Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.216 del 05/01/2022

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente –

Dott. MANZON Enrico – rel. Consigliere –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. NONNO Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 28373/2015 R.G. proposto da:

Agenzia delle entrate, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale è domiciliata in Roma, via dei Portoghesi n. 12;

– ricorrente –

contro

P.P., rappresentato e difeso dall’Avv. Claudio Grassi, con domicilio eletto presso lo stesso in Giarre, Corso Italia n. 147, giusta procura speciale a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Sicilia sez. staccata di Catania n. 3841/12/14, depositata il 12 dicembre 2014.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 28 ottobre 2021 dal Consigliere Giuseppe Fuochi Tinarelli.

RILEVATO

che:

L’Agenzia delle entrate impugna per cassazione, con due motivi, la sentenza della CTR in epigrafe che, confermando la decisione della CTP di Catania, aveva ritenuto la decadenza dalla pretesa tributaria poiché la notifica della cartella per Irpef 1991 e 1992, emessa ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36 bis, e D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54 bis, al contribuente P.P. era avvenuta oltre i termini di legge.

P.P. resiste con controricorso.

CONSIDERATO

che:

1. Il primo motivo denuncia la violazione dell’ordinanza n. 2057 del 1990 della Protezione Civile, che aveva disposto la sospensione relativa agli adempimenti e ai versamenti di natura tributaria per il 1991 e il 1992 in relazione al sisma in Sicilia del 1990, sospensione poi prorogata fino al 15 dicembre 2002.

L’Ufficio rileva, in particolare, che detta sospensione operava ex lege indipendentemente dalla richiesta del contribuente di aderire alla normativa sul condono.

L’Amministrazione finanziaria sostiene, inoltre, che, nella specie, doveva applicarsi la L. n. 388 del 2000, art. 138, per il quale il termine di decadenza per la notifica delle cartelle doveva essere individuato nel 31 dicembre 2009, e che era inapplicabile il D.L. n. 106 del 2005, art. 1, comma 5 bis, attesa l’autonomia e specialità della disciplina per il recupero delle somme non versate dai contribuenti interessati dal sisma del 1990.

Erroneamente, dunque, la CTR ha ritenuto l’Amministrazione decaduta per aver provveduto all’iscrizione a ruolo nel dicembre 2005.

2. Il primo motivo è in parte infondato, in parte inammissibile.

2.1. Premesso che la violazione (o falsa applicazione) della citata ordinanza della Protezione civile è denunciabile come vizio riconducibile all’ipotesi di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, (v. Cass. n. 16450 del 26/07/2007), va rilevato che il motivo si fonda, nella sua prima parte, su un presupposto erroneo, ossia che la sospensione dei termini prevista dall’O.M. per il coordinamento della protezione civile del 21 dicembre 1990, n. 2057, in occasione del sisma della Sicilia orientale del 13 dicembre 1990, operi ex lege, senza necessità di richiesta del contribuente, mentre essa – come ripetutamente affermato da questa Corte – “non ha carattere automatico, ma facoltativo, richiedendo un’apposita domanda, sicché l’Amministrazione, ove non fornisca la prova che il contribuente si sia avvalso della facoltà di fruire di tale beneficio, resta soggetta ai termini ordinari” (Cass. n. 2434 del 31/01/2017; Cass. n. 9891 del 05/05/2011).

Da ciò l’inammissibilità della doglianza in parte qua per carenza di specificità, non avendo l’Agenzia fornito riscontro alla sussistenza dei presupposti (e, anzi, implicitamente negandone la ricorrenza) previsti per l’applicazione della sospensione.

2.2. Infondata è anche la denunciata violazione della L. n. 388 del 2000, art. 138, nonché dell’asserita inapplicabilità della D.L. n. 106 del 2006, art. 1, comma 5 bis.

La L. n. 388 del 2000, art. 138, comma 3, infatti, prevede un termine di decadenza (riferito, peraltro, alla data di esecutività del ruolo, non alla data di notifica della cartella) per l’azione di riscossione delle somme insolute dovute dal contribuente a seguito della regolarizzazione prevista dallo stesso art., comma 1, da effettuare entro il *****.

Questa disposizione, quindi, non può in alcun modo essere intesa come diretta a far rivivere obbligazioni tributarie per le quali, alla suddetta data, l’Amministrazione finanziaria era decaduta dall’azione di riscossione, circostanza questa accertata dal giudice di merito in base ad un’applicazione retroattiva del D.L. n. 106 del 2005, art. 1 comma 5 bis.

Tale norma, infatti, ha stabilito, sostituendo il D.Lgs. n. 46 del 1999, art. 36, comma 2, che per le somme che risultano dovute a seguito dell’attività di liquidazione delle dichiarazioni, la cartella di pagamento debba essere notificata, a pena di decadenza, per le dichiarazioni presentate entro il 31 dicembre 2001, entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione.

Ne’ è condividibile la contestata inapplicabilità del D.L. cit., art. 1, comma 5 bis (e comma 5 ter), che contrasta con l’univoca giurisprudenza di questa Corte che ha ripetutamente affermato l’efficacia retroattiva del D.L. n. 106 del 2005, art. 1, commi 5 bis e 5 ter, (Cass. n. 22223 del 2015; Cass. n. 30704 del 2011; v. anche Cass. n. 15661 del 2014, che, in termini generali, afferma che la disciplina introdotta dal legislatore “ha valore di disposizione transitoria ed opera retroattivamente non solo alle situazioni tributarie anteriori alla sua entrata in vigore, ma anche a quelle non ancora definite con sentenza passata in giudicato in quanto diretta ad ovviare ad una lacuna normativa derivante dalla sentenza n. 280 del 2005 della Corte costituzionale ed a garantire l’interesse dell’erario di evitare un termine decadenziale talmente ristretto da pregiudicare la riscossione dei tributi”; v. inoltre Cass. n. 29845 del 13/12/2017; Cass. n. 8321 del 04/04/2018; Cass. n. 5565 del 26/02/2019).

3. Il secondo motivo denuncia violazione dell’art. 112 c.p.c., poiché “con la sentenza di primo grado, confermata dai giudici del gravame, sembrerebbe essere stata annullata l’intera cartella” anziché la “sola iscrizione a ruolo del complessivo importo di Euro 9.105,42” in essa contenuta, come richiesto dal contribuente con l’originario ricorso.

3.1. Il secondo motivo è inammissibile e per più ragioni.

La censura, in primo luogo, è carente per autosufficienza, non avendo l’Ufficio riprodotto né il ricorso, né la sentenza di primo grado asseritamente debordante, privo di rilievo, a tal fine, che gli atti siano stati riprodotti dal contribuente.

La doglianza, inoltre, è meramente ipotetica, come si ricava dalla locuzione “sembrerebbe” impiegata nella formulazione del motivo.

La stessa, infine, – come emerge dalla prospettazione del motivo avrebbe dovuto essere già rivolta avverso la statuizione di primo grado, circostanza invece in alcun modo allegata, sicché, in assenza di tale tempestiva contestazione, è improponibile per la prima volta in sede di legittimità.

4. Il ricorso va pertanto rigettato. Le spese, liquidate come in dispositivo, sono regolate per soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna l’Agenzia delle entrate al pagamento delle spese a favore di P.P., che liquida in complessivi Euro 2.300,00, oltre Euro 200,00 per esborsi, 15% per spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 28 ottobre 2021.

Depositato in Cancelleria il 5 gennaio 2022

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