Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.225 del 05/01/2022

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. VANNUCCI Marco – Consigliere –

Dott. BELLE’ Roberto – Consigliere –

Dott. RUSSO Rita – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 9804/2020 proposto da:

O.L., elettivamente domiciliata in Napoli piazza Cavour 139, presso lo studio dell’avv. Luigi Migliaccio, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, *****, in persona del Ministro pro tempore;

– resistente –

avverso la sentenza n. 1880/2019 della CORTE D’APPELLO di BARI, depositata il 06/09/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 04/11/2021 dal Consigliere Dott. Rita RUSSO.

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SANLORENZO Rita.

RILEVATO

Che:

La ricorrente, cittadina nigeriana. ha chiesto la protezione internazionale dichiarando: di essere nata in Edo State e di avere vissuto in un villaggio di questo Stato fino all’età di dodici anni quando si è trasferita a ***** con la famiglia; ha dichiarato di essere una apprendista parrucchiera e che un giorno, dopo una forte esplosione, non ha più trovato la casa, la madre e la sorella; si è quindi rifugiata in una stazione di autobus dove un distributore di benzina andando a fuoco le ha cagionato delle ferite; ha quindi chiesto aiuto a un uomo che l’ha portata in Libia dove è stata violentata e picchiata e infine imbarcata per l’Italia.

La domanda è stata respinta dalla competente Commissione territoriale e dal Tribunale di Bari. La ricorrente ha proposto appello che la Corte ha respinto sul rilievo che il racconto è privo di dettagli, in particolare che non è precisata la località dove è avvenuta l’esplosione, non è stato né individuato né descritto il villaggio dove avrebbe vissuto negli ultimi sette anni ce (osa sarebbe successo il giorno della esplosione; rileva altresì che sono stati saltati diversi passaggi nella descrizione della fuga in Libia e si esclude quindi il rischio individuale. La Corte rileva inoltre che ai fini della protezione sussidiaria non è sufficiente l’esistenza di situazioni di instabilità essendo necessario che il paese sia interessato da violenza generalizzata e indiscriminata; ritiene infine infondata la richiesta di protezione umanitaria mancando la prova dell’avvenuta integrazione della richiedente nel nostro paese.

Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione richiedente asilo affidandosi a quattro motivi.

L’Avvocatura dello Stato, non tempestivamente costituita, ha presentato istanza per la partecipazione ad eventuale discussione orale. La causa è stata trattata all’udienza camerale non partecipata del 4 novembre 2021.

RITENUTO

Che:

1.- Con il primo motivo del ricorso si lamenta ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, l’omesso esame di fatti decisivi. La parte deduce che la ricorrente aveva dedotto il rischio di trattamenti inumani e degradanti in Nigeria stante la condizione di giovane donna sola alla luce della condizione di endemica violenza di genere sussistente nel suo paese e della sua condizione di vulnerabilità acuita delle violenze sessuali subite in Libia; deduce che la domanda non è stata valutata alla luce delle informazioni sul paese di origine e di avere prodotto informazioni tratte da fonti accreditate mentre la Corte ha omesso di assumere informazioni sul paese di origine ai fini della applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. b).

Con il secondo motivo del ricorso lamenta la violazione e falsa applicazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 e D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, sotto il profilo della tutela di cui del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c). La ricorrente deduce di avere allegato Report accreditati sulla situazione nella zona nord del paese e in particolare del Borno State; la Corte ha invece deciso la domanda sotto questo specifico profilo senza l’utilizzo di informazioni precise ed aggiornate e senza riportare alcuna fonte.

Con il terzo motivo del ricorso si lamenta ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione degli artt. 3 e 30 della Convenzione di Istanbul nonché del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32. La ricorrente deduce che ha errato la Corte a respingere la domanda di protezione umanitaria individuandone i requisiti nella sola mancanza di integrazione sociale della richiedente senza valutare gli elementi di vulnerabilità per i gravi abusi di genere subiti in Libia, che ella ha riferito.

Con il quarto motivo si lamenta l’omesso esame di fatto decisivo per il giudizio relativo ai presupposti per riconoscere la protezione umanitaria; fa riferimento in particolare alle violenze subite in Libia sia alle violenze sessuali che alle violenze fisiche finalizzate all’imbarco forzato.

2.- I motivi sono inammissibili.

La Corte di merito ha reso un giudizio di totale inattendibilità sulla storia narrata dalla richiedente, sia per quanto attiene alla sua provenienza dal Borno State, sia per quanto riguarda le vicende libiche, che la parte non ha specificamente censurato, limitandosi a ribadire, in tutti i motivi di ricorso, che i fatti da lei narrati non sono stati correttamente inquadrati, sia con il riferimento al rischio individuale (violenze di genere e trattamenti inumani e degradanti) sia con riferimento al rischio da violenza indiscriminata derivante da conflitto nella zona di provenienza. Il giudizio di inattendibilità della narrazione riguarda tuttavia anche la zona di provenienza.

Il giudice del merito si è quindi regolato secondo il principio, più volte affermato da questa Corte, secondo il quale, una volta esclusa la credibilità intrinseca della narrazione offerta, non deve procedersi al controllo della credibilità estrinseca (Cass. n. 24575/2020; Cass. 6738/2021).

Di contro nessuna censura la parte ha proposto avverso le statuizioni in punto di non credibilità; tutti i motivi presuppongono e danno per scontata la veridicità del racconto reso. Essi risultano così proposti in violazione del precetto di cui all’art. 366 c.p.c., che disegna il ricorso per cassazione come un mezzo a critica vincolata, da esplicitare tramite motivi che soddisfino requisiti di specificità, completezza e riferibilità alla decisione impugnata, la cui mancanza ne comporta l’inammissibilità (Cass. 17125/2007; Cass. 15517/2020).

Anche per quanto attiene la protezione umanitaria il mezzo è inammissibile, poiché la Corte ha reso un (non censurato in questa sede) giudizio di inattendibilità anche sulle vicende libiche, e pertanto esse non possono dedursi quali indicatori di una speciale condizione di vulnerabilità; di contro la Corte ha rilevato l’assenza di integrazione lavorativa, e cioè di fatti nuovi (avvenuti in Italia) deversi da quelli narrati come ragioni di fuga dal paese di origine e dal paese di permanenza provvisoria.

Ne consegue la dichiarazione di inammissibilità del ricorso.

Nulla sulle spese in difetto di tempestiva costituzione della parte intimata.

PQM

Dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 4 novembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 5 gennaio 2022

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