che si liquidano come dal dispositivo.
PQM
rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
Così deciso in Roma, il 16 settembre 2021.
Depositato in Cancelleria il 5 gennaio 2022